Film del 1966 diretto da Mario Bava. Le riprese si svolsero nella cittadina laziale di Cori e durarono appena 20 giorni, ancora una volta a causa del modesto budget. Al termine delle riprese, la pellicola ebbe una scarsa distribuzione nelle sale – con conseguente insuccesso commerciale – dovuta al fallimento della casa di produzione.
Trama: Il medico legale Paul Eswai viene inviato in un paesino per eseguire l’autopsia sul cadavere di una donna. L’ispettore di polizia, incaricato di indagare sulla misteriosa morte, si scontra con l’omertà degli abitanti e lo stesso Paul viene minacciato. Quando l’ispettore scompare nel nulla, il medico inizia a indagare alla ricerca della terribile verità.
Perché vederlo: Il titolo Operazione paura viene imposto dalla produzione per sfruttare la scia di successo di altri film di quel periodo, come Operazione Crossbow e Operazione San Gennaro.
Bava si serve nuovamente di tutte le tematiche care al suo concetto di orrore: un’antica maledizione, l’ambientazione ottocentesca, il gotico, il sovrannaturale che si nutre delle malignità degli uomini. Uno dei punti di forza del film è la straordinaria rappresentazione della cittadina, scura e invernale, con l’inquietante cimitero e la labirintica villa Garps. Persino i tanti oggetti che compongono la scenografia contribuiscono a comunicare un senso di morte continuo.
Operazione paura prosegue lo sperimentalismo cromatico già cominciato con La frusta e il corpo e Sei donne per l’assassino. Con il prezioso contributo di Antonio Rinaldi, Bava colora questo mondo livido di tonalità calde e asfissianti. Molte le scene oniriche per la cui resa si fa uso di colori sfocati e psichedelici che estremizzano la deformazione della realtà e disegnano un’atmosfera spettrale e ultraterrena.
La pellicola non conta scene particolarmente violente, ma ciò nonostante è angosciante e disturbante, un gotico agghiacciante che nasconde l’inspiegabile dietro la costruzione tipica del thriller. Quello che spaventa non è visibile, bastano i toni macabri e ossessivi a fare leva sulle paure più profonde, a scavare nell’inconscio generando un’angoscia viscerale. È proprio la costruzione di questa atmosfera ossessiva che rende insuperato ancora oggi il cinema di Bava.
La narrazione semplice e lineare permette al film di scorrere veloce, la tensione è sempre molto alta e non lascia mai spazio a momenti di stanca. Quello che vediamo è un incubo agghiacciante in cui realtà e sogno si mescolano e si confondono, piani sequenza e zoom – debitamente studiati – valorizzano questa sospensione del reale e contribuiscono ad accrescere la suspance. In aiuto arrivano anche le agghiaccianti musiche di Carlo Rustichelli. Bava sa bene che la paura vive in quello che non è svelato, e per questo mantiene in sospeso ogni spiegazione senza preoccuparsi di dare un senso alle scene: perché il terrore emerga in tutta la sua impenetrabilità.
Questa impenetrabilità del terrore è perfettamente resa dalla bambina fantasma, le cui apparizioni sono capaci di atterrire anche il più navigato degli amanti dell’horror. La sua forza evocativa sta nell’utilizzare il simbolo dell’innocenza per eccellenza, l’infanzia, come portatore del male. La stessa immagine è stata ripresa in seguito da molti altri registi, tra questi Federico Fellini per l’episodio Toby Dammit dell’antologia horror Tre passi nel delirio (1967), e Stanley Kubrick in Shining (1980). Molte altre ancora le scene che hanno ispirato cineasti del calibro di Martin Scorsese e David Lynch.
Operazione paura è un titolo imprescindibile della filmografia di Bava, e di quella di genere, che evolve la classica storia di fantasmi in un’opera intensa e profonda, senza mai cadere nell’assurdo. A questo punto non possiamo che chiederci cosa sarebbe riuscito a realizzare Mario Bava con un budget un po’ più dignitoso.
Curiosità: La bambina fantasma del film, è in realtà il piccolo Valerio Valeri con una parrucca. Bava scritturò il figlio del portinaio dello stabile dove abitava dopo una lunga serie di provini senza esito.
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