I Death SS nascono a Pesaro nel 1977, per opera del chitarrista Paul Chain e dell’istrionico vocalist Steve Sylvester (la sigla sta per “In death of Steve Sylvester” e niente ha a che vedere con le accuse di nazismo a cui il gruppo è stato spesso sottoposto), ma l’amicizia fra i due è già finita quando, sotto la direzione di Sylvester, il gruppo comincia a raccogliere il materiale composto in un long playing, nel 1988, a Firenze.
Sin dagli inizi il gruppo mostra interesse nel miscelare le suggestioni della cultura horror e i richiami esoterici su un impianto heavy metal, senza tralasciare l’aspetto visivo (trucchi, maschere, scenografie e coreografie delle esibizioni live). Nascono così le caratterizzazioni che accompagneranno i componenti della band nei primi anni dell’esperienza: il Vampiro (Sylvester), lo Zombie e la Morte (le due chitarre), la Mummia (il basso) e l’Uomo Lupo (la batteria).
Se i primi due album si configurano come raccolte di materiale registrato o comunque scritto in precedenza, celebrazioni di quella cultura horror che ha il suo perno nei film della Hammer degli anni ’70, l’apice viene raggiunto dal celeberrimo Heavy Demons, disco molto più orecchiabile e di facile presa, che racchiude però un messaggio velato e cupo, nello scontro fra quello che potremmo definire ‘il lato oscuro della religione’ e ciò che potrebbe invece innalzare gli animi umani.
Nel frattempo, dietro le maschere si avvicendano session man spesso diversi, fra problemi di formazione e contrattuali di vario genere, fino a che, nel 1996, il gruppo giunge a un accordo con la Self-Distribution e Sylvester fonda l’etichetta Lucifer Rising. Il gruppo comincia a raggiungere, disco dopo disco, risultati sempre migliori, sia dal punto di vista delle vendite, sia da quello tecnico, insieme a ingegneri del suono di fama mondiale, e a fissare la formazione più longeva: Sylvester (voce), Emil Bandera (chitarra), Kaiser Söse (basso), Oleg Smirnoff (tastiere), Anton Chaney (batteria).
Da questo momento in poi il gruppo si esprimerà soprattutto attraverso concept album, a partire da Do what thou wilt, del 1997, in cui le tracce diventano “Liber” e le tecniche occulte di Aleister Crowley si affacciano dalle liriche insieme ai numerosi rimandi simbolici cari a Sylvester.
Il successivo, Panic (2000), ci porta invece nel mondo del ‘teatro panico’ e della psicomagia di Alejandro Jodorowsky, mentre Humanomalies (2002) fra le ‘anomalie umane’ derivate in gran parte dall’immaginario dei freaks di Tod Browning.
The Seventh Seal giunge, fra richiami all’Apocalisse e all’omonimo film di Ingmar Bergman, a chiudere il cerchio di quest’esperienza, sia dal un punto di vista musicale, sia da quello verbale.
Quella che segue non vuole essere una raccolta di recensioni ai dischi dei Death SS, ma un’analisi track by track dei loro sette studio album. Farò riferimento solo al materiale di studio per evitare inutili dispersioni attraverso i numerosi live, EP, singoli e bootlegs che dilatano un percorso segnato in modo già preciso dal materiale registrato in studio per gli album. Tralascerò anche le tracce aggiunte in ristampe o edizioni alternative successive, tenendo di conto solo la tracklist originale.
Dal punto di vista dell’analisi approfondirò sia l’aspetto strettamente musicale, sia quello dei testi verbali e dei rimandi a essi collegati, in particolar modo per quanto riguarda i concept e i collegamenti fra un album e l’altro. Rileverò gli aspetti fondamentali della struttura del brano: forma-canzone, organico, eventuali inserimenti elettronici, campionamenti e ogni dato che possa dar risalto a un brano piuttosto che a un altro, la ‘pittura sonora’ che, attraverso una sezione strumentale, può esplicare meglio di un’altra il significato intrinseco del brano stesso, ma soprattutto il messaggio verbale che si ‘tramanda’ da un disco all’altro.
Let the sabbath begin!
Per maggiori info sulla band vedi www.deathss.com
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