A quasi tre anni di distanza dall'esordio esplosivo di Lingue Morte (/libri/3416/) il giovane Davide Garbero ritorna con una nuova antologia di racconti a tema. Se il suo primo lavoro era intinto nell'immaginario pulp dei film di Tarantino, stavolta l'autore invade a pieno titolo l'iconografia horror, non per cavalcarne i luoghi comuni a cui tutti noi siamo abituati, ma con il chiaro intento di sovvertire i principi base su cui il genere pone le sue fondamenta.
Zombi takeaway contiene cinque racconti fra lunghi e brevi, ognuno di questi dedicato ad alcuni dei mostri classici dell'horror, nell'ordine zombie, mummia, vampiro, licantropo e il mostro di Frankenstein. Ma sarebbe troppo facile (oltre che banale) mettere insieme una serie di racconti con protagonisti figure alle quale centinaia di scrittori hanno già dedicato fiumi di inchiostro; per fortuna l'autore non cade nel tranello e riesce a rilanciare la posta senza scadere nell'agiografia tipica dell'appassionato. I mostri di Davide Garbero non sono le belve sanguinarie frutto di un certo tipo di cinema e letteratura vintage, ma nemmeno si riducono a essere i reietti della nostra società moderna come accade (a volte con un eccesso di moralismi) nei vari episodi di Dylan Dog, fino a innalzarli come eroi postmoderni. I mostri di Zombi Takeaway sembrano piuttosto affetti da incurabili malattie che si ritrovano a subire loro malgrado. Né buoni né cattivi, né leggendari né eroici, semplicemente parassiti affamati, deviati, patetici e anche un po' sfigati, non più mostruosi di tanti esseri umani in circolazione.
L'idea è vincente, e Davide ha tutti i mezzi (sia narrativi che strutturali) per riuscire a costruire un degno seguito del suo volume d'esordio. Eppure il giovane autore, pur avendo svolto un lavoro soddisfacente e in buona calligrafia, non è riuscito a fare il passo più lungo della gamba e a superare se stesso. Mentre Lingue Morte è stato scritto tramite una lingua tagliente, sagace e veloce nel colpire e chiudere le frasi, Zombi takeaway al contrario ha fatto proprio uno stile un po' più lento e ampolloso, forse più maturo ma allo stesso tempo meno strabordante di creatività grezza e senza freno. Questa scelta si riflette anche nei racconti, che spesso peccano di una lunghezza a volte eccessiva rispetto ai contenuti proposti. Meno stoccate, più riflessività. Non si tratta necessariamente di un difetto, ma è di certo una lieve virata che forse non sarà gradita a tutti.
I racconti sono tutti di buona qualità, ma così come in Lingue Morte, il gap qualitativo di alcune storie rispetto ad altre rimane alto, forse ancora più alto del precedente volume.
Zombi takeway, il racconto che dà il nome all'antologia, non delude e anzi ci lascia ben sperare per il resto del libro. Incentrato sulla figura dello zombie e narrato dall'atipico punto di vista dello stesso, ci mostra un esemplare di non morto patetico e a tratti anche tenero, ferale e innocente quanto un gatto selvatico stretto al muro e in conflitto continuo con la propria distorta immortalità.
Abel, che riprende il mito della mummia, è forse il peggiore dell'antologia. Un buon racconto mainstream-thriller tutto sommato, ma fra tutti è il meno pregnante di spunti, oltre a essere il meno pertinente con l'icona che pretende di rappresentare.
Io ero Leggenda, al contrario, è con tutta probabilità il migliore racconto dell'antologia. Così come il titolo mathesoniano lascia trapelare, il racconto presenta un iconoclastico e non banale ritratto dell'ultimo vampiro rimasto sulla terra. Ben lontano dagli esseri affascinanti e vagamente effeminati proposti da gran parte della nostra letteratura, il vampiro di Garbero è codardo, crudele e umanissimo parassita costretto a tirare a campare per sopravvivere alla perfidia dell'uomo.
Ho le mie cose sposta di nuovo l'ago della bilancia verso il basso, niente di più che un prevedibile e strutturalmente sbilanciato divertissement sulla licantropia, un racconto a sorpresa discreto ma troppo lungo (oltre che privo di sorpresa).
Chiude l'antologia l'apocalittico racconto breve Christenstein!, dove l'umanità si risolve a costruire da sé il proprio messia, fallendo miseramente nello scopo. Un'ottima idea dalle molteplici potenzialità che però stavolta l'autore non sviluppa a sufficienza.
Alla fine dei conti, Zombi takeaway è un buon libro che scongiura la classica ansia da prestazione degli autori alla seconda prova, e che troverà molti sostenitori fra quegli appassionati di horror dotati di senso dell'umorismo. Eppure, una volta girata l'ultima pagina, rimane l'impressione che il libro avesse potuto offrire di più: l'idea è buona, la realizzazione anche, eppure come novelli non-morti affamati di pagine, la nostra bramosia di buona letteratura va ben oltre la semplice sazietà.
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