L’ultimo libro che hai pubblicato è “Melma”, per Edizione Ambiente, una storia ambientata nel futuro, che parla di ecoterrorismo e della distruzione dell’ambiente. Una storia un po’ diversa dalle atmosfere a cui ci hai abituato con i romanzi precedenti. Come è nato questo progetto?
La casa editrice ha chiesto a diversi autori italiani di partecipare a una interessante operazione: scrivere un romanzo su uno dei temi esposti nell’annuale rapporto sulle ecomafie redatto da Legambiente. Ho accettato con convinzione ed entusiasmo perché i problemi ambientali mi stanno a cuore, e perché ritengo che nel progetto di Edizioni Ambiente (che tra l’altro prevede che una parte degli introiti da diritti d’autore vadano alle campagne di Legambiente) ci siano importanti intenti di carattere civile e morale, oltre che educativo. Ho scelto per il mio romanzo l’argomento dei petrolchimici, dato che dalla mia finestra vedo la skyline di quello della mia città, Ravenna, e ho cercato di mescolare immaginazione e fiction con dati reali, quelli desunti da libri, documenti, rapporti, eccetera. Ho poi collocato la vicenda nel futuro perché credo che l’emergenza ambientale non vada vista in modo statico, ma colta nel suo divenire, nel suo precipitare verso un punto di non ritorno che va scongiurato. Dunque un’esperienza di scrittura piuttosto inusuale per me, ma che mi ha coinvolto molto.
In “Come il lupo”, tua opera precedente, affronti le tematiche a te care dei miti e della tradizione contadina, della provincia italiana con le sue superstizioni, accompagnata come sempre dal tuo stile suggestivo e funzionale. Rispetto ai primi libri (“Malaria”, “Faccia di Sale”, “Terra di Nessuno”) c’è un tono meno cupo, l’atmosfera è meno spaventosa e allucinata a favore delle psicologie dei personaggi che sono il vero motore del libro. C’è stata una svolta? La tua scrittura dove sta andando?
Difficile dirlo... Io credo che nella scrittura, oltre a una componente “artistica”, ce ne sia una “artigianale” che certamente si affina con l’esperienza, con gli anni, col lavoro. Dunque si impara scrivendo, e si dovrebbe migliorare. Poi ci sono variabili infinite: il progredire dell’età, le esperienze personali, gli stati d’animo. Insomma, uno scrittore non è sempre lo stesso, e dunque non lavora sempre allo stesso modo e con gli stessi esiti. Credo, di libro in libro, di essere diventato più ironico, più capace di seguire i personaggi nelle loro psicologie oltre che nelle loro azioni, di avere raggiunto qualche capacità in più di arrivare a una armonica coralità nella vicenda. O almeno lo spero. Dove porterà questo percorso, non so dirlo. Spero che il saper suonare qualche nota diversa mi consenta, anche per il futuro, di rinnovarmi e di continuare a divertirmi nel mio lavoro: questa è una condizione necessaria per potere continuare a divertire e a interessare i lettori.
Attualmente a cosa stai lavorando? Ci puoi dare qualche anticipazione?
Sto ultimando un romanzo per Einaudi Stile Libero scritto a quattro mani con Alessandro Fabbri, un giovane scrittore e sceneggiatore, ravennate come me anche se ora vive a Roma. Il progetto è nato da un trattamento cinematografico che tempo fa abbiamo redatto insieme, prendendo in mano e rifacendo completamente, fino a farla diventare una storia diversa e molto più ricca e ambiziosa, un mio vecchio romanzo breve per ragazzi che si intitolava L’estate strana. Dovremmo finire la stesura entro poche settimane; il romanzo uscirà nella tarda primavera con il titolo Quell’estate di sangue e di luna. Credo stia venendo veramente bene, con una buona ricchezza di contenuti e di personaggi (insomma una vera coralità). E’ un Gotico rurale (raccolta di racconti dell'autore, Frassinelli 2000, ndr) che come personaggi principali ha quattro bambini che nell’estate dello sbarco sulla luna, cioè quella del 1969, si trovano a vivere, nella loro piccola comunità di campagna, una serie di eventi strani, drammatici, misteriosi fino al confine del soprannaturale.
