Ciao Danilo, bentornato su Horror Magazine. Phasar edizioni, uno degli editori con cui collabori, sta rilanciando in questi giorni Ancora il vento piange Mary (apparso per la prima volta nel 2008), tua antologia composta da nove racconti. Cosa ci puoi dire di questa nuova edizione? Hai operato una revisione del testo?

Il testo era buono. È stato ovviamente rivisto e rieditato. La decisione di rilanciarlo è venuta di comune accordo con il patron editoriale Lapo Ferrarese, che è un grande appassionato di horror e limitrofi territori, oltre che pregevole scrittore in proprio. Abbiamo pensato di reinserirci sull’onda della nuova saggistica su Jimi Hendrix a fronte del 44° anniversario della sua morte, su cui peraltro si continua a speculare. Secondo noi molti naturali fruitori di un’antologia del genere non l’hanno ancora scoperta.

Come spiegavi nell'introduzione del libro pubblicato nel 2008, per te "l'horror deve mordere nelle parti molli. Perturbare. Provocare insonnia". Lo scrittore horror è uno "schizzato" affetto dalla "Sindrome da personalità multipla". L'horror è un genere pericoloso?

Bisognerebbe in primis distinguere l’horror vero dall’edulcorato filone di vampirelli esangui e di streghette adolescenti. Tenendone conto, diciamo che il genere dovrebbe certo caratterizzarsi per una sua proposta eversiva quando non sperimentale, esprimere una “pericolosità” – per capirci – senza dubbio intellettuale e andare all’assalto, mordendo (anche nelle parti molli) un mercato che in Italia sembra svanire per troppe cause concomitanti (crisi economica, chiusura di collane e mancato ricambio generazionale degli appassionati, giusto per sintetizzare). In quanto ai pericoli psichiatrici in cui può incappare uno scrittore, che dirti? Se uno come me – 64 anni e 41 libri sul groppone – continua a scriverne, di sicuro merita la palma di Presidente del Club della Rotella Mancante.

Che cosa vuol dire il concetto di "regeneration”, di cui parli sempre nell'introduzione,  come lo hai applicato a questo libro e come ricorre nella tue opere?

Il termine si riferiva al fatto che Ancora il vento piange Mary è la versione “rigenerata” de Il vento urla Mary, mia storica antologia del 2000 edita da Punto Zero. Ho operato rispetto a questa alcune sostituzioni di racconti e un montaggio diverso delle storie che risultano sempre intimamente collegate. Non è un doppione. È una ripartenza con molte, reciproche differenze. Alla lontanissima, giusto per capirci e senza entrare nei meriti qualitativi, il secondo sta al primo come l’Halloween di Rod Zombie sta a quello di Carpenter.

Ancora il vento urla Mary ruota attorno alla figura di Jimi Hendrix, "il più voodoo dei rocker moderni"  si snoda in una serie di racconti che percorrono un vasto arco di tempo, dal 1945 all’Italia contemporanea, scandendo gli eventi grazie a un aeroplano che ha dimenticato di smettere di volare dopo la Seconda Guerra Mondiale e assiste dall’alto alla vicende dei personaggi. Come è nata l'idea di questa opera e come hai messo insieme queste fascinazioni?

 

Idee, tante, che mi giravano per la mente negli anni Novanta. In primis, quella che ha dato vita a Rock- I delitti dell’Uomo Nero, ovvero le morti misteriose della storia del rock dove mettevo al centro di una storia complessa e quasi infinita proprio Hendrix, come fulcro dell’attività demoniaca di Sam Hain, assassino soprannaturale di quelle rock star che hanno osato flirtare con l’occulto, oltrepassando certi proibiti confini. Poi le molte storie, suggestive e a loro modo “gotiche”, del fantasma notturno Pippo o Pipetto, aereo disturbatore della RAF che dal ’43 al ’45 volò sull’Italia, soprattutto al Nord, mitragliando ogni luce in movimento. Storie affascinanti che mia madre mi ha raccontato più volte e sulle quali avevo iniziato a raccogliere materiali per un libro, indeciso allora tra il saggio e la fiction. Quest’ultimo fu uno dei tanti progetti non portati a termine (e lode invece al grandissimo Cesare Bermani per il suo stupendo Spegni la luce che passa Pippo, che in qualche modo ha concretizzato una mia intenzione) però fui folgorato da un’idea quanto mai bislacca (peraltro suggerita dallo stesso Jimi in Star Spangled Banner dove la sua chitarra simula, tra le altre cose, un aereo in volo), ovvero di “tenere assieme” sul piano narrativo Jimi e l’aereo fantasma. Mah, a me la faccenda affascinava… Quest’aereo che faceva Pet Pet con il suo motore tossicchiante, the Wispering Death, entrava e usciva da ogni racconto a volte per una comparsata di una riga e altre volte come comprimario protagonista. E forse azzardi del genere – che, me ne rendo conto, non si rivolgono forse a un target “popolare” – fanno parte, o quanto meno dovrebbero, di quello sperimentalismo che l’horror si porta dentro.

