Recentemente su io9 è stato pubblicato un post che pensiamo che potrebbe suscitare dibattiti anche qui.
In ogni occasione c'è sempre chi sottolinea il fatto che i libri Fantasy stiano lentamente soppiantando quelli di fantascienza negli spazi in libreria e nelle vendite. Se non è la Fantasy classica, per ora i temi della Urban Fantasy, vampiri e altri mostri paranormali, calati nella realtà odierna sono tra i best sellers.
Per molti osservatori questo è dovuto alla paura per il futuro, tema cardine della fantascienza, mentre la maggior parte del fantasy narra del passato, più o meno mitologico.
Ma Charlie Jane Anders di Io9 ha riportato un paio di pareri di blogger.
In particolare lo scrittore Mark Charan Newton (Nights Of Viijamur), enuncia alcune ragioni per le quali "la fantascienza sta morendo e la Fantasy è il futuro", tra le quali: il successo cinematografico delle saghe di Harry Potter e del Signore degli Anelli, la prevalenza di lettori di sesso femminile, e che la scienza e la tecnologia con cui abbiamo a che fare ogni giorno donano lo stesso "sense of wonder" della fantascienza.
I Game Designer Andrew P. Mayer ha una spiegazione differente "la Fantasy è più pertinente al nostro futuro immediato della fantascienza": Secondo Mayer lo Steampunk è l'esempio più ovvio. E' considerato un genere influenzato dal passato, mentre in realtà sarebbe, a proprio modo, realmente futurista. Raccontando le storie dei nostri antenati in modo trasfigurato permette di ridefinire la nostra visione di essi come dall'altro capo del cannocchiale. Il tema steampunk rappresenterebbe una sorta di "pseudo fantasy", per un mondo, quello odierno, che si aggrappa al reale mentre si sta dirigendo verso il virtuale. Sono racconti dove l'umanità è sulla soglia di diventare realmente magica, capace di trasformare il mondo fisico in modi più radicali di quanto fosse immaginabile in passato. Nello steampunk c'è quindi tutta la nostaglia del passato tipica dell'heroic fantasy. L'800 dei computer a vapore come una sorta di età dell'Oro dell'umanità, potremmo concludere.
E anche la Fantasy sarebbe in realtà più predittiva di quando non sembri. L'argomento del riscaldamento globale è un argomento che può appartenere a Tolkien che ad Asimov. Nella fantasy il conflitto viene risolto con cattivo, più o meno antropomorfo, da combattere per risolvere il problema e riportare tutto "in ordine". Le nostre soluzioni passano per l'accettazione del potere dell'uomo moderno più per il provare a opporsi a esso.
E per una generazione che ha più controllo sulla propria biologia che in passato, potrà essere di aiuto esorcizzare con queste fantasie i propri timori, dopo che le generazioni precendenti hanno esorcizzato la loro paura della rivoluzione tecnologica con narrazioni che parlavano di astronavi e alieni. Ma anche la Urban Fantasy può essere vista come uno specchio della nostra visione del futuro. Con storie che popolano i nostri moderni paesaggi urbani di creature mitologiche, costruiamo delle forti metafore per tutte le scelte bioetiche, scelte radicali che presto o tardi arriveranno per la razza umana.
A prescindere da quanto scritto nella nostra fonte. Voi cosa ne pensate? La Fantasy ci darà più risposte sul nostro futuro di quante ce ne abbia date la Fantascienza? E' un argomento su cui riflettere, non trovate?
Prima di rivolgermi a voi lettori ho rivolto queste domande alla redazioni di Delos SF, Fantasy Magazine, Fantascienza.com, Horror Magazine e Robot. Di seguito potrete leggere le risposte di chi ha potuto o voluto esprimersi.
Prima di leggerle vorrei solo dare il mio modesto parere. Ossia che se la questione è posta in termini di contrapposizione tra i generi, è sempre mal posta e perdente. Per parlare del futuro si possono usare le metafore del fantasy, della fantascienza, del giallo, di quello che si vuole. La differenza è il come le cose vengono fatte. Il sottoscritto ama tutte le coniugazioni del fantastico, purchè scritte bene. Non amo gli steccati.
Tanto per prendere un esempio. Si può parlare delle conseguenze nefaste della civiltà industriale anche con il Fantasy. Collegandomi a quanto scritto da Io9, lo stesso Asimov in un suo breve saggio (Su Tolkien e Altre cose, Urania 1220, dicembre 1993), paragona la moderna civiltà industriale a Mordor: "[...]L’anello rappresenta la tecnologia industriale, che sradica la terra verde e la rimpiazza con orrende strutture sotto un manto di inquinamento industriale.[... ]". Nel saggio Asimov stesso s'interroga sull'uso delle metafore fantastiche, non negando che tra le sue fonti d'ispirazione ci sia anche Il Signore degli Anelli, nonostante l'influsso sia meno evidente. Nel saggio illustra le principali invenzioni di Tolkien, mettendo in evidenze l'eterogeneo uso delle creature fantastiche.
[..]Questa ricca mescolanza di differenti tipi di creature intelligenti porta una forza inimmaginabile oltre che una grande varietà ad Il Signore degli Anelli, ed è questo che dovevo avere in mente quando ho pensato a un universo in cui convivessero differenti tipi di creature intelligenti.[...]
