Nel 1964 Roger Corman firma la regia della sesta trasposizione delle opere di Edgar Allan Poe, con protagonista Vincent Price. A ispirare la pellicola è il racconto La maschera della morte rossa, ma non mancano riferimenti a un altro scritto di Poe: Hop-Frog.
Trama: Il principe Prospero regna da tiranno in un castello dell’Italia meridionale e intrattiene rapporti con Satana. Due popolani si ribellano alla sua tirannia, ma vengono catturati e condannati a morte. Francesca, rispettivamente figlia e fidanzata dei due, chiede la grazia. Il despota gliela concede per uno solo, spetta a lei scegliere.
Perché vederlo: La maschera della morte rossa è la più riuscita tra le trasposizioni delle opere di Edgar Allan Poe che Corman mette in scena. Il regista ha la possibilità di utilizzare i set lasciati dalla produzione di Becket e il suo re oltre a disporre di un budget molto più consistente del solito. Può quindi permettersi di contaminare il gotico con il barocco e di curare con particolare attenzione la resa visiva e tecnica del film: scenografie, costumi, colori e musiche sono magnifici. Meno attenta è la sceneggiatura firmata da Charles Beaumont e R. Wright Campbell che interpretano piuttosto liberamente gli scritti di Poe e scelgono di contaminare due racconti diversi tra loro e simili solo per ambientazione. È anche vero che la brevità delle narrazioni dello scrittore statunitense lascia necessariamente molto spazio alla libera interpretazione.
Nella resa delle sale del castello, ognuna caratterizzata da un colore diverso, quantomeno viene seguita alla lettera la descrizione data da Poe. Spettacolare è la scena del ballo in maschera: in un’esplosione di colori sfilano i magnifici costumi dei protagonisti illuminati dalla fotografia di un giovane Nicolas Roeg, che qualche anno più tardi sceglierà di dedicarsi alla regia, che dipinge la pellicola di un terrificante rosso acceso. Superbo Vincent Price, come sempre al massimo della forma. Con la sua recitazione solenne e ancor più teatrale del solito, è capace di caratterizzare alla perfezione il diabolico e crudele Principe Prospero. Bellissima e convincente anche Hazel Court con la croce rovesciata appoggiata sul petto. Corman insiste sul tema satanico tanto che La maschera della morte rossa diventa il primo film hollywoodiano a citare apertamente il satanismo, anche se altre pellicole ne avevano già fatto un timido accenno. Il Principe Prospero si profonde in discorsi alquanto blasfemi ed è molto forte la componente teologica: Corman, persona non particolarmente religiosa, si lascia influenzare da Il settimo sigillo di Ingmar Bergman.
La Morte, così come nell’opera bergmaniana, è una creatura indifferente al tormento degli uomini e in ugual maniera è indifferente alla loro devozione verso Dio o verso Satana. La maschera della morte rossa è quindi un film concettualmente impegnato, ma messo in scena confusamente e con un ritmo a tratti troppo lento che rischia di diventare dispersivo, tuttavia non mancano momenti di penetrante tensione. La pestilenza ha quasi un ruolo marginale e vengono ignorate le dinamiche del un popolo in lotta contro l’incontrollabile morbo e quindi l’ossessione e l’orrore psicologico. Il sorprendente finale arriva però a rivelare la reale grandezza dell’opera di Poe: riemerge l’allegoria dell’ineluttabilità della morte e la sua non appartenenza a nessun padrone.
Curiosità: La maschera della morte rossa sarebbe dovuto essere il secondo film del ciclo dedicato a Poe. Il progetto fu però continuamente rinviato a causa dell’uscita de Il settimo sigillo (1957) molto simile per tematiche e personaggi.
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