Si alza la temperatura, un anticiclone californiano ha ripreso a centrifugare calore attraverso note potenti. Sonorità che non appena sembrano fare retromarcia verso le proprie radici dirottano subito verso melodie sperimentali decisamente contaminate da un'intenzione progressiva. Un grido iniziale, “I am death”, fa presagire la svolta. Distorsioni e ritmi intrisi di epica atmosfera. Cosa resta del passato? Una macchina devastante, energia inscalfibile, ritmi serrati, con una dannata voglia di smuovere la terra, far ribollire il sangue e - perché no? - emozionare.
Dopo ben 4 anni d'attesa arriva finalmente il nuovo album dei Machine Head, Unto The Locust. Forti del successo avuto con l'ultimo lavoro del 2007, The Blackening, Adam Duce, Robb Flynn, Phil Demmel e Dave McClain irrompono nel panorama metal di questa nuova decade con audacia, senza tradire le aspettative, arrivando fino a sorprendere.
“Where once a heart was beating/Nothing but embers glow/Our love it serves as kindling/To stoke this flames inferno”: i versi di I Am Hell (Sonata In C#) deflagrano i cori epici in apertura annodati da riff ipnotici e scale da vertigine. Un quattro quarti in crescendo, da schiaccia sassi, e poi in picchiata verso il raddoppio martellante di cassa e rullante, senza mai prendere fiato, se non verso la fine quando il brano assume toni più classici, dopo un arpeggio acustico inaspettato.
Sfumata la prima traccia, Be Still And Know apre con un tapping di chitarra che annulla qualsiasi dubbio: quello che stiamo ascoltando è un album che andrà ad arricchire la storia del genere. Il clangore metallico delle distorsioni, la pienezza delle ritmiche, l'orecchiabilità tutt'altro che scontata delle melodie, sono qualità perfette per caricarsi con tutta la grinta del mondo, buone per gli appassionati, che non dimenticano i dosaggi dei primi Machine Head, e ottime per tutti quelli che ancora non conoscono o che hanno scordato l'energia senza filtro espressa dalla loro musica.
Locust già in circolazione dopo il The Mayhem Festival, ritoccata da mixing avanzato e mastering, si presenta in una veste completamente nuova, migliorata sotto ogni punto di vista, in linea con il sound dell'intero disco, qualitativamente molto avanzato. A tal proposito è giusto ricordare che la buona riuscita del prodotto discografico è da attribuire anche al prezioso apporto tecnico di Flynn che durante le registrazioni al Green Day's Jingletown Studios si è occupato direttamente di produzione e mixaggio.
Altre tre canzoni, This Is the End, Darkness Within, Pearls Before the Swine, mantengono alto il livello, regalando esempi impeccabili di virtuosismi e reminiscenze trash metal. Solo Who We Are sembra abbassare il tenore raggiunto dai brani precedenti, sostenuta da arrangiamenti più prevedibili e meno accattivanti, ma nell'insieme è solo un piccolo neo.
Unto The Locust rimane un album notevole, ancora di più se si pensa al successo del disco precedente. I Machine Head non sono caduti nella tentazione di giocare la carta della nostalgia puntando sul sicuro. Anzi, la loro settima opera vede i quattro componenti della band in qualche modo rinnovati, arricchiti di nuove intenzioni in favore di un suono più vigoroso e allo stesso tempo più tecnico. La riprova che guardare di traverso la contemporaneità facendo musica cattiva e intelligente è ancora possibile.
Tracklist:
1. "I Am Hell (Sonata in C#)
I: Sangre Sani (Blood Saint)
II: I Am Hell
II: Ashes to the Sky"
2. "Be Still and Know"
3. "Locust"
4. "This Is the End"
5. "Darkness Within"
6. "Pearls Before the Swine"
7. "Who We Are"
Sito ufficiale: www.machinehead1.com
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