Terza incursione nel cinema horror – che lui stesso, con la complicità di Mario Bava, ha contribuito a creare - di Riccardo Freda che firma la pellicola con lo pseudonimo di Robert Hampton.
Trama: Il dottor Hichcock, affetto da necrofilia, utilizza un anestetico da lui inventato per provocare la morte apparente delle moglie Margherita, ma qualcosa va storto e la donna rimane uccisa da un’overdose. Non potendo più sopportare di vivere nella stessa casa in cui si è compiuta la terribile sciagura, l’uomo va via da Londra per ritornarvi dodici anni dopo, accompagnato dalla nuova moglie Cynthia. Questa fatica a sentirsi a suo agio nell’enorme magione piena di ritratti di Margherita, circondata inoltre da domestici poco disposti ad accoglierla.
Perché vederlo: Pellicola girata in appena dodici giorni in una villa pariolina di Roma che nonostante la ridicola storpiatura del nome del regista di Psycho – cui in realtà vorrebbe rendere omaggio – rappresenta uno dei migliori esempi di gotico italiano.
Freda affronta uno dei temi più cari alla cinematografia e alla letteratura di genere: il conflitto tra Eros e Thanatos, rappresentando la pulsione alla vita attraverso la storia d’amore tra Hichcock e Margherita e quella alla distruzione attraverso l’insana passione del medico per la necrofilia.
Vediamo però il dottore solo indugiare sul corpo della moglie senza vita, perché l’insano desiderio può essere solo suggerito e mai mostrato, la feroce censura di quegli anni non avrebbe permesso niente di più.
Nonostante la perversione del protagonista non venga esposta, il conflitto tra amore e morte si rivela audace, forse proprio perché non esibito chiaramente. Si avverte con forza la morbosità dello sconsiderato impulso che può forse trovare giustificazione nell’ambizione di riuscire ad amare al di là della morte.
E così l’atmosfera si fa angosciosa, malsana, disturbante gravata inoltre dal peso di tutti gli elementi cardine del genere, disposti a regola d'arte perché si respiri terrore. Situazioni ambigue, personaggi sussurranti e scoperte raccapriccianti non lasciano cadere l’interesse, mantenendolo vivo fino alla fine. La villa isolata avvolta in una nebbia insistente fa poi il resto.
L’orribile segreto del dr. Hichcock è un film senza troppi fronzoli che si pone come unico fine quello di spaventare a morte, un film che potrebbe essere ancora più prezioso se non peccasse di buchi nella sceneggiatura, probabilmente causati dai tagli imposti dalla censura di cui ho già detto.
Malgrado ciò la regia di Freda è lucida, diabolica, fatta di rallentamenti che rendono lo spazio labirintico e improvvise apparizioni, espedienti puntualmente enfatizzati dai giochi di ombre costruiti dalla fotografia di Raffaele Masciocchi.
Perfetto Robert Flemyng nel ruolo del mad doctor e sempre splendida Barbara Steele.
L’orribile segreto del dr. Hichcock racconta quello che ogni horror vorrebbe raccontare, la paura della morte, della perdita e un amore morboso che si alimenta con la distruzione di se stesso. Questa pellicola è una delle meraviglie del nostro cinema che pur dovendo molto a Rebecca – La prima moglie di Hitchcock, è capace di affrontare lo stesso contenuto in chiave totalmente originale.
Curiosità: Nel film Barbara Steele veste i panni, per lei inusuali, della vittima.
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