Ad Aurelius, una cittadina a nord di New York, tutto scorre tranquillo. Gli abitanti, intorpiditi dallo scorrere armonioso del tempo, subiscono un vero e proprio terremoto emotivo il giorno in cui una ragazzina viene uccisa. Subito gli occhi dei locali puntano sospettosi su ogni estraneo che circola per le strade di Aurelius. Quando un’altra teenager sparisce gli stessi cittadini cominciano a scambiarsi occhiate diffidenti. Al terzo delitto esplode il panico. Lo sgomento generale, condito da una sottile paranoia, porterà a galla vecchi rancori e sentimenti d’odio repressi da tempo.
Mentre si legge il libro, a parte la trama ovviamente diversa, si ha l’impressione di ritrovarsi tra le pagine di Cose Preziose di Stephen King. Abbiamo un’altra comunità di persone che, sotto l’influsso di eventi inusuali o che comunque scrollano per bene una realtà inamidata, non riesce a mantenersi compatta e rivela tutta la sua fragilità. Il vero volto di Aurelius è quello di una comunità fasulla i cui membri sono pronti a sbranarsi alla prima occasione. Dietro maschere cordiali e amichevoli tutti odiano tutti, non c’è scampo, e sono in cerca di un motivo valido per esprimere il loro disprezzo. In questo caso, la scusa consiste nel trovare un capro espiatorio a cui attribuire gli omicidi. Messo da parte il ricordo del romanzo di King, si prosegue nella lettura, spinti soprattutto dalla curiosità di conoscere il nome dell’assassino che se ne va in giro indisturbato a far fuori giovani donzelle, vestendone i cadaveri con abiti di velluto decorati con ninnoli di carta, pezzetti di metallo e specchietti. Lo squilibrato in questione titilla il detective nascosto dentro il lettore associando questa sua abilità di macabro sarto a quella di sadico mutilatore, portandosi via la mano destra di ogni cadavere.
I personaggi sono credibili, la descrizione della piccola cittadina di provincia dove non cambia mai nulla è coinvolgente, ma resta l’impressione che Stephen Dobyns continui a trattenersi con uno stile troppo educato che, in alcune scene drammatiche, dovrebbe invece essere crudo e aggressivo per colpire nel segno. Stravolta dagli omicidi, Aurelius diventa un posto abitato da gente ambigua che ambigua non lo è mai davvero. Il cambiamento lo si avverte solo alla fine, mentre ci avviamo verso il tragico epilogo. Il tema centrale del libro non sono gli omicidi, ma la metà oscura che alberga nell’animo di tutti noi. La figura del serial killer, in definitiva, serve a Dobyns per dirci che non siamo poi così diversi da una qualsiasi mente deviata. L’isteria collettiva è un fenomeno che fa paura e che potrebbe colpire ogni città, piccola o grande. E’ questo il triste messaggio del romanzo. Serial killer o meno, l’autore ci invita caldamente a dubitare di tutti. Come dice il vecchio adagio: “fidarsi è bene…”
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