L’odore fetente aveva richiamato schiere di topi che erano spuntati da ogni dove e si erano scagliati sul liquame, nutrendosene avidamente. In pochi minuti avevano spazzolato tutto, ma non erano sazi. Al contrario: sembravano sovraeccitati, impazienti, vogliosi.

Si scagliarono su Enrico, che nel frattempo aveva smesso di sgorgare quel putridume, e gli entrarono in bocca, uno dopo l’altro, per attingere il nettare direttamente dall’interno.

Quando ebbero succhiato fino all’ultima goccia, uscirono dal suo corpo rapidi e composti. Di Enrico restava solo la pelle: sembrava una muta da sub rosa buttata in un angolo dopo un’immersione. Poi i topi si schierarono uno di fianco a l’altro a intervalli regolari, quasi fossero militari in attesa di un’ispezione della camerata. Mi guardavano e aspettavano. Con la poca lucidità che mi restava, passai in rassegna le possibilità di fuga: nessuna. Loro erano più veloci di me e io ero solo contro un esercito di piccoli onnivori voraci.

Dopo un tempo che non saprei quantificare, nel silenzio si stagliò il mio primo gorgoglio enterico: i ratti rimasero immobili, ma i loro occhi brillarono. Fui assalito da un caldo straziante che mi obbligò a strapparmi i vestiti di dosso. Poi fu la volta dei conati e degli spasmi e, da ultimo, sopraggiunse il vomito. Lo spettacolo dei topi che mangiavano il magma mefitico che eruttavo mi atterriva più del dolore fisico: fu quasi un sollievo, quando il liquame iniziò a zampillarmi anche dagli occhi. Il buio in qualche modo mi proteggeva da quella mostruosità.

La vecchia aveva preparato per i due sposini una bella luna di miele all’Inferno, ma noi c’eravamo impossessati della loro prenotazione e ci ritrovavamo a essere i clienti speciali di quell’insolita suite matrimoniale.

Urlerei, ma un travolgente flusso di vomito me lo impedisce. Fatico a respirare, perché quel liquido oleoso ora mi esce simultaneamente dalla bocca e dal naso. Tra una scarica e l’altra ho giusto il tempo di immagazzinare un po’ d’aria per non soffocare. Enrico è poco lontano da me: ha ripreso sostanza e si sta vestendo. Ha davanti a sé un bel pacchettino infiocchettato pieno di paste. Tra un po’ inizierà a mangiarle e tutto ricomincerà da capo. Ormai non so più da quanto continua questo flagello: giorni? settimane? mesi? Mangiamo, vomitiamo, i topi ci svuotano e dopo riacquistiamo il nostro aspetto di sempre, pronti a gustare l’ennesimo vassoio di dolcetti: è un ciclo senza fine. Quando uno vomita, l’altro mangia. L’appetito dei sorci si rigenera continuamente.

Non spero nella salvezza, non mi interessa sapere dove sono e nemmeno il perché di tutto questo; mi basterebbe che qualcosa cambiasse, anche una piccola sfumatura, ma, ogni volta che scarto la confezione, ad aspettarmi ci sono sempre i soliti pasticcini. Irresistibili, deliziosi.