Perdonatemi se didatticamente prendo due esempi che sono all'ABC, ma il concetto è che alla fine sono le buone storie che vincono, di qualsiasi "genere" esse siano.
La parola agli interpellati e poi a voi lettori.
Leonardo Pappalardo (Horror Magazine)
È vero, la fantascienza non gode più dei fasti di un tempo, su questo punto sono abbastanza d'accordo. Non c'è da stupirsi d'altronde, ormai il futuro è parte integrante delle tecnologie del presente, e sembra quasi che le domande tipiche della fantascienza classica abbiano perso il loro fascino di fronte al disincanto fornito dagli odierni processi scientifici e sociologici. Le profondità dello spazio non sono più dotate di quell'aura di mistero che spingeva il nostro sguardo al di là delle stelle, e ora l'attenzione dell'uomo si è spostata verso l'interno, verso l'analisi della nostra psiche e di tutti quei demoni che impediscono alla razza umana di vivere in pace. Forse a causa dei ripetuti periodi di incertezza, di crisi e di allarmi terroristici vari (o presunti tali), ora il nemico non è più fuori, ma dentro di noi. E il fantasy, così come l'horror, è da sempre un genere popolato da tutti quei demoni che altro non sono se non le manifestazioni “fisiche” di ciò che la nostra mente segretamente teme o desidera. Entrambi sono generi tramite cui l'umanità metaforicamente si “confessa”, si psicoanalizza, nella speranza di raggiungere una catarsi e una maggiore comprensione del proprio io. E in questo, rispetto alla fantascienza, il fantastico ha il pregio di garantire una maggiore semplificazione di problematiche etiche, sociali e scientifiche che altrimenti risulterebbero molto più complesse e meno cariche di “sense of wonder”.
Irene Vanni (HM)
Ho sempre trovato sterile e trito questo genere di discussione. Sulla presunta morte della fantascienza vengono aperti dibattiti da decenni, senza arrivare a conclusioni definitive o quantomeno fruttuose. L’unico dato da tenere in considerazione è che la maggiore fruibilità di videogiochi o pellicole cinematografiche ha spostato l’asse d’interesse dalla letteratura, che comunque è sempre stata un fenomeno di nicchia, rispetto al mainstream. Senza contare che ormai il futuro di un tempo fa parte del nostro presente e da un punto di vista esistenziale un approfondimento ‘per scritto’ di certi temi non attrae più. Per quanto riguarda le sorti del fantasy, se il pubblico è prevalentemente femminile, non me ne sono accorta, anche perché continuo a imbattermi più in lettori uomini. Forse le donne sono più sedotte dalle contaminazioni con il rosa e in questo senso recenti saghe sui vampiri hanno centrato il bersaglio, ma i mostri soprannaturali ‘vanno di moda’ sin dai tempi di Omero. L’unica cosa certa è che finché l’uomo si troverà nella condizione di porsi domande in merito a ciò che non può spiegarsi — che sia “Ci sarà vita su quel pianeta?” o “C’è vita dopo la morte?” — i lettori e i telespettatori continueranno a essere affascinati sia dal fantasy che dalla fantascienza.
Filippo Messina (Fantasy Magazine)
Se dobbiamo prendere per buone le statistiche che danno per emergente la fiction fantasy (o più generalmente, fantastica) rispetto alla canonica fantascienza, è inevitabile l’approccio sociologico al fenomeno per azzardare una possibile risposta. Per tutti gli anni novanta e il primo decennio del nuovo secolo, spigolando nel settore della Science Fiction e nel suo parco lettori, era frequente imbattersi nella seguente affermazione: Amo la Fantascienza, ma soltanto quella plausibile. Una dichiarazione popolare per quanto, a volte, superficiale. Per plausibilità, infatti, veniva intesa di solito la narrazione di uno scenario tecnicamente realizzabile in un futuro prossimo, basato su assunti scientifici non ancora compiuti ma già noti (almeno in teoria). Altrettando spesso, però, balzava agli occhi come la cosiddetta plausibilità dell’elemento fantastico riguardasse in realtà non i meccanismi di causa ed effetto insiti al racconto, ma il tono generale della narrazione. Sapori noir, quindi, e pulp, emersi in modo sempre più massiccio nella fantascienza del secolo scorso. Si potrebbe anche obiettare che una fantascienza veramente plausibile, legata cioè a presupposti dimostrabili in laboratorio, perde molta della sua connotazione fantastica, e diventa speculazione scientifica, a volte pedante, a volte contraddittoria. Per non parlare del ruolo della soggettività che condiziona l’intero argomento.
Per almeno un ventennio e forse più, dunque, si era fatto strada un parziale rifiuto degli aspetti più smaccatamente fantastici, e teneva banco un approccio apparentemente razionalista, che bollava come superato e infantile il sense of wonder della science fiction più classica.
L’ingresso nel nuovo millennio sembra aver portato a una crisi di questa razionalità, e a una fame arretrata di immaginazione libera da vincoli. Quella più più primordiale, che riporta l’uomo a rapportarsi con la magia, l’inspiegabile e le sue paure ataviche. Ecco tornare così i vampiri in più letture differenti, la tradizione del sortilegio e del cammino iniziatico. Come un’ondata di irrazionalità e felice ingenuità ritrovata. Un mondo dove di plausibile rimane ben poco, e l’inatteso ci spiazza, allontanandoci dalle logiche quotidiane e anche da molte responsabilità. Ma perché questo cambiamento di rotta?
