“È svanito nel nulla.”
Questa affermazione si usa, di solito, per descrivere la scomparsa di una persona. Scappata, rapita, magari uccisa. Tolta la componente drammatica, sono tutte spiegazioni possibili. Nei casi che tratteremo ora non è così. La frase va presa alla lettera, perché gli sfortunati protagonisti di queste vicende svanirono sul serio davanti agli occhi di familiari e amici come fumo nel vento.
È il 23 settembre 1880. A Summer County, nel Tennessee, David Lang sta attraversando un campo. Deve parlare con i suoi lavoranti che si stanno occupando di un pezzo di terra poco distante. Sua moglie Emma rimane seduta sulla veranda a guardarlo. I due figli, George (otto anni) e Sarah (undici anni) giocano nel cortile e ogni tanto lo guardano anche loro. Così fanno l’avvocato August Peck e suo cognato Wade che si stanno avvicinando alla fattoria con un calesse. Fatti pochi passi all’interno nel campo, David scompare. Emma si alza in piedi di scatto. Hanno visto tutti: lei, i figli, l’avvocato e il suo compagno di viaggio. Non è inciampato, non è sprofondato nel terreno. È svanito. I cinque testimoni setacciano il campo, aiutati da altri lavoranti. Emma è sull’orlo di una crisi isterica. Ancora non riesce a credere a ciò che ha visto. Comincia a far buio, ma le ricerche proseguono. Si tenta soprattutto di scovare il buco nel terreno che potrebbe aver inghiottito David, anche se tutti sanno che da quelle parti non ci sono grotte sotterranee. Lo strato di terra è compatto e poggia su un altrettanto compatto letto di roccia. Dopo giorni di inutili ricerche, David viene dato per disperso. George e Sarah piangono in continuazione e la loro madre comincia a mostrare segni di squilibrio mentale.
A qualche giorno dall’evento, nel campo che ormai tutti credono stregato, si forma un cerchio di erba gialla di circa mezzo metro di diametro. È il punto in cui David si è volatilizzato. George e Sarah, animati da una normale curiosità infantile, passano parecchio tempo a osservarlo. Notano che gli insetti lo evitano e perfino i cavalli della fattoria stanno alla larga. George esegue un esperimento: ci butta dentro un grillo che rimane fermo per qualche secondo, come paralizzato dalla paura, poi salta fuori e ricomincia a frinire. I bambini decidono di entrare nel cerchio. Sentono la voce del padre che invoca aiuto. Il suono sembra provenire da molto lontano. Chiamano subito la madre e la convincono a entrare nel cerchio. Anche lei sente la voce. Prova a parlare con David, ma ottiene risposte confuse. Parte un nuova serie di ricerche che non portano a nulla. La voce di David è sempre più debole e alla fine rimane solo il silenzio. I domestici abbandonano la fattoria all’istante, tranne la fedele cuoca di colore Sukie. Emma si rifiuta di celebrare una messa in memoria di suo marito e muore poco tempo dopo. I bambini vanno a vivere con i nonni in Virginia. I nuovi proprietari della fattoria si tengono alla larga dal famoso campo, ma i successivi non si lasciano intimorire. Il terreno viene arato più volte, ma il cerchio di erba gialla ricompare ogni volta.
Passano gli anni, ma Sarah non riesce a rassegnarsi. Tenta con ogni mezzo di mettersi in contatto con i suoi genitori. Una medium alla quale si rivolge le comunica che lo spirito di sua madre sta ancora cercando il marito e non riesce a trovarlo. La medium sottolinea il profondo tormento dello spirito di Emma e suggerisce a Sarah di usare uno strumento che le permetterà di mettersi in contatto con sua madre senza intermediari.
Sarah sceglie la planchette.
Si tratta di una tavoletta triangolare di legno, dotata di rotelle, con un foro nel quale va introdotta una matita, e che va collocata sopra un foglio di carta. Si appoggiano le mani sulla tavoletta e si attende che lo spirito scriva il suo messaggio. Si sconsiglia vivamente di intraprendere questa o altre pratiche di evocazione senza un’adeguata preparazione e soprattutto senza essere pienamente lucidi. Sono molti i film in cui si vedono dei ragazzi che si mettono a giocare con la Ouija (la sorella più famosa della planchette) dopo aver assunto alcol o sostanze stupefacenti. Non c’è niente di più pericoloso.
