– Lo so che una finestra non serve a niente, ma è stata un’idea di Jessica. Dentro ci troverai anche le tendine fatte con l’alcantara della macchina di Marco. In realtà, anche la nostra casetta non ha alcun motivo di esistere, ma ci fa sentire ancora in vita, non credi?
Non risposi. Mi grattai la fronte.
– Agli altri farà piacere vederti. A me piaci, ragazzo. Hai la faccia da buono. Spero che tu rimanga.
Tirai il vecchio per la camicia.
– Perché, c’è la possibilità di andare?
– Uffa, ragazet! Andiamo, t’ho detto. Non c’è molto tempo. Non è che capita tutti i giorni di vedere facce nuove.
– Vecchio, ti ho chiesto se posso andare via. – Gli strinsi il colletto con entrambe le mani.
– Mi vuoi ammazzare di botte? – Fece un sorriso storto. – Seguimi.
Lo lasciai andare e lo seguii. Era zoppo, ingobbito. La luce all’orizzonte lo tramutò in una specie di appendiabiti ambulante a cui mancava un sostegno. Dal braccio continuava a colare sangue.
– Credo ancora che tu sia un bravo ragazzo – disse senza girarsi.
– Non è facile, vecchio. Tutto questo…
– Lo so, ragazet. Che credi? Che quando è successo a me mi sono messo a ballare il liscio con una barbabietola?
All’interno, la casetta era buia. La luce filtrava attraverso gli spazi lasciati tra la terra e i pezzi di metallo e plastica. Mi sorpresi per come tutta la struttura riuscisse a stare in piedi, ma una volta di più mi diedi del cretino. In quel posto, l’unica cosa di cui ci si doveva stupire era avere qualcosa di cui stupirsi.
Vidi anche la finestra di Jessica, da cui entrava una discreta luce, e le tende d’alcantara. E vidi anche Jessica, o quel che ne rimaneva.
Bella, era bella. Niente da dire. O lo sarebbe stata se non avesse avuto una gamba sola. L’altra era sparita all’altezza dell’anca. Spruzzava sangue come la fontana del castello di Ferrara. Appena mi vide, raccolse un bel mucchio di terra e se lo infilò nella ferita. La fuoriuscita di sangue rallentò, o forse la terra la stava solo assorbendo. Si aggiustò una lunga ciocca di capelli neri portandosela dietro l’orecchio. L’occhio che copriva era gonfio e viola. Quando vide che glielo stavo guardando riportò la ciocca dov’era.
– Le piaci, ragazzo. O forse è solo ospitalità.
– Sta’ zitto – disse Jessica muovendo solo gli occhi nella sua direzione.
In un altro angolo scovai tra le ombre quello che doveva essere Marco.
– Marco… – confermò il vecchio allungando verso di lui l’unico braccio.
Era un uomo di mezza età. Capelli sale e pepe. Se non fosse stato per il pezzo di lamiera che gli spuntava dal petto si sarebbe potuto battezzare il più normale del gruppo. Sembrava che uno shuriken metallizzato, slabbrato e senza forma gli fosse entrato nelle carni trovandosi a proprio agio, e avesse deciso di non andare più via. Era dentro Marco dalla spalla sinistra fino alla costole di destra.
– È quello che dura più di noi, proprio per quella cresta di metallo. Ferma il sangue. Se la toglie solo quando scopa con Jessy. Morte veloce, ma che piacere! No, Marco?
– L’unico rimasto, pare – rispose Marco. Frase da duro, e ne aveva tutta l’aria.
– E poi c’è Pazzo.
Il dito del vecchio indicò una parete. Contro di essa c’era un cilindro di sassi grandi come meloni, tenuti fermi da un incrocio di cinghie di distribuzione, la catena di una moto e una serie di tessuti tagliati in strisce larghe come una cintura.
– È stato il primo. Per me è sempre stato matto, anche quando era in vita, ma abbiamo dovuto costruirgli una stanzetta tutta sua. Vabbe’ che qui l’esistenza fa schifo, ma essere presi a sassate tutti i giorni per l’eternità è più brutto che cagare tutti i giorni di quella stessa eternità in un campo e pulirsi con foglie di barbabietola, non trovi?
– Vuoi dire che lì dentro c’è un uomo? – chiesi.
– È quello che ti ho detto e ti consiglio di fidarti.
Dalla prigione di sassi provenne un lamento ovattato.
– Non può parlare. Abbiamo costruito la prigione in modo che alla sua rinascita un sasso gli finisca dentro la bocca. Abbiamo fatto in modo che sporga verso l’interno all’altezza giusta, capisci? È stata una mia idea. Per me gli spezza i denti tutte le volte.
Un altro lamento.
Inutile dire che tutto quello che vedevo e ascoltavo era come guardare gli scivoli dell’Aquafan montati a testa in giù e con la ghiaia al posto dell’acqua che scendeva con il rumore di un freno senza più la pastiglia.
Mi portai le mani alla testa.
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