L’elemento della plausibilità potrebbe aver sdoganata riflessioni scomode, come le cause del riscaldamento globale e gli effetti derivanti dalla progettazioni di armi sempre più sofisticate. L’evasione ha ceduto strada al ragionamento, e questo oggi, forse, a qualcuno inizia a pesare. Una parte di poesia si era persa per strada, soffocata dalla pretesa di realismo a tutti i costi. Oggi l’immaginario più profondo torna a emergere, e l’Es prevale sul Superego anche nella ricerca delle letture. Ma le posizioni di confine sono sempre discutibili, ed è legittimo domandarsi se l’onda lunga di questo rigurgito di fantasia sbrigliata non abbia ingoiato ogni senso critico, ogni quesito pertinente, soppiantandolo con un atto di fede molto più rassicurante e molto più passivo.
Bruno Bacelli (FM)
Mi ha sempre fatto sorridere il senso di superiorità con cui taluni appassionati di fantascienza (passione che peraltro condivido) hanno guardato al fantasy come a un genere "inferiore". Non ho la tentazione di cadere in un errore simile e non vedo nessun immaginario sorpasso intellettuale (quello nelle vendite è conclamato da tempo). Il fantasy però ha mostrato di avere mille sfaccettature e l'etichetta di un genere tradizionalista e rivolto al passato, con la nostalgia di situazioni chiare e nette in cui sia facile schierarsi o di cavalieri senza macchia e senza paura, spero sia finalmente scomparsa.Il fantasy più che mettersi al timone della modernità, o di prendersi un ruolo di vedetta, mi sembra riceverne un influsso che lo sta mutando radicalmente, trasformando i suoi paesaggi da bucolici a cittadini, rendendo più sfumate le nozioni di magico e di sacro, assumendo nei suoi personaggi le nostre stesse inquietudini esistenziali. Il fantasy è cambiato in una maniera che ci può far riflettere su come è cambiato il mondo. Per quanto riguarda una presa di coscienza sulle reali prospettive del futuro, la fantascienza ha espresso con il cyberpunk un genere che, al di là degli elementi scenici e di facciata che ormai sono entrati nel quotidiano, ha aperto una serie di interrogativi (e intuito una serie di difficili prospettive) con una lucidità tuttora insuperata. Detto questo non amo molto i mostri sacri del cyberpunk, con il loro linguaggio da iniziati e le loro arie, visto che prima ancora di questi signori un film come Blade Runner, oggi riconosciuto come un capolavoro, aveva già detto un bel po' di quello che c'era da dire. Senza nemmeno rinunciare ad essere un film piacevole da vedere.
Oggi potremmo aggiungere altre inquietudini ancora, le conseguenze degli spostamenti di grandi masse di popolazione e l'incubo del terrorismo, la subdola corrosione quotidiana dei diritti democratici, gli scontri di civiltà e l'integralismo religioso che risolleva la sua brutta e stupida testa, il riscaldamento globale che viene a sostituire l'eterna pioggia del film di Ridley Scott... ma la traccia dei cambiamenti indicata da quel filone mi sembra ancora aderente al reale.
Preferirei gli orchetti di Mordor.
Silvio Sosio (Fantascienza.com)
Curioso, c'è ancora gente che pensa che la fantasy stia soppiantando la fantascienza, senza accorgersi che la fantasy è già stata a sua volta soppiantata dall'urban fantasy.
Marco Guadalupi (FM)
Il modo di concepire una storia e il modo di superare i limiti di ciò che è fantasy e fantastico. L'ambientazione, i personaggi. Il fantasy classico sta affondando sotto i colpi dell'Urban. Gli eroi con gli spadoni, i re e le regine, i carrozzoni, le mappe e i viaggi all'antica sono superati. I personaggi rispecchiano parte della modernità, e questo li fa apparire più umani, più reali e più vicini al lettore. Io, per esempio, mi sentirei molto più vicino a un personaggio tipo Edward Cullen che a Frodo Baggins. Sarà un fattore d'età, sarà che i gusti cambiano col tempo, sarà che il tempo stesso sta cambiando.
Cristina Donati (FM)
Fantasy e Fantascienza vengono ancora considerati generi quasi antagonisti, mentre sono rami dello stesso albero che crescono, si evolvono, cambiano. E si intrecciano. Non credo che il Fantasy rispetto alla Fantascienza possa offrire una maggiore predizione del futuro, ma ritengo sia in grado di dirci molto sul presente: le nostre tendenze/esigenze dominanti, le nostre paure e il modo di esorcizzarle. Forse la Fantascienza sta attraversando una fase di minore creatività in quanto l’uomo non è più molto interessato al proprio domani, e preferisce guardare a terra piuttosto che verso le stelle. O meglio, sotto sotto, l’attrattiva della Fantascienza era comunque associata, nel lettore medio, a un certo grado di improbabilità. Quando tante cose ipotizzate come scienza fantastica si sono avverate, il genere è stato percepito troppo realistico e troppo poco fantastico. Il suo potere predittivo è rimasto intatto, ma la sua attrattiva ha forse bisogno di esprimersi esplorando strade in cui la tecnologia sia associata ad altro, come già è avvenuto con il Cyberpunk. Al contrario, il Fantasy attuale — sia con prodotti di infima banalità sia con (pochi) traguardi di valore — possiede ancora la capacità di affascinare.
