Ci sono volti che scompaiono nel nulla.
Altri rimangono impressi a fuoco e non li cancelli più.
I fasci di luce colpirono la spiaggia, mostrandone la rugosità. Onde di sabbia umida che si perdevano nella coltre, oltre il cono luminoso.
Dagli stabilimenti balneari limitrofi arrivava la musica, quella della notte, quella col bicchiere in mano e corpi danzanti, quella dell'oblio, quella fatta per perdersi e ritrovarsi il più tardi possibile.
È facile perdersi in Romagna, in estate dopo il tramonto.
Il corpo era riverso supino, non distante dalla battigia, il volto incoronato da lunghi capelli appiccicati da sangue e granelli di sabbia.
L'ispettore indugiò sui lembi di pelle arricciati sulle guance e sugli zigomi, la carne e i muscoli facciali esposti erano un irresistibile richiamo per le mosche e altri insetti che non seppe riconoscere.
La ragazza era sfigurata e con le palpebre strappate, gli occhi apparivano increduli, sgomenti di paura. Obbligati a fissare l'orrore e la morte senza il sollievo di poter distogliere lo sguardo.
Un'agente della polizia scientifica stava repertando del materiale organico ritrovato sotto le unghie della vittima. Attorno i lampi del flash e lo sciabordio della risacca.
– Ha lottato fino all'ultimo – disse il sostituto procuratore alludendo alle unghie rotte.
L'ispettore annuì.
– Il carnefice avrà i segni di colluttazione. Ci sono tutti i presupposti per concludere le indagini in tempi brevi – disse il sostituto procuratore concludendo il ragionamento.
Gli ombrelloni erano sentinelle in attesa del giorno, di lì a poco sarebbero stati aperti dai bagnini e avrebbero vigilato sui vacanzieri e sul loro stupore misto a eccitazione per l'evento accaduto. Il chiacchiericcio avrebbe spiegato le ali e avrebbe preso quota sospinto dalle correnti ascensionali. La paura avrebbe avvolto i turisti ma non li avrebbe allontanati, anzi. Ne avrebbe attirati di più, con i selfie, cinguettii e hashtag. Anche la morte è un'attrazione turistica.
– Non sarà così facile – disse l'ispettore.
– Cosa vuol dire?
– La vittima. – Stava per chiamarla per nome, era stata identificata dai suoi amici che erano, ora, dentro a una stanza del commissariato in attesa di un interrogatorio approfondito, ma si bloccò. Era stata già violata, la persona, e sentì che pronunciarne il nome sarebbe stata una ulteriore violenza. Inutile. – La vittima – riprese – ha lottato ma sembrerebbe contro se stessa.
Il sostituto procuratore lo scrutò, accigliato.
– I resti delle unghie spezzate sono state ritrovate conficcate nelle sue carni. Si è sfigurata da sola – disse l'ispettore.
– Cristo!
– Chi era presente dice di averla vista uscire dal bagno in preda a uno stato confusionale acuto. Delirava e piangeva. Alcune amiche hanno provato a calmarla ma lei urlava e implorava aiuto. E si graffiava il volto con violenza. Si è divincolata ed è corsa fin qui. È accaduto in pochi minuti.
– E non ha detto nulla mentre delirava. Una parola o una frase sconnessa?
L'ispettore richiamò l'attenzione del medico legale. Sospirò. – “La mia faccia. Rivoglio la mia faccia.” Questo urlava.
Il sostituto procuratore soffocò un'altra imprecazione. – Qual è la causa della morte? – chiese al medico legale.
– La causa più probabile è l'arresto cardiaco ma saprò dirlo con certezza dopo l'autopsia.
Il sostituto procuratore con la mano fece un gesto per indicare il viso.
– Le ferite sono gravi e profonde – rispose il medico legale, – ma non tali da portare alla morte.
– Allucinogeni – disse l'ispettore, insofferente.
Annuì, il medico legale. – È compatibile con quanto emerso. Saprò di più dopo le analisi.
– Un allucinogeno può portare a questo? – domandò scosso il sostituto procuratore.
– Ognuno di noi ha i suoi demoni. La sostanza psichedelica li ha liberati dalle catene – disse l'ispettore. Pensò a i suoi di demoni. A quanto fosse pericoloso lasciarli diventare reali fino al punto di dominarti e portarti alla follia. Chiuso il caso avrebbe portato a cena sua moglie. Per ricordarsi chi erano. Per saldare la cella delle sue paure.
Ognuno ha i suoi demoni. Sì. E l'ispettore ne aveva alcuni che l'andavano a trovare sprovvisti di preavviso. Erano parenti alla porta senza permesso. La normalità era uno di questi, l'ispettore si sentiva rinchiuso in un vagone che sfrecciava ad alta velocità nelle campagne della sua vita. Dal finestrino la guardava passare. Da adolescente il biglietto non aveva destinazione, era valido per qualsiasi tragitto privo di limiti di chilometraggio. Nei primi anni di Polizia, agli inizi della carriera, era ancora convinto di poter scendere in una qualunque fermata e risalire su un altro treno, consapevole della scelta. Ora, dopo tanti anni di servizio e di matrimonio si sentiva legato al sedile, impossibilitato a raggiungere il freno di emergenza, col biglietto vidimato a penna dal controllore con la data della sua morte.
Un altro demone era l'inquietudine, spesso con le vesti di attacco di panico.
Ora quel demone era lì con lui, in ufficio.
Sentiva il suo respiro, era al suo fianco ma un passo indietro.
Il demone lo aveva inseguito da casa, appena salito in macchina l'aveva intravisto nello specchietto retrovisore. Una istantanea. Capelli lunghi, castani. Come la ragazza trovata in spiaggia ma col volto cancellato: un ovale livido privo di occhi, labbra e narici. Inespressivo.
La figura si affacciava su una qualsiasi superficie riflettente e, anche se non la guardava, sapeva che c'era, pronta a inghiottire il suo sguardo.
Aveva girato i quadri, chiuso le tende e coperto il monitor del computer con documenti appiccicati col nastro adesivo.
Eppure quel volto era lì.
Riconobbe i primi sintomi di attacco di panico. Incominciò a respirare profondamente, cercando di controllare il battito cardiaco e si concentrò su un punto fisso della parete. Chiuse gli occhi e si raffigurò dentro a una bolla protettiva. Spostò la meditazione sui rumori, lasciò che le voci provenienti dal corridoio e dagli uffici limitrofi scorressero senza ostacoli. Sentiva ma non ascoltava.
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