Film del 1963 che Mario Bava firma con lo pseudonimo di John M. Old, pseudonimo in seguito utilizzato anche dal figlio Lamberto. La pellicola è stata riscoperta dal Festival del Cinema di Roma che l’ha riproposta in versione restaurata.
Trama: Kurt Menliff ritorna al castello della sua famiglia, dal quale era stato scacciato tempo addietro. Il padre e il fratello, nel frattempo sposatosi con Nevenka, si mostrano felici di ospitarlo. La donna diventa la sadica amante di Kurt che viene in seguito ritrovato ucciso. Nevenka è convinta che il suo spirito torni tutte le notti per tormentarla.
Perché vederlo: Ernesto Gastaldi firma la sceneggiatura di questo gotico, considerato un film minore del regista italiano. Basandosi su una trama piuttosto mediocre, Mario Bava fa di una banale storia di fantasmi, un lacerante horror psicologico. Il regista utilizza tutti i cliché del genere utili a costruire un film macabro e perverso per poi concedere romanticismo alla storia, fino ad arrivare a empatizzare con i drammi dei protagonisti.
Lasciandosi ispirare dalla resa estetica de Il pozzo e il pendolo di Roger Corman, Bava trasforma quello che abbiamo detto uno script noioso in un racconto coinvolgente.
L’intera vicenda si basa sull’insano rapporto tra Kurt e Nevenka, emblematico ed esplicativo di ogni sentimento umano. Nevenka è una creatura fragile, vittima del suo stesso masochismo, del tutto incapace di distinguere l’amore dalla perversione e completamente soggiogata a Kurt, suo latore tanto di piacere quanto di sofferenza. Nevenka arriverà infine a mostrare la propria natura, toglierà la maschera e mostrerà il volto di una donna viziosa, sadica e instabile. Christopher Lee giganteggia sugli altri attori per recitazione, il villain da lui interpretato è seducente e perverso, implacabile portatore di morte e di sofferenza.
Bava racconta il tormentato rapporto con lentezza, concede allo spettatore il tempo necessario per concentrarsi sulle atmosfere oniriche, analizza con intelligenza i rapporti tra i protagonisti, ne espande l’emotività per poi costringerli al rabbioso confronto. Nonostante l’indolente narrazione la tensione si accresce incessantemente, alimentata dal senso di minaccia, dall’atmosfera sinistra e dagli sguardi ambigui.
Il regista rende protagonista il masochismo, associa l’amore alla violenza con l’eleganza che ha sempre contraddistinto le sue opere, ma questo non lo salva da una spietata censura, censura che agisce con più decisione a eliminare il morboso erotismo soprattutto nei paesi esteri.
Bava è aiutato a realizzare l’atmosfera attesa dalla magnifica fotografia di Ubaldo Terzano che, quasi psichedelica, azzarda accostamenti cromatici che riempiono di colore i sogni di Nevenka e non perde d’intensità neanche quando dipinge il castello come un luogo tetro e spaventoso.
Splendido è anche il tema musicale di Carlo Rustichelli, che sottolinea le scene con musiche da melò. La Frusta e il corpo non è certo il miglior film di Mario Bava, ma rimane un manifesto di eleganza registica ricco di mistero e fascino.
Curiosità: La frusta e il corpo è il primo horror a colori di Bava e anche il primo film di cui non cura personalmente la fotografia.
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