Giunti al loro secondo lavoro, gli olandesi MaYan propongono un convincente mix di death metal sinfonico unito a prog metal, con qualche spunto di matrice grindcore e black metal. Le due voci death e pulita (affidate rispettivamente a Mark Jansen, ex Epica e fondatore del gruppo, e Henning Basse) ben si inseriscono in questo variegato e avvolgente tappeto sonoro. Le numerose parti tastieristiche di Jack Driessen, nonostante a volte diano l’impressione di essere un po’ fredde e piatte, sono di fondamentale contributo sulle parti sinfoniche e ottimi sono gli inserimenti di pianoforte che sottolineano molto bene le parti più drammatiche.
I testi trattano della deriva etica e morale che il mondo occidentale sta attraversando a causa di decisioni politiche ed economiche sbagliate; ma qui la vera protagonista è, a ogni modo, la musica: ben prodotto e suonato, Antagonise ci trasmette un senso di grande oppressione, cupezza e imminente apocalisse (non a caso il gruppo, come dichiarato dallo stesso Mark Jensen si ispira alla civiltà Maya…). Le chitarre di Merel Bechtold e Frank Schiphorst sono precise e dai suoni rocciosi così come il drumwork di Airën van Weesenbeek e il basso di Rob van der Loo. Menzione speciale anche per la voce soprano femminile dell’italiana Laura Macrì, che ha il compito di accentuare ulterirmente le atmosfere sinistre dei brani, quali per fortuna scorrono via veloci e senza prolissicità. Vale la pena soffermarsi su buona parte di essi:
L’iniziale Bloodline Forfeit è l'ideale biglietto di presentazione di ciò che ascolteremo nei prossimi 60 e più minuti del disco: veloce e diretta, voci death alternate a pulite e con un ritornello di sapore prog, la sua struttura agile ci invoglia a continuare all’ascolto.
Burn Your Witches è da menzionare per il suo ritornello arioso e melodico, nel quale sembra apparentemente aprirsi qualche spiraglio di luce. Il resto della canzone è però particolarmente cupo e minaccioso e la voce death ci assale con particolare brutalità.
Anche la vivace e complessa Paladins of Desceit ha un bel un ritornello progressivo e molto ispirato (mi ha ricordato i britannici proggers Threshold) e nel quale si sentono per la prima volta i pochi ma azzeccati inserimenti vocali di Laura Macrì, della quale potremo apprezzare tutte le sue sfumature nei quasi tre minuti di Insano, un brano acustico con qualche inserimento di pianoforte e archi cantato in italiano, con melodie davvero sinistre e molto ben sottolineate dalla sofferenza della sua voce che nella strofa assume venature a tratti quasi folk mentre nel ritornello ha le consuete tonalità da soprano. Questi due brani rappresentano forse i migliori momenti del disco.
Rabbia e disperazione ci accompagnano nel death rallentato di Lone Wolf (e non bastano i pochi spunti di matrice prog a farci sentire meglio), mentre nella veloce e melodica Devil in Disguise troviamo molta teatralità.
La complessa Enemies Of Freedom, brano che parla di quanto ancora (forse è meglio dire: soprattutto) oggi l’uso delle armi nella società civile sia visto come risolutivo (“the only thing that stops a bad guy with a gun, is a good guy with a gun" narra l'intro del pezzo). Anche qui troviamo un breve spunto acustico sempre cantato in italiano da Laura Macrì (così come in italiano era cantata la parte a lei affidata nella precedente barocca Human Sacrifice).
Capital Punishment è un altro highlight del disco: inizia come una danza dai tratti macabri e oscuri (molto, molto bello l’inserimento di pianoforte su questa melodia) per proseguire con un’ipnotica marcia rallentata in stile prog e altri momenti cantati su melodie e arrangiamenti che mi hanno ricordato i primissimi Gathering (quelli di Always), per poi riesplodere con la melodia iniziale sulla quale si inserisce ancora una volta una parte lirica di Laura Macrì.
Urli death e black, spunti schizoidi, parossistici, sinfonico-brutali in stile Dimmu Borgir ci accompagnano per tutta la prima parte di Faceless Spies, mentre nella seconda parte troviamo dei bei momenti progressivi affidati alle tastiere sinfoniche. Un pezzo rallentato e struggente, sottolineato da un drammatico assolo affidato a un violino, chiude uno dei dischi più interessanti di questo inizio 2014.
Nota a margine: data la (comunque non eccessiva) complessità dei brani, al primo ascolto si rischia di non apprezzare le molte sfumature che i Mayan ci propongono (all'inizio questo lavoro non mi aveva colpito per niente): chi è interessato all’acquisto non si faccia traviare dalle apparenze, che potrebbero scoraggiare. Il disco merita più di un ascolto e una volta superata la superficie di apparente brutalità, una volta entrati nel loro muro sonoro saremo molto ben ricompensati. Band da supportare. Bravi!
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