Film di produzione italo-francese del 1960 diretto da Georges Franju, tratto dall’omonimo romanzo di Jean Redon.
Trama: La figlia di un chirurgo specializzato in trapianti di pelle rimane sfigurata a causa di un terribile incidente. Il professore inizia quindi a narcotizzare giovani ragazze per espiantarne i tessuti cutanei da trapiantare sul volto della figlia.
Perché vederlo: Occhi senza volto segue la narrazione tipica del noir, la sceneggiatura d’altronde è firmata dai due giallisti Pierre Boileau e Thomas Narcejac, autori dei romanzi I diabolici e de La donna che visse due volte. Nonostante queste premesse, il film raccoglie in sé i caratteri tipici del cinema horror: la casa isolata, lo scienziato che sfida Dio, la paura della morte. La scrittura di due sceneggiatori d’eccezione permette una narrazione quasi perfetta, a volte corrotta dalla lentezza di alcuni passaggi, lentezza però attenuata dalla truculenza delle scene.
Nell’epoca d’oro della Hammer, Franju spoglia la pellicola del gotico e trasporta il racconto nel quotidiano: il magico si combina alla realtà e traghetta la storia in una dimensione dilatata e non ben definibile. A sottolineare l’atmosfera di sogno la tetra fotografia di Eugen Schufftan, il suo bianco e nero espressionista sottolinea lo scarto tra il bene e il male, non poi così difficili da distinguere.
Protagonista del film è l’ossessione, la sinistra ossessione che porta a rincorrere l’eterna giovinezza e alla perdita di ogni possibile uso del raziocinio, che annulla la volontà soffocandola nella rabbia e nel dolore. Quindi più che concentrarsi sullo spaventoso, Franju si dedica alla complessa e angosciante analisi dei processi che spingono i protagonisti ad agire in un determinato modo. E così l’amore di un padre diventa la giustificazione per atroci delitti, il senso di colpa si trasforma in oscura pazzia. Ben presto però l’affezione cede il passo alla sperimentazione e la figlia diventa per il chirurgo poco più che una cavia da laboratorio.
Il regista si focalizza a lungo anche sul punto di vista di Christiane, figlia del chirurgo, che non esiste più, vive nascosta dietro una maschera bianca. La ragazza si muove come in un incubo nella casa che, pur essendo enorme, trasmette un asfissiante senso di claustrofobia. Christiane soffre fisicamente e moralmente, lacerata dall’insanabile conflitto tra il desiderio di continuare a vivere e il rimorso per le donne innocenti uccise per raggiungere tale scopo. Se anche dilaniata da egoismo e pentimento, lei è l’unica a mostrare compassione per le vittime, è lei stessa vittima di una scienza cieca che non riconosce il male.
Azzeccato il cast che vanta la presenza di una magnetica Alida Valli che si conferma un’attrice versatile, ottime anche le prove di Pierre Brasseur e di Edith Scob.
Occhi senza volto fa leva sulle paure infantili, è una favola perversa sull’arroganza, sulla follia e sulla misoginia che non accetta i difetti fisici di una donna. Il duro realismo di Franju, fuso al romanticismo, sublimano nel geniale finale, trattato però un po’ troppo sbrigativamente.
Curiosità: Franju nell’opera inserisce molte scene splatter, tanto da ispirare Les prédateurs de la nuit di Jesus Franco, ma al momento dell’uscita nelle sale del film le operazioni chirurgiche e i violenti attacchi dei cani furono tagliati dalla severa censura italiana.
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