Di che cosa parla la leggenda metropolitana che i folcloristi hanno catalogato come “Morte al Luna Park" menzionata nel racconto La stanza dei vetri rotti?

 

Ian Harold Brunvand la racconta così... Un uomo porta sua figlia al Luna Park e la sistema su una giostra. Presto la piccola comincia a dire piagnucolando che il cavallo su cui si trova la sta mordendo e prega il padre di farla scendere. L'uomo continua a ripeterle: «Non fare la sciocca, il cavallo non ti può mordere». Poco dopo la bambina crolla a terra morta e si scopre che i cavalli sono pieni di serpenti. A quanto pare, quando gli animali di legno sono stati messi in magazzino per l'inverno e i rettili ci hanno fatto il nido. E' una bufala, certo, una forma di esorcismo a suo modo nei confronti di alcuni fatti di cronaca che dimostrano, laddove si allenta ogni tanto si allenta una vite in qualche cabina spericolata e un bambino precipita sull'asfalto, che anche i Luna Park possono uccidere.

In molti dei racconti dell'antologia (per esempio La stanza dei vetri rotti, Codalunga e L'olio del morto) si respira il fascino della provincia. Per tua stessa ammissione la provincia è un posto oscuro dove i mostri esistono: “La provincia è il grande teatro dell’eterna lotta, lo è sempre stata” e poi ancora: “Ognuno di voi ha terrore di addormentarsi sulle autostrade in pianura. Ognuno di voi. Ognuno di noi”. Cosa ci puoi dire a riguardo? 

La provincia, sicuro. La bassa, nebbiosa e misteriosa. Le colline che in Piemonte hanno sul serio gli occhi. Fantasmi, case infestate, omicidi insoluti, masche... È la nerissima regione che si vorrebbe tenere chiusa in un armadio perché i piemontesi sono riottosi e “discreti”. Però ormai esiste una densa e complessa mitologia, a metà strada fra il folclore e la cronaca, sulla quale personalmente ho scritto parecchio, anche sul piano giornalistico (Le Cronache di Bassavilla nascono da qui…). Mi pare anche di essere in ottima compagnia: dalla Romagna di Baldini e Nerozzi alla mia regione nella quale ambientano le loro storie scrittori di rango come Fabrizio Borgio, Luigi Musolino, Angelo Marenzana, Giorgio Bona, Sergio Pent, e tanti altri ancora. La provincia e la campagna sono le nostre riserve di immaginario.

Ne Il caso di Bobby Fuller ricostruisci in versione fantastica e originale la morte del cantante e chitarrista americano. Nel racconto poi si accenna anche alle morti misteriose di altri miti del rock come Brian Jones, Jim Morrison, Jimi Hendrix, Janis Joplin. Il rock'n'roll, la musica del diavolo, è stata colpita, fin da suoi albori, da annunci di morte e visioni dell'oltretomba. Qual è il tuo parere a riguardo, quanto e come sei stato influenzato da queste tematiche?

