Nel 1963 Antonio Margheriti, con l’abituale pseudonimo di Anthony M. Dawson, gira il suo primo gotico e il risultato è una delle opere migliori del genere.
Trama: Il giornalista Alan Foster conosce in un pub Edgar Allan Poe, questi gli confessa che le storie di cui scrive sono realmente accadute. Al tavolo siede anche Lord Blackwood che propone al giornalista una scommessa: se riuscirà a passare la notte in un vecchio castello di sua proprietà, gli saranno versate 100 sterline. Leggenda vuole che chiunque abbia tentato l’impresa sia misteriosamente scomparso nel nulla. Foster, non credendo al paranormale, accetta la scommessa.
Perché vederlo: Girato in appena otto giorni, Danza Macabra, la cui regia era stata inizialmente affidata a Sergio Corbucci, autore della sceneggiatura insieme a Giovanni Grimaldi, ottenne un budget dedicato risibile. Gli ingredienti ci sono però tutti: un minaccioso castello, un giornalista scettico e un gruppo di fantasmi. Se la trama di questa classica ghost story può sembrare poco originale è il suo sviluppo a lasciare senza fiato. Flashback chiarificatori si aggiungono alla contemporaneità della narrazione, svelando il terribile passato dei lugubri abitanti della dimora. Margheriti utilizza contemporaneamente fino a quattro macchine da presa e su una di esse monta tre obiettivi per velocizzare i cambi di inquadratura. Questo espediente riesce senza dubbio a fargli risparmiare tempo e metri di pellicola (e quindi denaro), ma i risultati non sono sempre tecnicamente perfetti. L’abilità di Margheriti trasforma queste imprecisioni in punti di forza così che sono proprio le piccole sbavature a rendere la pellicola ancora più unica e suggestiva. Il regista dosa perfettamente i tempi e l’uso degli effetti speciali, facendo in modo che la tensione si mantenga alta fino all’epilogo. A raccontare l’orrore, più che i dialoghi, sono gli ambienti. Questo non sarebbe stato possibile senza la fotografia di Riccardo Pallottini che disegna un’atmosfera cupa, terrificante, in cui le ombre svelano le improvvise apparizioni che atterriscono lo spettatore. Le pareti del castello sembrano trasudare terrore e Margheriti è perfetto nel ricreare il senso dell’orrido che trapela attraverso le pagine scritte da Poe cui si ispira. Ottima è anche la caratterizzazione dei personaggi, tra i protagonisti una sensuale Barbara Steele (per una volta non impegnata in un doppio ruolo) e la bella Margarete Robsahm. Il film introduce il tema dell’omosessualità femminile che in seguito comparirà spesso nel cinema di Margheriti e meno velatamente in Contronatura del 1968. L’erotismo è fin troppo spinto per gli anni ’60, si mostrano senza pudore alcuno donne svestite e toraci maschili, si sentono distintamente sospiri e urla di piacere. Ma l’amore non può che appartenere alla morte, e l’eros non può non accompagnarsi alla disperazione. Convincente è anche Arturo Dominici nel ruolo del dottor Camus. Il malinconico scienziato con la passione per il macabro prova a mettere in guardia spettatori e protagonisti, ma rimane inascoltato. Danza macabra è uno dei migliori esempi di gotico italiano che, pur strizzando l’occhio alle produzioni inglesi, è la riconoscibilissima opera di un maestro del nostro cinema artigianale che ha avuto l’onore e l’onere di influenzare molti altri registi a venire.
Curiosità: Margheriti nel 1971 gira un remake di Danza macabra, dal titolo Nella stretta morsa del ragno, che però non uguaglia la bellezza dell’opera originale.
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