Una piccola voce, insistente, si affaccia sulla scena. Mai ascoltata prima, eppure sembra in qualche modo familiare. È la voce della rabbia e dell’egoismo, capace di annebbiare la mente e ottenebrare il cuore. Non è altro che il racconto di quei pensieri improvvisi che ci affanniamo talvolta a soffocare, per essere migliori.
Il protagonista di Familiar (cortometraggio del regista canadese Richard Powell) decide invece di ascoltare la sua voce più fredda e sprezzante. Possono sentirla in questo caso anche gli spettatori, in sala. Così il pubblico segue a mano a mano il declino dell’uomo, verso un sempre maggiore livello di cinismo, che degenera in vera e propria malvagità.
A questo punto però, la morale dell’uomo ritrova forza e, in uno scatto d’orgoglio, lo aiuta a interrompere l’orribile circolo vizioso. Sembra finita: invece, purtroppo per il protagonista, è solo l’inizio.
La voce si manifesta infatti in forma fisica, come un vero e proprio blocco di carne, che prende a pulsare e muoversi lungo il corpo del protagonista se non ascoltata, costringendolo a una situazione che appare insostenibile. Fino a quando la soluzione, terribile nella sua semplicità, non si affaccia alla sua mente provata e sconvolta.
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