Ma torniamo alla nostra storia. Sarah comincia a usare la planchette con regolarità. Sono anni di grande tristezza per lei. Riceve parole disperate da sua madre che si dice incapace di ricongiungersi con il suo sposo nell’aldilà. Il risultato di queste sedute, per Sarah, è un esaurimento nervoso che la costringe a interrompere l’uso della planchette. Poi, un giorno di aprile del 1929, decide di provare un’ultima volta. Qualcosa sembra chiamarla a gran voce verso la tavoletta di legno. Segue il suo istinto: siede al tavolo, infila la matita nel foro e si concentra. Le parole che traccia la planchette quella mattina le danno la serenità che cerca da tanto tempo. Sul foglio, con una calligrafia diversa da quella di sua madre, c’è scritto: “Ora siamo insieme… dopo tanti anni… Che Dio ti benedica.” Sarah attende ancora qualche istante, ma la planchette non si muove più. La donna si affretta a confrontare lo scritto con la dedica di suo padre che appare sulla prima pagina di un libro di Shakespeare che lui le aveva regalato tanti anni prima. La scrittura è la stessa. Per sicurezza si rivolge a un esperto. Dopo aver studiato a lungo i due testi il grafologo afferma che la dedica e il messaggio uscito dalla planchette sono frutto della stessa mano. Sarah racconta l’intera storia al giornalista Stuart Palmer che ne fa un articolo. Poi entrambi firmano una deposizione nella quale garantiscono la veridicità dell’evento. Accludono la dedica e il messaggio, nonché l’attestazione dell’esperto grafologo.
Nessuno sa se la storia del signor Lang sia vera. Molti sostengono che sia una versione aggiornata di quella di Orion Williamson. Nel 1854 in una piantagione vicino a Selma, in Alabama, Orion scomparve come David. Attraversava un campo e si dissolse nell’aria. Anche in quel caso la moglie e altri due testimoni videro la scena e non seppero spiegarsi cosa fosse successo. Dopo estenuanti ricerche in tutta la piantagione e nei dintorni, fu chiaro a tutti che Orion era morto. La moglie impazzì. Le corrispondenze tra le due storie sono così tante da indurre a credere che qualche furbastro abbia preso la storia di Orion per riproporla con nomi e luoghi diversi. Joe Mulhatten, commesso viaggiatore, viveva dalle parti di Summer County ed era considerato uno molto bravo a inventare storie bizzarre. Potrebbe essere stato lui a concepire la leggenda di David Lang? Ci sono molti dubbi al riguardo, specie pensando che questo Mulhatten forse non è mai esistito. Una leggenda dentro una leggenda. Le cose si complicano. Nel 1976 Robert Forrest e Bob Rickard, due ricercatori, cercarono di fare chiarezza. Controllarono i censimenti dell’epoca in questione e scoprirono che David Lang non risultava registrato. La fattoria dove si sarebbe svolto in fatto non fu mai localizzata. Detto questo, forse dovremmo tornare alla figura del giornalista Stuart Palmer e concludere che l’autore della burla è lui. Avrebbe fabbricato le prove (dedica sul libro e messaggio dall’aldilà) per dare maggior credibilità alla storia. La faccenda potrebbe finire qui, se non fosse che quella di David Lang non è l’unica leggenda in circolazione.