E’ interessante la rivisitazione da parte di un autore di un suo “vecchio materiale“. E’ un po’ come fare un remake di un film, la possibilità di tornare su un’opera e rimaneggiarla, di aggiungere ancora qualcosa da dire. “L’estate strana”, se non vado errando, tra l’altro è uno dei tuoi libri “fuori catalogo” e quindi di difficile reperibilità. Con questa operazione quindi i lettori possono recuperare dei testi, che difficilmente riuscirebbero a leggere, in una nuova versione rivisitata. Tu che ne pensi?
Non solo quel libro è fuori catalogo, quindi introvabile da diversi anni, ma come ho detto era stato scritto per ragazzi, quindi con limiti sia di numero di pagine che di contenuti. Partendo da quel testo, o meglio da quell’idea, che potenzialmente, secondo me, poteva essere sviluppata molto meglio, siamo giunti a una storia davvero nuova, molto più ricca di personaggi, implicazioni, sviluppi della trama. Succede a volte di scrivere un racconto di poche pagine e accorgersi a posteriori che quello spunto avrebbe potuto dare vita a un romanzo: allora perché, a tempo debito, non farlo, perché bruciare un’idea o negarle una diversa e maggiore espressione? La stessa cosa, come hai rilevato nella domanda, succede spesso nel cinema, regalando agli spettatori la possibilità di fruire di prodotti rinnovati e ottimi.
Hai parlato di cinema. Hai scritto la sceneggiatura di quattro episodi tratti dai tuoi racconti con Gianfranco Rigosi, che è anche l’autore del romanzo “Notturno Bus” la cui riduzione cinematografica è uscita lo scorso anno con successo nelle sale. Com’è nata questo progetto e collaborazione? Quando potremo vedere sullo schermo questi episodi? Hai altri progetti nel campo cinematografico?
Quello del cinema, per me, resta un mondo strano e una opzione professionale e artistica secondaria (non per importanza, ma per frequentazione). La sceneggiatura a cui fai riferimento è stata scritta anni fa, più volte rivisitata, messa in produzione tra molte vicissitudini, tanto che ne ho un po’ perso traccia... a quanto mi risulta, comunque, le riprese dovrebbero riprendere a breve. Quella con Rigosi è una collaborazione nata principalmente dalla nostra amicizia e reciproca stima: è un ottimo sceneggiatore oltre che scrittore, e ci conosciamo da quasi vent’anni. Io, lui, Carlo Lucarelli, Simona Vinci, Deborah Gambetta, Gianfranco Nerozzi e altri siamo un solido gruppo non solo e non tanto di colleghi, quanto appunto di amici che vivono nello stesso territorio e che si frequentano regolarmente.
Hai cominciato con la scrittura negli anni ‘90 e hai all’attivo un gran numero di romanzi. Hai spaziato dalle storie horror al thriller, dal noir al mistery. Dai racconti ai romanzi, dalla saggistica, alla sceneggiatura e al teatro. C’è un genere piuttosto che una storia, una forma di scrittura con la quale vorresti cimentarti e che non hai ancora affrontato?
Non mi pongo mai, quando mi accingo a scrivere un’opera di narrativa, il problema di catalogarla in “generi”: racconto semplicemente la vicenda che ho in testa. Dunque per il futuro non posso fare né progetti né annunci, perché non so che idea mi verrà. Di sicuro non mi porrò limiti particolari relativi alla forma espressiva e asseconderò l’ispirazione del momento. Diverso il discorso per quanto riguarda la saggistica, campo in cui mi piacerebbe proseguire il lavoro iniziato col volume Halloween scritto insieme a Giuseppe Bellosi e pubblicato nel 2006 da Einaudi; insomma, vorrei affrontare ulteriori temi di antropologia culturale con altre opere dedicate al folklore italiano. In realtà io e Bellosi stiamo già lavorando a un volume sul “Natale segreto”.
Sembra molto interessante. A che punto siete? Ci puoi dire qualcosa in più sul progetto? E’già prevista una possibile data di uscita? Qual è l’obiettivo che vi ponete con questi saggi? La divulgazione, il recupero del vero significato di alcune tradizioni ?