Però, la sempre maggiore affermazione dell’Urban Fantasy (evoluzione e diramazione della science fantasy) e la sua esasperazione ucronica steam, mostrano come questi due generi gemelli si stiano fondendo e siano tutto sommato complementari, offrendo un prodotto che esprime soprattutto disagio per un possibile “presente futuro” distopico, e non entusiasmo tecnologico o reinterpretazioni del passato in chiave mitico/eroica.
Chiara Codecà (FM)
Personalmente non concordo con l'assunto per cui "la Fantasy è più pertinente al nostro futuro immediato della fantascienza". La fantascienza migliore ha sempre parlato della natura umana più che di spazio profondo o tecnologia. Il fantasy — nella sua migliore accezione — ha fatto e fa sostanzialmente lo stesso, ma il suo crescente successo è forse da cercare in due aspetti che non sono affatto conquista recente, ma propri della natura del genere: l'evasione dalla realtà e il rapporto con la natura. In un'epoca in cui la tecnologia è dominante — anche se in positivo, se non altro per le conquiste mediche e scientifiche — ciò che sicuramente è cambiata in anni recenti è la nostra percezione della realtà, da cui il desiderio — necessità? — di rivolgersi a letture che ci portino in luoghi e spazi diversi.
Non tanto efficacia nell'indicare il nostro immediato futuro, quindi, quanto la scelta precisa di cercare sollievo e spazio in un presente diverso.
Martina Frammartino (FM)
La cover "per adulti" di Harry Potter and the Deathly Hallows, edito da Bloomsbury
Cosa significa che un genere è più adatto di un altro a parlare del futuro? Davvero un genere può parlare di un argomento meglio di un altro? In un’intervista George R.R. Martin riferendosi all’antologia Warriors dedicata alla guerra e all’etica dei guerrieri indipendentemente dal genere scelto dallo scrittore di turno, ha affermato che quello che conta è la storia, non l’etichetta. E in un mio articolo di qualche giorno fa ho cercato di mostrare come temi importanti quali Olocausto e discriminazioni razziali siano stati trattati da opere prettamente fantasy. Temi riferiti al passato in questo caso, ma nulla vieta a un autore di parlare anche del nostro futuro.
La narrativa, tutta la narrativa, è così. È l’autore che sceglie se intrattenere il lettore senza altri fini o se preferisce inserire nella sua opera un messaggio, indipendentemente dal genere che adopera.
Quanto al successo commerciale a mio giudizio è una moda, così come diventano di moda per un breve periodo certi classici quando ne viene tratto un film di successo. Il fantasy certamente è stato posto al centro dell’attenzione dalle versioni cinematografiche del Signore degli anelli e di Harry Potter, e visto che lo scopo degli editori, in fondo, è quello di guadagnare, molte case editrici si sono lanciate in ciò che al momento vendeva. Come il successo di Eragon ha provocato la moda degli scrittori giovani, e quello di Twlight la moda dei vampiri, meglio se buoni.
Opere di questo tipo ce n’erano anche prima, e ce ne saranno in futuro, ora sono semplicemente più visibili, portate alla ribalta dal successo dei vari Tolkien, Rowling, Paolini e Meyer. Se sia davvero una moda passeggera o un fenomeno destinatato a durare, però, solo il tempo potrà dirlo davvero.
Angelo Rossi (Fantascienza.com)
Sono consapevole che in altri settori come l'editoria o forse anche il cinema la situazione probabilmente è differente, ma se guardiamo in un ottica "televisiva" il genere Fantasy è quasi inesistente rispetto alla fantascienza. Quantitativamente, nell’ultimo decennio le serie ascrivibili propriamente al fantasy si contano sulle dita di una mano mentre i prodotti SciFi si avvicinano a una cifra a due zeri. I numeri parlano chiaro: la superiorità della fantascienza in tv è oggettivamente schiacciante. Esistono crossover tra i due generi (o tre, includendo l’horror), dove il confine è poco marcato ma sono comunque casi nei quali la fantasy è costretta, per trovare spazio in tv, ad imbastardirsi pesantemente perlomeno nella urban-fantasy o in uno pseudo-steampunk. Ma è sopratutto in un’ottica qualitativa e di impatto sulle masse che il divario diventa nettissimo. La SciFi è riuscita a produrre serie tv di successo planetario, come ad esempio Lost, diventando quindi nel piccolo schermo il tramite preferenziale per tradurre le ansie del futuro e al contempo la necessità di evasione dalla realtà
Alessandro Murè (Fantascienza.com)
Davvero la fantascienza ha a che fare con la scienza e la tecnologia?
È l'immagine più comune, più immediata che abbiamo. Serve a darci un punto di riferimento, uno spazio in cui collocare, una parola composta da cum (particella indicante compagnia o mezzo) e locare (da locus, luogo), quindi direi mettere qualcosa vicino, in un luogo familiare.
