Eppure gli ordini dall’alto erano stati chiari, perentori: raccogli informazioni. Non far saltare la copertura, mai. E soprattutto, scopri chi comanda. Scopri chi è il Capo dei Capi.
Quello, allo stato dei fatti, era l’enigma più grande degli Sciarra e della malavita sicula. Non c’era più un Riina, un Provenzano. Sembrava che nessuno, né dalla parte dei buoni né da quella dei cattivi, sapesse chi muoveva i fili.
Il giorno prima, dopo aver rotto il pollice a un pellicciaio che si rifiutava di pagare il pizzo, Salvo era stato preso da parte dai Muti. Con volti inespressivi gli avevano comunicato una notizia che aspettava con ansia.
- È passato un anno. Lavori bene. Stanotte giurare devi.
L’iniziazione alla cosca. Il rito di passaggio da semplice sgherro ad affiliato.
La giornata si era trascinata con lentezza. Il caldo torrido che incendiava i vicoli di Trapani non gli era stato d’aiuto.
Al tramonto i Muti l’avevano prelevato, caricato in macchina e bendato.
Ecco. Ci siamo. Mi hanno scoperto, adesso mi portano in campagna e mi tagliano la gola, aveva pensato Salvo, marcio di sudore. Poi la macchina si era fermata, in campagna, sì, ma nessuno gli aveva aperto la giugulare.
Costretto a camminare per una buona mezz'ora, i Muti che onoravano il loro soprannome non proferendo parola, si era concentrato sul frinire ipnotico dei grilli per mantenere la calma. Infine, avevano disceso una scala per accedere in un ambiente umido e ventilato. Poi qualcuno gli aveva sfilato la benda.
E nulla avrebbe potuto prepararlo alla visione.
Si era ritrovato in un’enorme caverna circolare scavata nel sottosuolo, anche se la parola che era risuonata nella mente di Salvo era stata un’altra.
Tempio.
Un antico tempio scavato nelle viscere della Sicilia, forse ai tempi in cui Trapani si chiamava ancora Drepanon ed era governata dai Cartaginesi.
Decine di candele accese illuminavano appena il soffitto a volta su cui danzavano affreschi sbiaditi dai secoli. Raffiguravano tutti un personaggio femminile, e per qualche ragione Salvo aveva ringraziato la penombra, aveva ringraziato di non poterli vedere nella loro interezza.
Al centro dell’anfiteatro una piccola acquasantiera, circondata da decine di persone incappucciate. Si era domandato se tra loro ci fosse il nuovo Boss.
Le sequenze successive avevano la qualità irreale dei sogni. I Muti l’avevano sospinto in avanti, tendendogli il braccio sopra il catino di pietra, e uno degli incappucciati gli aveva tagliato la mano con un pugnale ricurvo. Il sangue era colato nel bacile, giù per il buco che si apriva al centro.
La parte finale dello strano rito l'aveva sorpreso e inquietato al tempo stesso. Si era aspettato santini, ostie, tutto l'armamentario filo-cristiano tipico delle iniziazioni a una cosca. Invece uno dei Muti gli aveva passato un foglietto, sibilando: - Leggi.
Salvo si era schiarito la voce e recitato le parole vergate sulla carta: - Cu me sangu fazzu u pattu ca famigghia e Marrabbecca, la Signura di li Tanchi, a’ vecchia di Drepanon. Fino a chi nun mi abbannuna a’ vita, e così sia.
Salvo aveva dovuto trattenere un risolino. La Marrabbecca era un mito popolare; una creatura che infestava le cisterne, una sorta di Babau al femminile inventato chissà quando dalle madri siciliane per tenere lontani i figli da quelle trappole di lamiera piazzate su quasi ogni tetto e terrazzo dell'isola. Quanti bambini erano morti affogati arrampicandosi lì dentro?
Gli Sciarra avevano sostituito l'iconografia cristiana con una deità del folclore. Con una favola per bambini.
E quando Salvo aveva aperto la bocca per chiedere, per capire, gli avevano calato la benda sugli occhi, trascinandolo via, mentre dal tempio si levava un inquietante salmodiare.
- Questo cane s’è imboscato sei pezzi di coca. Ora a schifiu finisce. Sparaci in testa, Salvo.
La voce di uno dei Muti lo riportò al presente. Salvo sussultò, rielaborando le parole, ma aveva sempre saputo che sarebbero arrivati a quel punto. Quando i Muti gli avevano dato appuntamento sul terrazzo, aveva capito che non era finita. Che avrebbe dovuto siglare l’affiliazione agli Sciarra con altro sangue. Quello di un infame.
Un male minore per un bene superiore. Non far saltare la copertura, mai.
Senza tentennamenti, estrasse la Beretta 92 dalla cintola dei jeans e la puntò alla nuca del giovane sorretto dai due scagnozzi.
2 commenti
Aggiungi un commentoQualcuno disse che la mafia è un fenomeno umano e come tale destinato a finire... Forse si sbagliava?
Bel racconto anche questo, complimenti all'autore, al quale dichiaro il mio amore per i "Vermi conquistatori"... Quindi doppi complimenti.
Concordo con Samuele, ottimo racconto e complimenti a Luigi anche per il lavoro sui vermi conquistatori, che sto finendo di leggere in questi giorni.
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID