Trama: Giovane antropologo dell’università di Harvard, Dennis Alan approda ad Haiti in quanto interessato a far luce su una misteriosa droga che, a quanto pare, sarebbe in grado di riportare in vita i morti.
Perché vederlo: Diretto dal maestro della paura Wes Craven nel 1988 e con protagonista un ottimo Bill Pullman, allora reduce dalla parodia Balle spaziali di Mel Brooks, The serpent and the rainbow (come s’intitola in patria il lungometraggio) si basa sull’omonimo romanzo scritto da Wade Davis in riguardo a esperienze vissute, a quanto pare, in prima persona.
E, sebbene la figura di Dennis non possa fare a meno di spingere a pensare ad un Indiana Jones in vena di infernale escursione caraibica, è chiaro che l’intenzione della pellicola altro non sia che quella di riportarci alla figura dello zombi originario, ovvero il nero schiavizzato e decisamente lontano dai resuscitati cannibali cui, da La notte dei morti viventi in poi, ci hanno abituati George A. Romero e seguaci.
Non a caso, sebbene le migliori sequenze dell’operazione – per merito anche dell’apporto della fotografia di John Lindey – si rivelino essere quelle degli incubi (del resto, dietro la macchina da presa abbiamo colui che ha inventato la serie Nightmare), ciò che ne viene fuori è un avvincente ibrido di avventura e horror a sfondo politico (la vicenda si svolge durante la caduta della dittatura di Duvalier), caratterizzato da uno sguardo generale quasi da documentario scientifico.
Quindi, per tutti coloro che desiderano approfondire la conoscenza dell’autentico zombismo, tra bokor, tetrodotossina (e non poco Voodoo, ovviamente) c’è molto da imparare qui.
Curiosità: Si tratta della seconda escursione di Craven nell’ambito dello zombie movie, in quanto due anni prima aveva diretto Dovevi essere morta, la cui protagonista era una sanguinaria teen-ager resuscitata tramite l’installazione di un cervello elettronico all’interno della sua testa.
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