– Bhè, non mi segui? – fece capolino la ragazza, il viso illuminato dalle tre candele.

No, non aveva sognato.

– Non essere timido, le mie sorelle ti stanno aspettando.

All’idea delle tre sorelle riunite, Andrea avvertì un sussulto tra le gambe, sotto ai jeans.

– Vieni... – stese una mano la ragazza sorridendo.

Sotto al velo nero, i cappezzoli rosa fragola intensificarono il loro colore, la pelle candida assunse una sfumatura avorio. Andrea si staccò dallo specchio e lento, ma senza timori, prese a camminare lungo la galleria. La ragazza l’attendeva sorridendo, chiusa nel suo abito come un fantastico insetto velenoso. L’erezione d’Andrea era sempre più visibile; il membro sembrava voler squarciare mutande e jeans. Qual era il segreto delle misteriose sorelle? Perché riuscivano a eccitarlo tanto? Mentre s’avvicinava, vide la ragazza sollevare lenta le vesti e mostrare le scarpe a tacchi alti d’un lucidissimo rosso scarlatto, le calze nere che terminavano a metà coscia in una banda di merletti neri. Ancora più su e comparve il sesso depilato, un taglio delicato su una materia candida come marmo, fredda come ghiaccio; la bocca d’una morta. Andrea rallentò, si fermò. La ragazza pose a terra il candelabro e tenendo con una mano i rigonfi delle vesti, passò delicatamente le dita dalle unghie aguzze, argentate, sulla ferita del sesso. S’accarezzò e introdusse prima un dito sottile, poi un altro. Il viso era radioso, gli occhi, due diamanti neri. Tra le labbra rosa fragola comparve, vogliosa, carne rossa: la sua lingua.

– Vieni, Andrea...

Il ragazzo riprese a camminare nella galleria degli specchi, il membro sempre più duro. La donna tolse le dita dalla vagina e, squarciando il velo trasparente con le unghie d’argento, espose i seni, palpeggiandoli. Fu in quel momento che Andrea vide ai lati della ragazza, come in un gioco di specchi, le altre due sorelle. Identiche, vestite allo stesso modo, nella stessa posizione. Tre splendide creature con il sesso depilato e i seni affioranti tra gli strappi dei veli neri, leggermente brillanti.

– Vieni... – dissero in coro le gemelle. – Prima però spogliati.

Andrea, come ipnotizzato, tolse ogni suo indumento e gettati via anche orologio e scarpe restò nudo, il membro teso, a un passo dalle ragazze. Unico ostacolo, le candele accese del candelabro. Una delle sorelle sollevò il candelabro e abbassando le vesti, seguita dalle altre due, corse nell’ampia sala che s’apriva oltre la galleria degli specchi.

– Dove andate? – disse Andrea.

– Seguici!... – risposero in coro.

La sala era immensa, rotonda, l’alto soffitto a cupola affrescato, le pareti circolari scandite da finestre coperte da tende di velluto rosso, come rosso era il marmo del pavimento. Il ragazzo non poté vedere altro perché le tre sorelle, sorridendo, soffiarono all’unisono sulle candele e il salone cadde nel buio.

– Dai, prendici! – dissero facendo risuonare d’eco la cupola.

Andrea cercò nel buio. Sentiva i passi, il frusciare degli abiti, le risa delle ragazze, ma non riusciva a toccarle; sembravano trasformate in esseri alati che volteggiavano in un’immensa voliera. Una carezza di piuma–velluto sulla guancia; il ragazzo si voltò. Buio. Neanche un barlume di luce, eppure il calore, il profumo di quei corpi erano intorno a lui, fluidi, quasi tangibili. Le tre donne non erano apparizioni, erano vere, vive. Forse mutanti, soggette a continue metamorfosi. Una lingua ruvida sulla sua spalla e risa-squittii s’allontanarono. Una carezza alle natiche, di pelle munita di piccole ventose, labbra turgide e carnose gli sfiorano il sesso teso. Mani sul torace. Mani... quante mani? Tante, troppe! Dita che si facevano viscidi tentacoli, superfici squamose, gelide. Le tre sorelle si moltiplicavano e cambiavano di forma ogni istante? Moltiplicati e distorti erano i rumori; fruscii, risa, passi, sospiri sembravano provenire da un abisso d’oceano. Nessuna più traccia d’abiti e stoffe, solo calore di carne, pelle, tentacoli gelatinosi, seni vellutati. Sono donne, o meglio, esseri di sesso femminile all’infinito replicanti, all’infinito mutanti. Seni, braccia, lingue, ali, spire, squame, artigli, sessi vogliosi su Andrea che cade a terra, sul marmo gelido e viene investito da uno sciamare dolce di labbra–membrane, lunghi capelli–alga, sgusciare viscido di sessi che si schiudono come esseri marini accoglienti, avviluppanti, capaci di tutto inglobare e tutto sciogliere, digerire. Andrea non prova ribrezzo, al contrario, non ha mai sentito tanto duro il sesso, mai tanto gonfio, pronto a esplodere, ma lui non vuole, non vuole finire, non vuole che finisca un piacere così. Deve trattenersi, deve vivere, assaporare ogni istante di quel piacere unico, irripetibile. I corpi moltiplicati delle sorelle sembrano aver compreso i suoi pensieri, sì, li hanno capiti. Solo allora le carezze si fanno artigli, le labbra affilate, le lingue coltelli. È solo in quel momento che i sessi delle donne s’aprono e mordono, le dite squarciano e frammentano, le lingue si conficcano e i denti strappano, triturano, masticano. Andrea lancia un grido disperato, ma non della disperazione d’un orgasmo consumato, finito; lancia un urlo sublime, quello del piacere che non finirà, che non può finire.

Mai.