Rassicurante. Sono invece d'accordo quando si afferma che il termine fantascienza ha in sé qualcosa di angosciante, soprattutto nei riguardi del futuro. Le parole “parlano” e, secondo la mia personale interpretazione, il significato più intimo di fantascienza sta in una dicotomia. Nel termine coesistono due parole in perenne conflitto: phantasma e scientia. Ancora una volta ci viene in aiuto l'etimo: phantasma è greco antico e vuol dire apparenza, immagine generata dalla fantasia, ma ha assunto anche una valenza più inquietante di immagine falsa, carica di paura, che appare per effetto di una fantasia alterata; scientia deriva da sciens, che deriva da scire, sapere, di cui la scienza moderna non è che un sottoinsieme. Un sapere distorto dalla fantasia ha in sé qualcosa di sinistro, letteralmente (secondo alcuni) da sinum, seno, ovvero ciò che si nasconde sotto le pieghe della veste oppure del velo, per dirla con Schopenhauer. L'uomo è costretto nei fenomeni, nelle pure rappresentazioni e vorrebbe conoscere la realtà in sé, per lenire il proprio dolore. Ma quest'ultima si nasconde, continua a fuggire, per cui l'uomo è costretto alle ipotesi, ai viaggi della fantasia (phantasia, apparizione, immagine), ai fantasmi della conoscenza, pur di catturarla. Ecco la fantascienza. In tal senso, non ha un futuro, ma nemmeno un passato. È in questo momento, in questa indagine. È in Wells, nella Macchina del Tempo (1895), dove chi viaggia nel tempo lo fa per vedere (ovvero sapere, cercare, distinguere, capire, sollevare il velo). È il Luciano di Samosata, che nei suoi fantasmagorici viaggi narrati nella Storia Vera (160 ac) mette in campo tutta la scienza del tempo e la scosta, la dis-colloca (la toglie da un posto familiare), per fare, ancora una volta, delle ipotesi (proposizioni immaginate) e cercare di andare oltre la metafora delle colonne d'Ercole, per vedere cosa c'è dietro, dentro, più in là. Dentro la realtà.
Fabio Vaghi (FM)
Fantascienza: la storia di una tecnologia ancora a venire, no? E se quella tecnologia oggi, nel presente, fosse più strabiliante, magari più violenta di quanto siamo stati capaci di immaginare?
Il mese scorso ho passato un paio d’ore abbondanti a guardare alieni blu alti tre metri scorazzare in un’assurda natura fosforescente; e i miei occhi li percepivano quasi come veri, appena un po’ meno di quanto lo sono le lucertole nel mio giardino.
Non viviamo una rivoluzione industriale che cambia il paesaggio delle campagne e ci fa sognare un futuro di pace e ricchezza. Viviamo il tempo in cui possiamo comprare un cucchiaino a forma di maiale fucsia da un artigiano ecuadoregno direttamente dal nostro ufficio; e nel frattempo temiamo che un hacker che abita in uno scantinato a ottomila chilometri da noi ci stia ripulendo il conto in banca.
E allora ci piace leggere libri e fumetti, guardare film e giocare videogiochi che raccontano di supereroi, di esseri dagli oscuri poteri nascosti nelle nostre scuole, di uomini che hanno magici poteri sopra una realtà della quale noi fatichiamo a credere di avere davvero il controllo. Possiamo chiamarla Pippo (ma Fantasy suona un po’ meglio, copyright Disney a parte), tanto i nomi cambiano sempre. Che la narrativa rifletta l’anima del suo tempo, quella è una costante.
Alberto Priora (Fantascienza.com)
A mio parere si continua a non voler distinguere il livello commerciale (che è quello più evidente, quello che assomiglia più a una moda) dal livello culturale (che è invece la base concettuale di partenza). Così come si confonde (o fa molto comodo confondere) l'evoluzione di un genere con la sua trasformazione, se non con la sua scomparsa. Certo che adesso il Fantasy ha un successo commerciale che è aumentato con il passare degli anni e si può essere d'accordo che alcuni degli elementi di successo siano stati la presenza massiccia di un pubblico femminile, uscito da limiti culturali che gli erano imposti in passato (o da cui non riusciva a sfuggire), e di un pubblico di età più giovane che non subisce più gli acquisti dei propri genitori, ma che è in grado di acquistare avendo disponibilità di denaro o perlomeno di indirizzare le scelte di acquisto. Ovvero il successo del fantasy moderno è dovuto in gran parte a un lavoro e a un investimento di marketing a tutto campo, quel genere di investimento che la fantascienza tradizionale non ha mai avuto. Perché,? Perché la fantascienza (o meglio il fantastico in generale) offre una cultura che il fantasy attuale tende invece a derivare e semplificare dalla stessa fantascienza.E se togliessimo questa fetta di introiti, cosa rimarrebbe? A guardare almeno il mercato letterario americano, rimarrebbe il prevalere della produzione di fantascienza.E ci sono anche altri campi simili con cui confrontare.Un esempio è quello dei manga rispetto ai fumetti più tradizionali (che possiamo identificare in maniera semplicistica con i supereroi statunitensi); i manga devono il loro successo ai nuovi settori di pubblico, ma malgrado questo successo non c'è stata la scomparsa dei fumetti tradizionali (a cui, tra l'altro, debbono molto a livello di radici). Aumento di successo di pubblico, equivale anche a strada del futuro? Mica tanto. Non va dimenticato che questa crescita di domanda ha portato a una crescita dell'offerta, ma non a una pari crescita nel livello di qualità. La qualità attuale del fantasy è inferiore a quello del fantasy di una ventina di anni fa (si potrebbe aggiungere che tutto quello che si sta globalizzando a livello di offerta di intrattenimento subisce lo stesso calo di qualità; un abbassamento dei contenuti a favore di una fruibilità più immediata).In questa ottica ridotta è facile vedere "la morte della fantascienza" se la si vuole vedere solo in alcuni dei suoi elementi più iconografici (che nel frattempo dalla fantascienza si sono spostati a contaminare tutto il resto) e si ignorano la sua natura speculativa, di innovazione e di ricerca. Perché la fantascienza è capace di evolversi e non ha mai smesso di farlo. perché è sempre stato un punto di partenza e mai di arrivo e non la si può prendere come punto di arrivo (come invece tende a mostrarsi il fantasy attuale).
