Sud degli Stati Uniti. Due Anni prima dello scoppio della guerra civile.
Django è uno schiavo nero che viene acquistato, dopo una movimentata trattativa, dal dottor King Shultz, un dentista che viaggia su un carretto.
I due fanno un patto: la libertà dello schiavo in cambio del suo aiuto nel riconoscere i fratelli Brittle, aguzzini di Django mentre lavorava nelle piantagioni. Shultz è, in realtà un cacciatore di taglie che vuole quella che pende su i tre malviventi. Django accetta l’accordo, e dopo aver trovato e ucciso i Brittle i due fanno squadra per continuare a dare la caccia ai ricercati del Sud.
Il vero sogno di Django è però ritrovare Broomhilda la moglie che ha perso tempo prima e che adesso è in mano dell’eccentrico Calvin Candie...
Dopo Bastardi senza gloria, Quentin Tarantino torna al grande schermo con Django Unchained, pellicola creata con l’intento di rileggere lo spaghetti western e omaggiare il cinema di Sergio Corbucci (il titolo della pellicola si ispira al suo Django del 1966) ma che in realtà mischia, con la cifra stilistica inconfondibile del regista, molti altri elementi come il pulp, la Blaxploitation, il tema sociale dello schiavismo americano, situazioni divertenti (alcune al limite del demenziale), dialoghi brillanti e interminabili, un’ironia dissacrante, una massiccia dose di citazionismo e una pioggia di sangue degna di una pellicola splatter.
Sorretto da un cast di ottimi attori come Jamie Foxx, Leonardo Di Caprio, e Christoph Waltz che, dopo Bastardi senza gloria, ci regala un’altra memorabile prova di attore interpretando il cacciatore di taglie di origini tedesche che aiuta Django nella sua impresa, l’immancabile Samuel L. Jackson (qui reso quasi irriconoscibile) nella parte riuscitissima di uno dei villain della pellicola, Django Unchained è un film destinato a far discutere e dividere, perché contiene tutti quegli elementi che hanno fatto la fortuna di Tarantino regista e per i quali viene accusato dai suoi detrattori (come l’ostentazione gratuita di sangue e morte, il turpiloquio, la violenza e le esasperazioni linguistiche), e che, invece, farà la gioia dei sui fan della prima ora.
Efficace e brillante la prima parte, la pellicola rallenta nella parte centrale (l’addestramento di Django, l’inverno e la caccia ai ricercati) si riprende sul finale più veloce e ricco di azione, sparatorie ed esplosioni.
Come in Kill Bill, Django Unchained è ammantato dalla presenza del sangue e di effetti violenti. Un fiume di sangue in piena, sangue che sgorga dalle ferite causate delle pallottole, teste che esplodono, corpi martoriati dalla frusta, lame incandescenti o dalle semplici mani nude della lotta tra mandinghi (lottatori neri). Un sangue iperrealistico, finto, un’esagerazione di orrori in grado di far accettare al pubblico ciò che in altre cifre diverse (si pensi ai Torture Porn, per esempio) sarebbe stato difficilmente sopportabile.
Una pellicola che conferma il talento e l’inventiva di Tarantino, anche se nulla aggiunge al suo personale immaginario, 160 minuti che scorrono senza quasi farsi sentire sullo schermo, un film che diverte, incuriosisce e che ha spazio anche per alcune riflessioni sociali.
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