– Sissì.

– Mh. – La mamma annuì, osservando per un momento il punto dove poco distante c’era seduta Sara con le gambe incrociate.

Richiuse la porta e tornò di sotto. I due bambini ripresero a parlare sussurrando.

– Adesso ti ricordi come sei morta?

– Forse ho fatto un incidente. Con la macchina. Però non lo so.

Per un istante, Marco la vide. Non più come una ragazzina, ma come una molto più grande, con i capelli lunghi e neri, molto bella. Poi, Sara tornò bambina.

– Cos’hai?

– Niente – rispose Marco. – Sì, credo che tu sia morta nel duemilaeuno. Posso chiederti una cosa?

– Sì.

– Tu ci credi a Dio?

– Sì…

– Davvero?

Sara si accigliò. – , ti ho detto.

– Uhmmm. – Marco restò per un po’ pensieroso.

– Cosa, uhmmm?

– Qualcuno non ci credeva.

– Qualcuno chi?

– A casa mia vengono i bambini morti, qualche volta. Alcuni che sono venuti qui non credevano in Dio e allora forse è stato per quello che non sono entrati. Oppure sono venuti qui quelli che non sono stati battezzati, e allora gli ho versato un po’ di acqua sulla testa e li ho battezzati io, e loro poi sono diventati trasparenti. E secondo me sono saliti in Cielo. Sai a messa, quando si canta: se non ritornerete come bambiniii, non entrereteee maai.

– Eh.

– Quando muori non sei più grande. Ridiventi piccolo.

La bambina aggrottò la fronte.

– Non so come spiegarlo.

– Ridiventi uno che fa la terza?

– Be’… Non lo so, più o meno. Però per entrare devi essere sicuro.

- Ma io sono sicura!

– No, perché infatti sei qui. Prima devi essere davvero davvero sicura sicura.

– Io lo sono. – Sara sostenne lo sguardo di Marco.

– C’è qualcosa che non hai fatto?

– Cosa vuol dire?

– Se prima di morire dovevi fare qualcosa e invece poi non… hai potuto.

– Boh.

– Pensa.

– Non mi ricordo niente.

– Prova a chiudere gli occhietti.

– Perché?

– Forse poi vedi. A volte è così.

Sara strinse gli occhi, forte.

– Allora? – le chiese qualche istante dopo Marco.

La bambina ne riaprì solo uno per guardarlo. – Niente.

– Prova ancora…

– Non…! – Sara riaprì gli occhi e guardò Marco, stupita.

– C-cosa c’è, cos’hai visto? – le domandò lui.

– Oh no – rispose la bambina. La sua voce, però, era da adulta.

– Sara?

Il viso della bimba tremolò. – Non voglio andare via.

– Eh?

– Non farmi andare via.

Marco scosse la testa, perplesso. – No no, perché?

Sara si alzò. Quando fu in piedi, era diventata una giovane con i capelli neri, lunghi.

Marco, la bocca aperta, alzò la testa. Subito non riuscì a vederla bene, per il riflesso del sole, e perché sembrava un’immagine che non stava ferma, come quando… Come quando la tivù salta un po’. Quando riuscì a distinguerne i tratti del volto, pensò che era bella, e aveva… gli orecchini e il rossetto e una camicetta bianca. Aveva le sopracciglia alzate, e per un momento Marco ricordò l’espressione di Sara quando si erano incontrati nella cameretta.

Poi il suo viso, con uno sforzo, si addolcì, come quello di un adulto che non vuole che un bambino si preoccupi. Tirò su col naso e si asciugò in fretta un occhio.

Marco continuava a guardarla senza capire. Da che i bambini morti venivano a trovarlo, era la prima volta che uno di loro diventava un Grande.

La ragazza si abbassò un po’ per accarezzargli i capelli… per arruffarglieli affettuosamente.

– Sei… ancora Sara, vero? – domandò dopo un po’ Marco.

Lei ebbe un sorriso divertito; un singhiozzo. Guardò il bambino e si chinò verso di lui. Annuì.

Marco annuì a sua volta, pensoso. Senza bene rendersene conto si ritrovò a riferirle che la amava e immediatamente sgranò gli occhi, sorpreso. Non aveva usato la sua voce. Toccò la gola. Scosse la testa come per scusarsi, ma lei continuò ad accarezzargli i capelli. Si chinò per… baciarlo sulla fronte, piano. Poi, il suo corpo cominciò a diventare trasparente.

Improvvisamente Marco chiuse gli occhi e la mente gli proiettò delle immagini che non riuscì bene a vedere perché erano molto sfuocate, lontane nel futuro. Come gli incubi che faceva la notte, quando si risvegliava nel suo lettino, tremando. C’erano sensazioni molto forti, c’erano giornate nere, di pioggia, e c’era tristezza, immagini di fiori e una cassa di legno in una chiesa.

Quando riaprì gli occhi, era nella sua cameretta, solo, e le tendine della finestra aperta svolazzavano in un caldo pomeriggio d’estate del millenovecentoottantatre.