Giovanni De Matteo (Fantascienza.com)
La contrapposizione tra fantasy e fantascienza che occasionalmente vediamo riesplodere mi ricorda un elaborato esperimento genetico volto a cogliere il meglio delle sparate promozionali e del dibattito su cosa al giorno d’oggi differenzi la destra dalla sinistra. Ce n’è abbastanza da fare le ore piccole davanti alla giusta combinazione di stimolanti e inibitori del sistema nervoso centrale. Per non farla troppo lunga, parto dalla mia esperienza personale per illustrare la mia posizione in merito alla diatriba e le ragioni che mi spingono a pensarla in questo modo. Non sono un lettore di fantasy — non del fantasy propriamente detto. Non lo sono mai stato. Prediligo per attitudine la fantascienza, ma non disdegno di avventurarmi consapevolmente lungo i sentieri del fantastico, inerpicandomi quando serve sulle pendici dell’horror. Ecco, ultimamente mi è capitato più di una volta di ritrovarmi tra le mani opere che avrebbero potuto essere collocate senza troppe difficoltà su ciascuno di questi scaffali. Da Nostra Signora delle Tenebre di Fritz Leiber (anno di grazia 1978) al ciclo dei Principi Mercanti che in tempi più recenti ha contribuito alla fortuna di Charles Stross, la storia dei generi è costellata di opere a cavallo dei loro presunti confini, pronte a sfidare il dominio convenzionalmente riconosciuto a ciascuno di essi.
Le classificazioni, come spesso accade, fanno comodo più ai critici che ai lettori o agli autori. Lo dimostra l’ansia sempre viva per le etichette, che portano di volta in volta alla ribalta le istanze dell’urban fantasy, o dello science-fantasy, o del clockpunk, e così via, a piacimento: nani e ballerine a inscenare lo spettacolo continuo del circo a tre piste degli uffici di marketing, con l’assistenza di quella loro succursale da tempo rappresentata dagli autorevolissimi settori della critica letteraria. Ma scegliere titoli di confine per pontificare sulla vitalità di un genere o attestarne la supremazia, oltre a essere discutibile sotto il punto di vista del metodo, comincia a odorare di disonestà culturale nel momento in cui si ricorre a palesi forme di appropriazione indebita. Lo steampunk è fantasy o science fiction? Il suo successo testimonia davvero il successo del fantasy o è piuttosto una declinazione della fantascienza che meglio si adatta a questi tempi di fuga dal futuro? E chi legge/scrive steampunk è più interessato a estraniarsi dal presente o a indagare da una nuova prospettiva le radici tecnologiche e scientifiche della nostra epoca? Ma soprattutto… chi si appassiona di punk a vapore (o lanterne a gas, o meccanismi a orologeria) è di destra o di sinistra?
L’esperienza varia da persona a persona. E sicuramente possiamo dire che le idee, a differenza dei critici e degli addetti al marketing, non hanno bisogno di compartimenti, ma anzi traggono i loro bei vantaggi dalla massima diffusione possibile. Tra i generi fioriti sotto il segno del fantastico, questo scambio di sensibilità è sempre stato particolarmente significativo e ha portato di volta in volta all’attestazione di un genere sull’altro, ma solo per la durata di brevi periodi di tempo. È un’alternanza ciclica, fatta di corsi e ricorsi che tendono a sovrapporsi: mentre da noi il fantasy continua a farla da padrone, oltreoceano l’horror sembra godere di maggiore popolarità e il Regno Unito ci ricorda che la fantascienza non è affatto morta. Anzi…
Allora: di chi è il futuro? Di chi saprà far propria la sensibilità del momento e cavalcare lo spirito dei tempi. È sempre stato così. In tempi che cambiano velocemente, la capacità di adattamento delle idee e delle sensibilità viene messa duramente alla prova. La speranza è che non venga mai meno quella varietà che consente di soddisfare tutti i diversi palati. Quella sì che sarebbe la perdita peggiore. Per tutti.