Nel 1873 James Burne Worson era un calzolaio che viveva a Leamington, nel Warwickshire, Inghilterra. Aveva un piccolo negozio sulla via principale della cittadina ed era considerato un uomo onesto, anche se un po’ troppo attratto dall’alcol. Era celebre per le scommesse assurde che faceva quando era ubriaco. In una di queste occasioni cominciò a vantarsi delle sue qualità atletiche e della sua grande resistenza come podista. Si diceva capace di correre da Leamigton a Coventry e ritorno senza mai fermarsi. Una distanza di circa quaranta miglia. Un suo concittadino lo sfidò a dimostrare quanto aveva affermato, scommettendo una sovrana (sterlina d’oro) che non ce l’avrebbe fatta. La competizione iniziò subito. Lo scommettitore salì su un carretto con Barham Wise e Hamerson Burns per seguire da vicino il corridore lungo tutto il percorso. James procedeva spedito. Aveva un fisico molto resistente alla fatica. A un certo punto inciampò, cadde in avanti, lanciò un grido e svanì. Aveva sei occhi puntati addosso. I tre testimoni avrebbero continuato a ripetere che era sparito ancor prima di toccare terra. Tornati a Leamington, i tre furono arrestati. Nessuno riuscì a credere alla loro storia e il sospetto che avessero ucciso James si diffuse in tutto il paese. Molti erano perplessi. Di assassini che tentavano di discolparsi ce n’erano tanti, in giro, ma nessuno aveva mai inventato una bugia del genere per tirarsi fuori dai guai.
La terza storia è forse la più interessante. C’è di mezzo la neve, sulla quale rimangono chiare tracce dei movimenti di una persona.
Christian Ashmore, sua moglie, sua madre, le due figlie adulte e il figlio Charles di sedici anni si trasferirono a Quincy, in Illinois, nel 1878. Comprarono una fattoria nei pressi della quale c’era una sorgente che avrebbe fornito l’acqua per i lavori domestici, la preparazione dei cibi e l’igiene personale. Un pomeriggio Charles fu visto prendere un secchio e avviarsi verso la sorgente. Non fece più ritorno. I familiari erano convinti che si fosse fermato a giocare con la neve, ma quando il sole cominciò a tramontare si resero conto che doveva essergli successo qualcosa. Il padre, accompagnato da una delle figlie, Martha, si avviò con una lanterna verso la fonte. Un leggero strato di neve copriva il terreno, e le impronte lasciate da Charles erano ben visibili. All’improvviso il signor Ashmore si fermò. Martha vide che suo padre stava fissando il terreno e fece altrettanto. Quel che vide le mise addosso una paura del diavolo. Le impronte si interrompevano di colpo. Da quel punto in poi lo strato di neve era intatto. Il cielo era sereno e non era possibile che una precedente nevicata avesse coperto solo una parte delle tracce, lasciando le altre inalterate. I due proseguirono fino alla sorgente, chiamando il ragazzo. Charles non c’era. Dopo un paio d’ore tornarono a casa, visibilmente scossi. Durante la notte un’abbondante nevicata coprì gli ultimi passi del giovane. Cominciarono le ricerche. La madre, consumata dal dolore, si recò alla fonte un paio di giorni dopo. Passando per il punto in cui suo figlio era presumibilmente scomparso sentì la sua voce. Si aggirò nella neve per parecchio tempo, cercando di stabilire la fonte del suono. Non ci riuscì. Sfinita, tornò indietro e riferì ai familiari quanto le era successo. Disse che le parole che aveva sentito erano chiare, ma che già qualche secondo dopo non riusciva più a ricordarle, un po’ come accade con le frasi udite nei sogni che scivolano via dalla memoria appena ci si sveglia. Nei giorni seguenti anche gli altri membri della famiglia udirono la voce di Charles. Il suono divenne sempre più debole e l’arrivo dell’estate portò solo un triste silenzio.
Tutte queste persone sono forse precipitate nella quarta dimensione? Per accettare questa teoria è necessario capire com’è fatto lo spazio in cui viviamo e ci muoviamo. L’universo conosciuto ha tre dimensioni: altezza, lunghezza e larghezza. Generalmente il tempo viene indicato come quarta dimensione, ma non è esattamente così. In realtà il tempo è una cosa a parte di cui sappiamo molto poco. È una linea retta composta da passato, presente e futuro. Nessuno può fare balzi indietro né in avanti. Si vive nel presente. Ciò che ero ieri non esiste più, ciò che sarò domani non esiste ancora. In pratica, per noi, il tempo ha una sola dimensione, la linea retta di cui si parlava pocanzi. Quali potrebbero essere le altre dimensioni? Che succederebbe se fosse possibile allungare e piegare quella linea retta a piacimento? Si potrebbe viaggiare nel tempo? Oppure il risultato sarebbe un caos tremendo? Passato, presente e futuro si fonderebbero in turbine ingestibile? Nella dimensione-spazio ci muoviamo con i mezzi di trasporto e con il corpo, ma nella dimensione-tempo? Avrebbe qualche influenza la materia di cui siamo fatti, oppure verrebbe sbriciolata e resa inutile da leggi completamente diverse?
