Un uomo, uno spazio buio, molti enigmi e tanta paura, un cellulare con poca batteria e un piccolo accendino per capirci di più, assi di legno serrate, un luogo tra due continenti, da un lato l’America e il suo sogno da afferrare ormai quasi perduto, dall’altro l’Iraq e la sua terra, un deserto tanto inospitale quanto rassicurante, l’unica vera via d’uscita per chi è sepolto vivo in una bara e se lo trova sopra la testa.
Di fronte al dramma ripetuto della vita dell’uomo che fa i conti con il suo destino senza accettarlo fino in fondo, il film dell’esordiente trentaseienne Rodrigo Cortés, talento spagnolo che già aveva stupito la critica nel 1998 e nel 2001 rispettivamente con i cortometraggi Yul e 15 days e nel 2007 con The contestant, assume una prospettiva originale e coraggiosa. È fresco, coinvolgente, ansiogeno quanto basta, ricco di espressività e aneddoti narrativi ben congegnati, di momenti vivi. A volte forse esagera: sembra infatti volersi divincolare dai limiti della scenografia, come se non soffrisse più gli spazi angusti e claustrofobici. Ma gli eccessivi piani sequenza, i numerosi primi e primissimi piani e i vertiginosi zoom, non tolgono affatto a Buried – Sepolto quella sensazione di immedesimazione che solo un’attenta regia e un’ottima recitazione sono capaci di ricreare.
Al centro Paul Conroy, un camionista che si sveglia sotterrato vivo, legato e imbavagliato, in una bara di legno grezzo con un cellulare, un coltello e un accendino. Se inizialmente l’obiettivo è rimettere insieme i pezzi e non soccombere al panico, in seguito l’unico scopo rimane quello di uscire da lì cercando di comunicare con l’esterno attraverso il telefonino. Dopo essere riuscito a liberarsi le mani, la prima cosa che Paul prova a fare è avvertire le persone a lui più vicine, ma nessuno risponde. Anche il tentativo di contattare l’FBI non va a buon fine, la telefonata dura pochissimo e la linea cade prima che Paul possa spiegare la situazione; lo sfortunato camionista riesce a capire solo che è stato rapito. Intanto l’aria diminuisce e il respiro si fa affannoso. Anche la batteria del cellulare non durerà per sempre. E con un certo retrogusto kafkiano il prigioniero si trova a espiare peccati senza una colpa. “Cosa vogliono gli aguzzini? Perché io? Perché il cellulare non prende? Quanto ancora dovrò aspettare finché qualcuno mi dia una risposta, venga in mio aiuto e riesca a salvarmi?” Queste, e non solo, sono le domande che ci facciamo con Paul, vittima di un complotto, ignaro spettatore-attore della tragedia che sta lacerando la sua vita. E con il fiato sospeso i 94 minuti passano in un baleno. Tra attese snervanti e vertigini psicologiche neanche ci accorgiamo che tutto sta accadendo dentro una cassa, grazie a una miriade di invenzioni e colpi di scena, esempio dell’inesausta creatività del regista.
Un solo attore sepolto, il bravo Ryan Rainolds (The Nines 2007; X men le origini: Wolverine 2009; Paper Man 2009) che resta sobrio e non cade nella tentazione di un eccessivo protagonismo, fuori guerra e deserto. Questo è Buried. Un’impresa che al Sundance Film Festival 2010 ha riscontrato meritatamente un gran successo tanto da far esaltare anche il critico cinematografico Alex Billington che lo ha definito senza mezzi termini un “film fenomenale”.
Ormai era un anno che si parlava del progetto e alcuni iniziavano a pensare che il giovane regista non ce l’avrebbe fatta. Invece la sfida dell’ora e mezza in una bara è riuscita. È sorprendente come Cortés e Reynolds siano riusciti a dar vita a un film così avvincente. Sembrerebbe impossibile credere che 94 minuti con un solo attore, girati in una bara, possano tenere incollati allo schermo, eppure questo è ciò che succede. Inoltre, sceneggiatura, regia, storia e interpretazione contribuiscono a un effetto di immedesimazione tra spettatore e attore miracoloso che risulta essere uno dei punti forti del film.
Così Buried promette già di essere un cult. Senza effetti speciali, realizzato con un budget tutt’altro che stellare, il film è un intelligente dosaggio di buio, luci da display, fiamme tremolanti e adrenalina. “Incredibilmente intenso”, è il giudizio che sembra trovare d’accordo tutta la critica. “Dall’inizio alla fine”, verrebbe da aggiungere. E, a detta degli esperti, di questo film sentiremo parlare per molti anni. Non resta che decidere se andarlo a vedere.
2 commenti
Aggiungi un commentoho visto il film e devo dire che mi ha lasciato davvero scioccata!!davvero fenomenale, unico nel suo genere ..anche se mi ha lasciato una brutta sensazione addosso.Ho continuato a pensarci anche all'uscita del cinema....Inoltre soffro anche di claustrofobia e vi lascio immaginare come stavo...ogni affanno, ogni grido di disperazione mi metteva ''ansia''..perchè nn ho provato ne orrore ne altro..ma ansia, disperazione.Un film angosciante...il solo pensare a qlo che ho visto ...mi fa MANCARE L'ARIA.......
L'idea del regista è sicuramente originale. Il film non è mai noioso nè prevedibile. Specialmente questa sua imprevedibilità si scatena nella prima mezz'ora. Sembravano quasi comiche le risposte che riceveva la povera vittima durante le prime telefonate. Informava di essere stato rapito e di essere rinchiuso dentro ad una bara. Aveva bisogno URGENTE di contattare l'ambasciata americana ma si sentiva dire "ma adesso scusami, devo andare al supermercato" oppure "non usi quel tono signore! E per favore resti calmo" o addirittura "il cellulare l'ha trovato lì dopo che SI E' MESSO nella bara?!?".
Per fortuna nei minuti che seguono, la demenzialità delle risposte va cessando ma i dialoghi nella prima parte influenzano negativamente il giudizio complessivo del film.
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