Andrea Jarok (Bazaar del Fantastico)
La definizione stessa del termine “fantasy” può essere in parte fuorviante. In Italia quando si parla di fantasy si pensa per lo più a quella che in ambiente anglosassone è meglio definita come sword and sorcery, termine più appropriato come “traduzione” italiana dell’inglese fantasysarebbe “fantastico” (non a caso FantasyMagazine si occupa del fantasy in quanto letteratura fantastica). Il fenomeno dell’Urban Fantasy ha riportato il fantastico all’interno delle mura di casa: la solitudine, il senso di estraneità rispetto a una società che non riesce a comunicare alcun valore, e il bisogno di accettazione, sono le linee guida di un fenomeno che si rivolge primariamente a un pubblico di adolescenti, e che poco a che fare con il futuro. Il fenomeno dello steampunk, soprattutto in Italia, non ha avuto un gran seguito, mentre il desiderio di avventura e mistero, si è riversato nei romanzi pseudo storici — in particolare sul Graal — a testimoniare un bisogno dell’elemento irrazionale. La fantascienza ha spesso sentito il “dovere” d’interrogarsi sul futuro, di rimanere forzatamente nel campo del razionale, e questo forse è stato, ed è tuttora, uno dei suoi limiti. Il fantasy in sé — sia che si tratti delle saghe howardiane, o dell’universo tolkeniano o delle epifanie delle divinità di Gaiman — così come la fantascienza, può interrogarsi sul futuro, provare a svelare le ingarbugliate trame che il progresso tecnologico e le scoperte scientifiche portano con sé. Che poi riesca a farlo o meno, questo poco importa all’industria dell’editoria.
Salvatore Proietti (Robot)
Davanti a una domanda evidentemente assurda, il primo istinto è di rispondere con uno sberleffo. È più forte Hulk o la Cosa?
Fra l’altro, qui in effetti si chiede se Hulk ha definitivamente ucciso la Cosa. E l’errore è quello di considerare fantascienza e fantastico come nemici, incompatibili fra loro, in lotta per il dominio sui lettori che, prima o poi, dovranno determinare la vittoria definitiva di uno sull’altro. E come si fa a rispondere a un quesito posto in termini assurdi, totalmente privi di senso e di rapporto con la realtà?
Allora ammettiamo un limite. Non potremo rispondere alla domanda perché la domanda è fuori dalla logica. Possiamo, però, refutarne le premesse.
Realismo, fantascienza e fantastico — ancora più che generi — sono tre modalità dellostorytelling (tradizionalmente letterario, e da almeno un secolo non solo: cinema, fumetto, tv, giochi…) talmente fondamentali che ci accompagnano da sempre. Risalendo indietro nel tempo, troviamo ovunque le loro incarnazioni e trasformazioni. Ci sembra ragionevole che continueranno a farlo, con sempre nuove mutazioni. Più che di estetica e cultura, stiamo parlando di marketing, o di ideologia.
Senza disturbare antenati illustri come Morris, Poe e Hawthorne, per tutto il Novecento è la regola, piuttosto che l’eccezione, che un autore operi in entrambi gli ambiti. Facciamo i nomi. Limitandoci al mondo anglofono, fra gli scrittori emersi nell’era pulp Leigh Brackett, Henry Kuttner, C.L Moore, Fritz Leiber, Ray Bradbury, Robert A. Heinlein, L. Sprague De Camp, James Blish, Poul Anderson, Theodore Sturgeon, Clifford Simak lasciano il segno in entrambi. E poi Andre Norton, Avram Davidson, Robert Sheckley, Gordon Dickson, Marion Zimmer Bradley, Jack Vance, John Brunner, Ursula K. Le Guin, Joanna Russ, Michael Moorcock, Brian Aldiss, M. John Harrison, Brian Stableford, Tanith Lee, Elizabeth Lynn, Samuel R. Delany, Roger Zelazny, Gene Wolfe, George R.R. Martin, Stephen Donaldson, Stephen King. E quanti ne stiamo dimenticando?
Quando, nel 1949, Anthony Boucher (anche lui fa parte della lista) e Francis McComas fondanoThe Magazine of Fantasy & Science Fiction, la cosa non appare per niente come un’audacia. Pubblico e autori hanno un terreno comune sufficientemente ampio da rendere normalissimo il successo della rivista, tuttora presente in edicole e librerie nordamericane. Ennesima conferma se guardiamo gli elenchi dei finalisti dei vari premi letterari specializzati, Hugo e Nebula da un lato, Stoker e WFA dall’altro. Storie di science fiction e fantasy/horror, in una certa misura, sono sempre presenti in partibus infidelium. Nel mondo degli autori fantastici gli eretici, che non si considerano monopolizzati da un modo di scrivere, sono in numero maggiore degli ortodossi.
E l’invasione degli eretici non si è mai fermata. Fantascienza e fantastico sono entrambi parte della bibliografia di John Crowley, Bruce Sterling, Vonda N. McIntyre, C.J. Cherryh, Michael Bishop, Lucius Shepard, Michael Swanwick, Tim Powers, Nancy Kress, Pat Cadigan, Lois McMaster Bujold, Harry Turtledove, Kim Newman, Gwyneth Jones, Iain Banks, Charles Stross, Richard K. Morgan, Jo Walton… E mi devo fermare per non fare un appello quasi generale..
Lo stesso vale per l’Italia. Dai precursori Bontempelli, Landolfi, Buzzati e Calvino; alle figure fondanti (la silver age del fantastico letterario italiano?) come Aldani, Briatore, Cersosimo, Cerrino, Pandolfi, Passaro, Zuddas, e ora a Debenedetti, Cola, Evangelisti, Fazio, Piras, Tonani. E, ancora una volta, sto facendo una selezione arbitraria.
Molto semplicemente, gli autori hanno storie diverse da raccontare, e le raccontano in generi diversi. Continueranno a farlo.
