– Me ne starò buona buona in un angolo. Non lasciatemi sola, vi prego!
– Sarà stanchissima... – aggiunse Giorgio.
– Il bagno caldo, m’ha molto rilassata. Neanche v’accorgerete di me.
– Se ne accorgeranno gli altri... – riprese Marco.
– Non ha neanche un vestito – fece Giorgio. – Vada a dormire, non faremo tardi.
La donna sprofondò in poltrona e prese a singhiozzare. I due si consultarono con lo sguardo. Marco si massaggiò il pizzetto e disse sottovoce: – Che dobbiamo fare con questa mezza pazza?
Giorgio alzò le sopracciglia e diede un’occhiata al cellulare su un tavolo basso. L’amico rispose con un’espressione interrogativa. Il ragazzo mimò con le labbra: “po–li–zia”.
– Se la chiamiamo adesso: addio Mister Master Leather World – sussurrò Marco.
Il ragazzo ci pensò su; l’amico aveva ragione. Come salvare capra e cavoli?... Idea!
– Senti, ti sembrerà assurdo, ma... – disse Giorgio.
– Ma?...
– Forse c’è una soluzione... Perché non la portiamo con noi?
– Ti ricordi dove andiamo, sì? T’ha dato di volta il cervello? Pensa che bell’entrata faremo nel più hard locale di Roma!
– Le mettiamo una tuta da pissing di latex e la caligola, ancora meglio della maschera, così non le si vedranno neanche i capelli.
– E con le zinne che ci facciamo? Gliele tagliamo e le cuociamo in padella?
– Possiamo metterle un giobbotto verde militare.
– Quelle tute si stampano addosso come francobolli. S’accorgeranno tutti che è una donna. E quella, per esser donna, lo è! Cammina da femmina in calore, da animale affamato. Ho perfino il timore da darle la mano...
– Che dici?
– Ho paura che me l’addenti! Non hai visto che occhi ha? Uno sguardo che ti prosciuga. E i denti? Ha i canini appuntiti come...
– I vapiri! – scoppiò a ridere Giorgio. – Ok, non ti piacciono molto le donne, ma che ti ha fatto questa povera disgraziata? Non ti sembra che abbia avuto abbastanza casini per oggi?
– E vorresti concluerle la serata con il Raduno Mondiale Leather: froci palestrati e scatenati che sbarcano dai quattro angoli del pianeta!
– Vedi un’altra soluzione tu, a parte restare a casa anche noi?
– Da specialista delle donne quale sei, dovresti sapere che quelle creature in mezzo alle gambe non hanno...
– Falla finita! Sei il primo a correggere l’effetto ottico in mezzo alle gambe con un bel malloppo di carta igenica!
Marco aprì la bocca, poi la richiuse. La donna aveva smesso di piangere, si tamponava i begl’occhi a mandorla con un fazzoletto.
– E se parla? – disse Marco.
– Non parlerà, mica è scema.
– Ti predi tu, tutta la responsabilità? – gli puntò addosso le pupille celesti Marco.
– Responsabilità di che?...
– Di tutto quello che potrebbe succedere a portarcela dietro.
– Perché, che potrebbe succedere?
* * *
– Davvero non ricordi neanche il tuo nome? – le chiese Giorgio.
La donna, seduta in poltrona, scosse lenta il capo.
– In qualche modo dovremo chiamarti.
– Chiamatemi come vi pare – la donna s’alzò e si diresse verso la finestra. Scostò una tenda e guardò fuori. Il giardino intorno al casolare era immerso nelle ombre. Senza girarsi, aggiunse: – Nella mia condizione, che valore possono avere i nomi?
– Selvaggia! – disse Marco.
– Perfetto! – fece Giorgio. – E poi è vero, hai qualcosa di selvaggio nello sguardo, nel portamento.
– Selvaggia... – ripeté la donna. – Mi portate davvero con voi?
– Forse, una volta che ti abbiamo detto dove andiamo, preferirai restare qui – disse Marco.
– Verrei anche all’Inferno!
– Magari, fosse l’Inferno! – scoppiò a ridere il dentista. – Bene, l’hai voluto tu.
– Perché, dove andiamo? – chiese la donna.
– In un bel posto, vedrai! – fece Giorgio.
– Ti piace la metamorfosi? – aggiunse il dentista.
Selvaggia li fissò con i suoi grandi occhi grigi.
– Vieni! – disse Giorgio prendendola per mano.
Uscirono dal soggiorno, fatto qualche metro: – Ecco la Sala della Vestizione! – disse Giorgio aprendo una porta.
Selvaggia si bloccò sulla soglia: non ricordava d’aver visto niente di simile in vita sua! Una stanza cubica, nera, quattro specchi alle pareti circondati da neon blu. Luce che rendeva il bianco fluorescente. Gli occhi, i denti di Giorgio che sorrideva, la tuta grigia di Marco si stagliavano in quel cubo nero e si riflettevano al centro d’ogni parete. Selvaggia si guardò agli specchi e vide un fantasma dal corpo lattiginoso, dalle pupille d’un luminoso acciaio.
– Allora, ti piace? – disse fiero il ragazzo.
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