Il volume che stiamo preparando ricalcherà in un certo senso la struttura di quello su Halloween: una ricognizione nel folklore italiano alla ricerca delle tradizioni più significative (stavolta relative al periodo Natale – Epifania) e anche meno conosciute, ormai a rischio di estinzione sotto la spinta della globalizzazione e del mutare dei tempi. Non sarà però un mero elenco, ma un’occasione per “spiegare” le tradizioni in oggetto, il loro significato, la loro arcaica origine. Sembra una frase fatta dire che è importante “capire chi siamo e da dove veniamo”, indagare sul senso di gesti, valori, suggestioni, speranze e paure che ci tramandiamo da tempo, ma non lo è. Questo perché nel patrimonio folklorico di un popolo c’è “tutto”, e perché l’antropologia culturale ha il pregio di affrontare gli argomenti in modo interdisciplinare spaziando tra storia, sociologia, psicologia, semiotica, storia delle religioni, linguistica eccetera. Il libro dovrebbe essere pronto per uscire in occasione delle festività natalizie di quest’anno, se non ci saranno incidenti di percorso.
La saggistica è il tuo primo amore, è stato il trampolino di lancio verso la narrativa. Tu stesso hai dichiarato che i tuoi studi hanno influito sui temi che tratti nei tuoi libri. E’ stato difficile questo passaggio?
No, per me è stato conseguente. E’ ovvio che scrivere saggistica e scrivere narrativa sono due cose molto diverse, ma in me esistevano (ed esistono) entrambe le passioni e gli intenti, e da sempre mi sono impegnato per cercare di riuscire al meglio su tutti e due i fronti. Nella mia narrativa ho portato molte delle suggestioni che incontravo studiando le culture popolari, le leggende, le superstizioni, l’immaginario collettivo (anche quello più cupo e pauroso), e credo che i lettori questo lo trovino interessante e stimolante, perché le storie che ne scaturiscono vanno a suonare dentro ognuno di noi vecchie corde ancora molto sensibili.
Parliamo delle collaborazioni con altri scrittori. Hai citato Alessandro Fabbri e Giuseppe Bellosi. Recentemente hai anche collaborato con Massimo Cotto in “Le notti Gotiche”, Aliberti Editore, interessante esperimento editoriale che propone due autori che si cimentano con lo stesso plot, con una traccia chiamiamola “comune”. Come nascono?
Per la verità il libro che citi e che reca la mia firma insieme a quella di Cotto è nato semplicemente come operazione editoriale che ha accorpato i testi di due autori aventi tra loro certe affinità. Io e Massimo ci siamo solo sentiti al telefono una volta, per raccontarci a vicenda la trama e i contenuti dei nostri relativi racconti. Dunque non l’ho mai incontrato, ma mi piacerebbe farlo perché la sua storia mi è piaciuta davvero molto.
Nella vita di tutti i giorni, da abitante della provincia fatta delle tradizioni e dei miti di cui parli nei tuoi romanzi, ti consideri una persona superstiziosa? In una società come quella attuale sempre più legata alla tecnologia come consideri la superstizione e la magia?
Non sono superstizioso, però do ancora importanza alla cultura popolare e tradizionale entro la quale sono nato e cresciuto, perché ha contribuito a formare la mia identità, la mia sensibilità, i miei valori, i miei schemi di relazione, oltre alle mie curiosità e propensioni. Poi occorre essere chiari sul senso della parola superstizione: nel suo significato attuale, che richiama a un rapporto causa-effetto priva di implicazioni di tipo culturale, è certamente un fatto negativo. Spesso però si fa confusione tra la superstizione e la cultura popolare, che è invece una sorta di DNA insito in ognuno di noi e frutto della storia e delle elaborazioni di infinite generazioni che ci hanno preceduto. Nel mondo ipertecnologico, postmoderno e sempre più globalizzato di oggi, i valori culturali, così come le lingue, appartenenti alle diverse popolazioni, devono rappresentare un valore da tutelare e non un limite da superare. Il limite va cercato casomai nell’appiattimento passivo.