Passiamo alle questioni di mercato. Il mercato specializzato della fantasy nasce (grazie al lavoro di De Camp, Lin Carter e altri) durante gli anni Sessanta. A quel punto, abbiamo modelli diversi: l’orrore post-lovecraftiano, il gotico di Shirley Jackson e John Collier, la sword & sorcerynata con Howard, la fantasia dark di Mervyn Peake, l’oscillazione fra mondi al limite dell’utopia nata col ciclo di Oz e proseguita da Silverlock di John Myers Myers, le varie versioni dei mondi medievali (che da Dunsany raggiunge Eddison e Tolkien), la fantasy urbana inaugurata da Merritt, Leiber e altri. Il successo mondiale di Tolkien, naturalmente, è un punto di svolta, ma per qualche anno tutti questi filoni convivono nelle collane di maggior diffusione.
Ma intorno al 1980, un format acquisisce il dominio nel mercato. Terry Brooks e le fantasie arturiane di Marion Zimmer Bradley presentano alla grande editoria un packaging che promette di essere perfettamente controllabile, le saghe potenzialmente infinite su cui le strategie commerciali di fidelizzazione possono operare con sicurezza: su queste gli editori investono. Non ne facciamo una questione di qualità: consideriamo Tolkien un autore indispensabile, e nella fantasy di questi anni esistono autori che abbiamo apprezzato moltissimo (da Lloyd Alexander a tante scrittrici: Hambly, Lackey, McKillip…). Semplicemente, per almeno una decina d’anni, questa è la fantasy dominante, quella che finisce (per il pubblico non specializzato) per essere identificata col genere stesso. E un po’ di ideologia, nella nostalgia per il passato che informa alcune di quelle storie, non manca.
Ma come in ogni processo evolutivo, i geni latenti possono riemergere, e filoni che apparivano marginali tornano. King, Martin e Peter Straub dimostrano che il tema della quest ha tante sfaccettature. C’è il filone dark e urbano: Neil Gaiman, China Miéville. C’è il gotico e l’ambientazione vittoriana di Susanna Clarke e dello stesso Gaiman. Sempre in Inghilterra, abbiamo complesse sintesi di tanti filoni in Storm Constantine, Mary Gentle, Terry Pratchett, Philip Pullman, J.K. Rowlings. In America, abbiamo il new weird di Jeff VanderMeer, il neogotico di Thomas Ligotti, le favole perverse di Kelly Link, autori indefinibili come Jonathan Carroll, laghost story di Alice Sebold. I vampiri di Chelsea Quinn Yarbro, Charlaine Harris, Laurell K. Hamilton. Il fantastico sta mutando, o meglio sta tornando a dispiegare quella varietà di tendenze che per un breve periodo era stata invisibile.
Verissimo, la fantasy è tornata a occuparsi in pianta stabile del presente. Probabile che questo fantastico rinnovato abbia molto da dire anche del futuro. Talvolta lo farà in modo diverso dalla fantascienza, talvolta i due generi convergeranno. Come hanno sempre fatto. Insieme, ci aiuteranno a immaginare mondi.
A parte i vampiri, Rowlings e forse Gaiman, ed escludendo le figure emerse dal mainstream, in realtà il vero centro del mercato ora sembrano essere i juvenile, da Christopher Paolini a Stephenie Meyer. Per il resto, le collane specializzate (fantascienza, fantasy, horror) continuano a darsi la mano, operando di conserva. E per gli sviluppi letterari più innovativi continua ad agire un underground fatto di piccoli editori e riviste di bassa circolazione.
Da sempre, SF e fantasy incontrano gli anatemi di chi le condanna come letteratura per bambini. Ignoriamoli come sempre, e ragioniamo su chi cerca di fare letteratura — a volte, come nel caso di Harry Potter, abbracciando un pubblico di fasce d’età diverse. Fra l’altro, che si possa fare juvenile fantasy di qualità lo dimostrano con forza proprio alcuni autori italiani: Palazzolo, Gnone, Baccalario.
Mentre scrivo, Locus ci informa che due romanzi SF (di Jack McDevitt e Neal Stephenson) sono ai primi due posti di vendita fra i tascabili (e nelle vendite dei tie-in di giochi e tv abbiamo più o meno un pareggio). Ma davvero, anche in questi generi popolari che hanno suscitato le nostre passioni, il contenuto letterario dipende dalla percentuale di blockbuster?
Questa, oggi come sempre, ci pare la domanda più importante.
Alfonso Zarbo (FM)
Personalmente ritengo che la fantasy, soprattutto nel suo filone classico, possa avvalersi dello stesso principio della storia antica: quest’ultima non dà risposte sul futuro, ma è ciò che permette di comprendere su quali principi e processi tecnologici potrà essere fondato; parimenti la fantasy non fornirà mai risposte esaustive quanto quelle del genere fantascientifico, le cui supposizioni letterarie tendono ad avvicinarsi maggiormente a quella che potrebbe divenire un giorno la realtà effettiva, ma permette tuttavia di comprendere come vi si è arrivati. Fantasy o fantascienza a questo punto? Entrambe. La vera risposta sta in qualcosa che possa racchiudere la capacità di riconoscere gli errori del passato affinché non vengano dimenticati e quella di spalancare le porte a nuovi orizzonti con rinnovata grinta ed entusiasmo, con congetture sempre pronte a saziare la nostra curiosità e ad aprirci gli occhi. Questo pensiero non è altro per me che la simbiosi dei due generi ed è meglio definibile come "urban fantasy".
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