I libri descrivono la quarta dimensione come “quel punto nello spazio a cui uno può giungere viaggiando in direzione perpendicolare allo spazio tridimensionale.” Non è facile come seguire dei cartelli stradali, questo è certo. Già il grande scrittore H.P. Lovecraft ipotizzò a suo tempo l’esistenza di altre dimensioni oltre alla nostra, spiegando che noi viviamo in una sola sezione tridimensionale. Abbiamo questi mondi che sono vicini e che, per qualche ragione ancora sconosciuta, a volte trovano un punto di congiunzione temporaneo. Tentare di ridurre pagine e pagine di disegni geometrici e formule matematiche in un paio di frasi è impossibile, ma lo scopo è quello di farsi un’idea di ciò che potrebbe essere accaduto a David Lang e agli altri.
Volendo ulteriormente ridurre il tutto a un’immagine più concreta, potremmo pensare a piccoli crepacci che si aprono nel mondo reale, quello che conosciamo, nei quali le persone precipitano senza possibilità di tornare indietro. Dall’altra parte le regole non sono più le stesse e gli sfortunati che cadono nel crepaccio non possono interagire con chi si trova nella dimensione che hanno lasciato. Alcuni dicono che nella quarta dimensione c’è il vuoto. Non ci sono forze né energie che possono permettere alla luce e al suono di penetrare. Nessuno dei nostri cinque sensi può essere utilizzato. Se un essere umano ci cade dentro, non può più essere visto né vedere. Non può sentire né essere ascoltato. Allora come spiegare le voci che i familiari degli scomparsi dissero di aver sentito? In effetti altri scienziati affermano che la luce e il suono esistono nella quarta dimensione, ma viaggiano e si diffondono in modo diverso. Le onde sonore riescono in qualche modo a superare la barriera tra i due mondi, mentre le immagini no. Una parola pronunciata in un certo momento arriva a destinazione molto tempo dopo. Chi scompare chiede aiuto, ma la sua invocazione viene udita solo dopo alcuni giorni. Le distanze sono stravolte e magari un piccolo passo diventa un passo di un chilometro, e perdersi definitivamente è questione di secondi. Lo scomparso si allontana senza volerlo dal punto di congiunzione tra i due universi e la sua voce raggiunge con fatica sempre maggiore le nostre orecchie. Alla fine non riesce più a farsi sentire. Magari dall’altra parte la vita scorre più veloce e chi svanisce invecchia di dieci anni ogni dieci ore e muore in pochi giorni. Ciò spiegherebbe il silenzio improvviso. Semplici congetture, ovviamente. Nulla di certo.
Gli scettici chiudono la discussione etichettando queste storie come leggende confezionate da buontemponi. Siamo sicuri che invece non siano reali fatti di cronaca? Ci sono persone che stanno studiando la possibilità di viaggiare nel tempo, persone che ritengono sia fattibile. Andare avanti e indietro con la DeLorean come fa Michael J. Fox in Ritorno al futuro significa pretendere troppo, ma dato che i nostri movimenti, pensieri ed emozioni lasciano una traccia nello spazio è probabile che tra qualche tempo saremo in grado di riprodurre il passato come fosse un film tridimesionale. Sì, forse, un giorno, gli scienziati riusciranno ad aprire la porta che dà sulla quarta dimensione. A quel punto una persona dovrà varcare la soglia per vedere cosa c’è oltre e scoprire che fine ha fatto David Lang.
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1 commenti
Aggiungi un commentoInteressante ed inquietante! Peccato le testimonianze siano così datate, questo infatti mi fa pensare alla bufala (impossibile confutare episodi di più di un secolo fa...)
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