C’è un romanzo o un racconto a cui sei particolarmente legato? Per quale motivo?
Ogni opera per il suo autore è quasi come un figlio, per cui è difficile fare differenze e discriminazioni, anche se è ovvio che ci sono lavori meglio riusciti di altri. Credo che il mio romanzo migliore e più completo sia Come il lupo (Einaudi 2006), ma voglio sperare che il più bello sarà uno dei prossimi che scriverò...
Parliamo del processo creativo. Dell’ideazione di una storia e del suo successivo sviluppo. Quali sono le tue tecniche narrative? Quanto conta la documentazione?
Dalla prima idea, dal germe della storia, dunque da quel momento che possiamo chiamare “ispirazione”, alla stesura di un romanzo, il percorso è lungo, almeno per quanto riguarda il mio modo di lavorare. Lascio passare tempo per far maturare l’idea, e cerco di stimolarla con la documentazione, che diventa necessaria dunque non solo per avere elementi materiali, ma anche per arricchire l’ideazione di fatti, scene, personaggi. Comincio la stesura solo quando ho pronto “dentro” tutto quello che mi serve, quando ho un taccuino zeppo di appunti, quando ho metabolizzato. Diversa è la situazione per quanto riguarda un racconto: in quel caso all’idea (se è un’idea forte, nitida, interessante e stimolante) può seguire la stesura anche in tempi brevissimi.
Quali sono gli aspetti più importanti per te in una tua storia, quelli che cerchi di valorizzare maggiormente?
Un’opera riuscita è quella che sa abbinare una buona trama a un buono stile. Senza un’idea interessante lo stile rischia di rimanere un esercizio sterile, e senza una buona scrittura anche le idee migliori perdono valore. Per cui, quando scrivo il mio tentativo va nella direzione di curare entrambi gli aspetti citati. Un’altra cosa a cui dedico molta attenzione è l’ambientazione, perché non rappresenta solo lo sfondo della vicenda, ma in una buona storia può esserne addirittura l’anima. A condire il tutto, un po’ di ironia non guasta, e nelle mie ultime opere ho cercato di tenerne conto.
Si può vivere facendo lo scrittore? Come vedi il mercato editoriale italiano oggi?
In Italia si può vivere facendo lo scrittore se si ha la fortuna di vedere almeno una propria opera diventare un best seller o un buon film, o se si lavora molto e con grande continuità non disdegnando alcuna delle possibilità che il lavoro di scrittura offre (romanzi, racconti, articoli giornalistici, sceneggiature, saggi ecc.). Io vivo di scrittura da più di dieci anni, appartenendo alla seconda delle categorie che ho illustrato. E’ noto che il mercato editoriale italiano non è dei più estesi e più floridi, ma... ma faccio il lavoro che ho sempre sognato e che ritengo il più bello del mondo. Non sono ricco in termini materiali e non lo diventerò mai, probabilmente, ma sono contento così. Molto contento.
Eraldo Baldini è nato a Russi (RA). Dopo essersi specializzato in Antropologia Culturale ed Etnografia, e avere scritto diversi saggi in quei campi, agli inizi degli anni Novanta si dedica alla narrativa.
Nel 1991 vince il Mystfest di Cattolica col racconto "Re di Carnevale", ma il romanzo che gli dà notorietà è "Mal’aria" (Frassinelli 1998; Frassinelli Paperback 2003) con il quale vince il premio Fregene.
Tra gli altri suoi libri ricordiamo "Faccia di Sale" (Frassinelli, 1999, Frassinelli Paperback 2005),"Gotico Rurale" (Frassinelli 2000, Frassinelli Paperback 2004); "Terra di Nessuno" (Frassinelli, 2001-2005), "Bambine" (Sperling & Kupfer 2002, Frassinelli 2005); "Nebbia e Cenere"(Einaudi, Stile Libero Big), "Come il lupo" ( Einaudi 2006) "Halloween" (con Giuseppe Bellosi, Einaudi 2006), "Melma" (Edizioni Ambiente, 2007).
Oggi è non solo romanziere affermato in Italia e all’estero, ma anche sceneggiatore, autore teatrale e organizzatore di eventi culturali.
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID