Mia moglie ha l’abitudine di chiudersi in bagno quando litighiamo. Si siede sul water e fuma una sigaretta; poi si alza, va al lavandino, si lava la faccia e torna in cucina dove finge di mettere in ordine qualcosa. Non dice niente, aspetta che io mi avvicini a lei, la cinga da dietro e la baci sulla nuca. Quindi si rilassa e comincia a parlare come se niente fosse. Funziona così tra noi due, da sempre. Ma non questa sera.
Mi siedo sul divano in soggiorno e chiudo la porta. Laura esce dal bagno e va in cucina. Traffica, fa rumore; ha paura che non mi sia accorto di lei. A quel punto spengo il televisore e, dopo aver chiuso gli occhi per un momento, per richiamare tutta la pazienza di cui dispongo, la raggiungo. Ha la faccia di qualcuno che ha pianto; e di chi si aspetta delle scuse. “Vado a fare un giro”, le dico sorprendendo anche me stesso, e lei, di rimando, riesce solo a bofonchiare “Come?”.
Piove e fa freddo, ma a me piace guidare con questo tempo; e mi piace ancor di più se le strade sono deserte. Del resto è lunedì, e ben poca gente se ne va in giro per Milano in questa sera d’inizio gennaio. Non accendo la radio, ma mi accoccolo nel sedile ad ascoltare il fruscio delle ruote sulla strada bagnata, interrotto di tanto in tanto dal rumore di una qualche auto che incrocio per strada. Ed ecco che, nella tranquillità dell’abitacolo, i miei pensieri tornano a Laura, al nostro litigio, a come la ritroverò al mio rientro. Siamo sposati da quasi nove anni, ma ancora non sono capace di prevederne gli umori. Potrebbe correre verso di me, gettarmi le braccia al collo e seppellirmi di scuse, come potrebbe non rivolgermi la parola per un paio di giorni. Non saprei dirlo, giuro.
Sono fermo a un semaforo. Il disco rosso si deforma dietro le gocce di pioggia che colpiscono il parabrezza; i tergicristalli le portano via, ma loro continuano ad appoggiarsi al vetro. Mi si affianca una Golf nera. Al suo interno ci sono un ragazzo e una ragazza, sulla ventina o poco più. Sbircio, e vedo lui che le palpeggia un seno; lei gli sposta la mano con stizza, poi il ragazzo si avvicina e la bacia con passione. Il semaforo diventa verde e la Golf scivola via sull’asfalto. Aspetto un po’ prima di partire; e mi trovo a fissare la mia mano a coppa che, poco prima di chiudersi sul pomello del cambio, cerca di ricordare la forma del seno di mia moglie.
Dopo alcuni minuti accosto di fronte ad un tabaccaio. Compro le sigarette e me ne torno a casa, penso mentre scendo dall’auto.
È lunedì sera anche qui, noto appena sono dentro. Dietro al bancone una donna grassa di mezza età, avvolta in un maglione a collo alto, sfoglia una rivista inumidendosi il dito con la lingua prima di voltare ogni pagina. Mi avvicino, respirando quell’odore dolciastro che ha il tabacco: “Marlboro”, le dico. Senza voltarsi, la donna afferra un pacchetto di sigarette da uno scaffale alle sue spalle e lo butta davanti a me sul banco. Faccio per pagare e, nell’aprire il portafoglio, mi cadono a terra un po’ di quei pezzi di carta che ho l’abitudine di lasciar macerare per bene tra le sue pieghe, come biglietti da visita, numeri di telefono e cose simili. Prima le do i soldi, poi mi chino a raccogliere la mia immondizia, prendo il resto e me ne torno alla macchina, con il pacchetto di sigarette in una mano e la mia roba nell’altra.
Non ho voglia di tornare subito a casa, quindi mi siedo tranquillo, prendo tutto quello che è uscito dal portafoglio e lo passo in rassegna, decidendo cosa tenere e cosa, invece, eliminare. Ho appena cestinato il bigliettino col numero del vecchio dentista, quando mi capita in mano il post-it giallo di Martini, un mio collega. Poco prima delle vacanze di Natale, alla cena organizzata dalla ditta, ci siamo lamentati, a vicenda, delle rispettive vite: lavoro, moglie, figli e figliastri, traffico, soldi che non bastano mai. “Io ho trovato il posto giusto”, mi aveva detto scarabocchiando un numero di telefono su di un post-it e dandomelo. Era finito nel portafoglio in mezzo a tutto il resto, e lì è rimasto, dimenticato, fino ad ora. Sono le dieci di sera, ma io provo lo stesso; mai come in questo momento avrei bisogno di togliere un po’ di veleno dal sangue: ferie finite, due settimane passate in montagna a casa dei suoceri, ed una lite fresca fresca con Laura.
Chi vuoi che risponda a quest’ora, mi dico mentre il telefono suona libero. “Pronto?”, risuona, facendomi sussultare, una voce di donna dopo un paio di squilli.
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1 commenti
Aggiungi un commentoUn racconto bellissimo.A parte certi rimandi colti che vi ho trovato(fa venire in mente Quitters inc. di King, pur sviluppando uno spunto completamente diverso, ma anche le atmosfere di certi racconti di Buzzati)Il punto di forza del racconto, che lo rende plausibile se non verosimile e per questo così agghiacciante è il senso di immedesimazione che si produce nei confronti del protagonista, obbiettivo raggiunto sia con uno stile di scrittura per niente artificioso, molto discorsivo, sia per il fatto che sono descritti eventi che fanno parte della vita di ciascuno(banali liti e riconciliazioni domestiche, giro in auto per comprare le sigarette) in cui si inserisce un evento apparentemente ordinario(provare una terapia antistress di quelle che sono ora in auge) che rivela progressivamente la sua carica destabilizzante. Orrore nel quotidiano della più alta scuola.
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