Ho fatto per anni il musicista e lo faccio ancora saltuariamente. Il mio strumento è la chitarra. Va da sé che io sia stato calamitato da ragazzo dalla figura e dall'arte di Jimi Hendrix come va da sé che io abbia vissuto, quale testimone in pole position, alla parziale autodistruzione di una generazione a me coeva. È logica conseguenza che, come scrittore e saggista, abbia da sempre ritenuto le tematiche nere della musica rock come ottimi materiali per la scrittura e l'analisi. Ho curato diverse edizioni italiane di Rock Babilonia di Gary Herman per Interno Giallo e ho fatto della “musica del Diavolo” il perno della mia narrativa degli anni Novanta. È fiction, non è il caso di ricordarlo. La morte nella musica rock da un lato è business e dall'altro è l'estrema conseguenza, per alcuni, di un uso autodistruttivo di alcol e droga. Non faccio del moralismo, è statistica purtroppo.

Ancora il vento piange Mary è il racconto che dà il titolo all'antologia, e oltre a essere una sorta di ghost story è anche un'amara riflessione sul tempo che passa. Raccontaci un tuo rimpianto, se ne hai, o il tuo pensiero in merito.

Il mio rimpianto – Morgan Perdinka, il chitarrista, non ne fa mistero – è proprio il tempo che passa. Quel tempo che modifica la bellezza e stravolge le persone nell'intimo. Che ti ruba amici e affetti e, citando Gino Paoli, ti lascia in bocca il gusto del sale (Paoli è stato un poeta anche nelle apparenti canzonette...). Ma che ci posso fare? Scriverne. I racconti di Morgan il chitarrista ormai sono tali e tanti (ne scrivo 1 o 2 all'anno e seguono il mio e il suo invecchiamento dato che siamo speculari...) che presto saranno montati cronologicamente per dar vita a un volume unico. Credo che lo intitolerò Un'ombra più nera del nero stesso, parafrasando al contrario A Whiter Shade of Pale dei Procol Harum.

Per la nuova collana Incubazioni, di Cut Up editore, ideata e curata da Stefano "El Brujo" Fantelli so che hai in lavorazione un interessante progetto. Ce ne puoi parlare?

Ritorna Malapunta in una versione particolare illustrata da Enzo Rizzi, il papà di Heavy Bone. Spero che finalmente questo testo, che considero con L'estate di Montebuio uno dei miei parti migliori, possa finalmente avere un suo appropriato spazio di consumo e di presenza sul mercato. La splendida edizione dei XII – ma lì era Malapunta di Morgan Perdinka con la prefazione di Chiara Bordoni -, con una meravigliosa cover di Diramazioni, ha vissuto un tempo brevissimo editoriale causa la chiusura del valoroso e ineguagliabile team capitanato da Daniele Bonfanti. L'edizione in e-book, con altra straordinaria cover di Daniele Serra, è rimasta in vendita online per 48 ore causa la fine di Mezzotints. Se fossi superstizioso e se lo fossero anche El Brujo e Cut Up, ci si dovrebbe pensar su a riproporre questo titolo. La verità è che è quasi paradossalmente vergine, molto “citato” e pochissimo letto. Nel caso in questione uscirà Malapunta di Danilo Arona, senza introduzioni (a meno che El Brujo non mi faccia l'onore...) e con lo stile mio. Perché Morgan Perdinka, lo scrittore, e il sottoscritto sono analoghi ma non simili.

Vuoi aggiungere qualcosa? Magari dandoci qualche anticipazione sui tuoi progetti a venire?

Posso aggiungere che sto ultimando un romanzone bello lungo e bello tosto condotto a quattro mani con una donna meravigliosa che si chiama Sabina Guidotti, scrittrice, editor sublime, sceneggiatrice cinematografica e teatrale allieva di Vincenzo Cerami. S'intitolerà – se manterremo il titolo – Land's End ed è un lavoro a più voci sulla fine dei giorni. Perché il mondo, come lo abbiamo conosciuto, mi pare proprio stia finendo.

Danilo Arona, giornalista, scrittore, musicista, ma anche ricercatore sul campo di "storie ai confini della realtà", critico cinematografico e letterario, instancabile "nomade" editoriale. Al suo attivo un incalcolabile numero di saggi sul cinema horror e fantastico e sul Lato Oscuro della Realtà. Decine sono i titoli dei suoi romanzi, da anni si dedica alla narrativa elaborando un personale concetto di horror italiano legato alle paure del territorio, forse in grado di dimostrare che la nostra solare penisola è uno dei più vasti contenitori mitologici del pianeta.