Un cocktail d'azione, horror, western, apocalisse, romanticismo e spara-tutto. Troppo per un solo film che finisce per essere un miscuglio disomogeneo, che non funziona.
Un mondo devastato per secoli da lotte tra uomini e vampiri. La storia si svolge attorno alla figura di un Prete Soldato, distintosi nell'ultima Guerra dei Vampiri, ma ora dimenticato e rinnegato da una società che non ha più bisogno di lui. Quando sua nipote viene rapita da un gruppo di vampiri, il Prete scioglie i voti che lo trattenevano in città, per iniziare una caccia ossessiva per trovare la ragazza prima che sia troppo tardi. Lo accompagnano in questa crociata il fidanzato di lei, uno sceriffo della terra di nessuno dal grilletto facile e una Sacerdotessa Guerriera, sua compagna nelle battaglie passate.
La pellicola è liberamente tratta dall'omonimo fumetto coreano di Min-Woo Hyung, da cui però si discosta in modo deciso. In realtà è difficile per chi a letto il manhwa trovare delle similitudini, se non nell'ambientazione far-West\steam-punk.
Si salvano le scenografie e le ambientazioni, ben fatte sebbene non originali. La dispotica e affollata metropoli ricorda un po' troppo la Los Angeles futuristica di Blade Runner. E ormai il deserto è una location fissa per tutti i film post-apocalittici.
Il regista, Scott Stewart, punta su una fotografia d'impatto, saturando e giocando sul contrasto ombre\luce, che riesce nel suo intento di spettacolarizzare.
Le creature e gli effetti speciali riescono a difendersi in un mondo ormai sovrappopolato.
Fine dei punti positivi.
Priest fa acqua da tutte le parti, una sceneggiatura non solo monotona e piatta, ma anche in molti punti oscura e inconcludente. Vi sono errori così grossolani, che fanno storcere il naso anche al più distratto degli spettatori.
E' marcato il fatto che in fase di montaggio ci siano stati diversi tagli e in un film che dura soli 87 minuti, non se ne capisce la ragione. Non sappiamo se ne avrebbe tratto grande profitto, ma difficilmente ne avrebbe sofferto.
Inoltre la pellicola può essere annoverata fra i lungometraggi con i dialoghi peggiori. Lo spettatore viene torturato con “perle di saggezza” incomprensibili, di cui si chiederà il significato a tempo indefinito. Vi è anche l'ossessiva ripetizione del monito «se la nipote risulterà infettata, lui l'accoppa», discorso portante della pellicola, non tanto per la profondità del concetto quanto per onnipresenza nei, già scarni, dialoghi tra i tre protagonisti. Ripetuto sino alla nausea.
Paul Bettany, ormai ben collaudato nei ruoli filo-religiosi, avanza per inerzia nella parte assegnatogli e regge la scena in modo meccanico, ma funzionale. Maggie Q è discreta nel ruolo della sacerdotessa, tuttavia è proprio il personaggio in sé a non funzionare, traballante sul campo emotivo-psicologico ed estremamente stereotipato. Il cattivo della situazione è uno scialbo Karl Urban, che non convince e annoia.
Ma la vera nota dolente del film è Cam Gigandet, la sua interpretazione, se d'interpretazione si può parlare, è caricaturale e fastidiosa. Lo sceriffo ne risulta un personaggio insulso, inutile e patetico. L'attore poteva essere un passabile mono-espressivo vampiro in Twilight, dove non gli veniva richiesto molto di più che mostrare addominali scultorei. Ma in un ruolo da quasi co-protagonista mostra la sua attuale incapacità di reggere scene sopra i due minuti.
In conclusione Priest è un film che si è perso per strada. Aveva le basi per arrivare a un risultato di tutto rispetto, ma evidentemente si è scialacquato questa opportunità.
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