Ciao Gianfranco è per me un onore averti ospite tra le pagine di Horror Magazine. Uno scrittore che tra gli appassionati del genere horror italiano non ha bisogno di presentazioni, ma mi affido comunque alle parole di Alan D. Altieri che ti definisce “sanguinario maestro del genere horror e apocalittico mago della narrativa dell’incubo”.
Cominciamo a parlare subito delle novità: come è nato il progetto di ripubblicare la trilogia di Cry Fly?
Grazie ad Alan (Sergio) Altieri, che come tutti ben sappiamo si occupa da un paio di anni, con grande merito e capacità, delle pubblicazioni da edicola di Mondadori. Parlando della nuova collana di Urania dedicata all’horror che era prossima alla realizzazione, gli proposi la mia vecchia trilogia e lui disse: "okay bro!". Molto semplicemente, come nascono le cose fra uomini che non devono chiedere mai, e che non ballano… Lui aveva già avuto modo di apprezzare quei miei primi lavori nella loro versione addictioniana, quindi: "no problem sir!". L’affare fu fatto. E io, colto dall’entusiasmo, gli proposi di mettere in coda un racconto inedito per chiudere il cerchio: Ombra nel vuoto, che ha come coprotagonista Angela Manni, la poliziotta che i fan di Genia hanno avuto modo di conoscere molto bene. Lei si trova alle prese con la sua prima indagine importante e deve catturare Ruben Costa l’eroe (se così si può dire) di L’urlo della mosca. Un vero e proprio passaggio di testimone fra il vecchio e il nuovo. Adoro collegare tutte le mie storie, renderle parte di una stessa cosa.
L’urlo della mosca è stato il primo romanzo che hai scritto con lo scopo di partecipare a un concorso. Quello è stato l’inizio da cui è partito tutto, la tua carriera di scrittore dell’incubo.
Che impressione hai adesso a riguardare questa opera e a rivederla “incarnata” in una nuova veste editoriale? Riscrivendola oggi, cambieresti qualcosa?
Vedere i propri romanzi vecchi uscire di nuovo a distanza di tanti anni, è una bella sensazione, che fa… impressione, appunto. Poi il tomo è venuto bene anche come veste grafica, con una cover accattivante. Il mio occhio non è neanche tanto invecchiato, dai. Insomma: me piase, me gusta… Come ho già scritto nella prefazione della trilogy, se queste storie le avessi scritte oggi, non avrei usato quello stile, quella parole, non avrei scelto certe soluzioni, per forza. Si cambia, ci si evolve. Ho scelto di non pubblicare dei remake, perché non mi pareva una cosa giusta. Sarebbe stato come rimasticare bocconi già digeriti, come fanno le mucche. Alla fine sono stati fatti sui testi solo lievi aggiustamenti in fase di editing.
Il romanzo ha poi avuto una vicissitudine particolare prima di arrivare alla pubblicazione, tanto che hai cominciato a chiamarlo “bella Cecilia”. Questa ripubblicazione la consideri una rivincita sul passato?
L’urlo della mosca alias la bella Cecilia che tutti la vogliono e nessuno se la piglia. Allora tanti editori se l’erano contesa e poi andava sempre a finire che per una cosa e per l’altra non se ne faceva nulla. Poi venne Addicitions e il buon Leonardo Pelo, grande personaggio, di cui è fra l’altro l’idea dell’occhio in copertina, e anche Francesco Altieri. Se ci penso bene, non considero questa mia uscita su Mondadori come una rivincita sul passato. Le cose vanno come devono andare. Seguono disegni che hanno una ragione di esistere. Quindi va bene così, davvero. È stato bello fare i pionieri allora. Poi le escalation mi piacciono. Adesso sono su Urania e lo considero fantastico, ma non tanto perché proprio questa collana in quei tempi cecilieschi era stata una di quelle che doveva prendersi il romanzo senza prenderlo. Più che altro mi fa un bell’effetto, perché quando ero ragazzino leggevo tutti romanzi di fantascienza che uscivano e adesso il pensiero di essere io dentro quella collana lì, mitica da morire, mi riempie di orgoglio, per non dire di peggio. Insomma: è una cosa forte!
L’Urlo della Mosca presenta molte tematiche ed elementi che poi affronterai nei tuoi romanzi successivi, e specialmente nella “trilogia della mosca”. Uno dei protagonisti del libro, una scrittrice, usa come pseudonimo letterario F.J. Crawford, lo pseudonimo con cui hai pubblicato il tuo primo libro Ultima Pelle, che rappresenta la sua “metà oscura”. Altri elementi sono: l'eterna lotta del bene contro il male, il fantomatico gruppo dei Mastéma e infine la sintesi del tuo stile di scrittura, carnale e brutale come un “melanconico pugno in faccia” che descrive l’orrore ma che sonda anche i sentimenti umani. C’è una specie di mondo, di personaggi, di sentimenti comuni che ruotano attorno alle tue opere?
Certo, lo accennavo anche prima. Tutte le mie storie fanno parte di un mostruoso puzzle. Cose che tornano e ritornano, situazioni che ne fanno nascere altre, matriosche narrative, scatole cinesi… Unicum efferato. O forse solo delirio allo stato puro. Sara Vanti, la scrittrice protagonista de L’Urlo della mosca usa lo stesso pseudonimo che usai io nel mio primo romanzo pubblicato, Ultima pelle. Quindi io che divento i miei personaggi e loro che diventano me. Tutto si mescola. Realtà, fantasia… Formano un magma comune, fanno scaturire compartecipazioni e coinvolgimenti. Il gruppo musicale dei Mastema, le cui song mi accompagnano in tutti i miei romanzi, tanto che molti fan sono anche andati a cercarli nei negozi di dischi, forse un giorno diventeranno un gruppo vero. Intanto adesso anche altri amici scrittori, vedi Matteo Bortolotti, autore di Questo è il mio sangue (Colorado noir), li ha citati nelle sue storie. Insomma alla fine ne viene fuori una specie di contagio. Mi piacerebbe essere il promotore di una bella epidemia di fantasia, colpire tutti quelli che non ci credono più e liberarli un poco. La letteratura, l’arte in genere, deve essere così: contagio dello spirito, dimensione parallela, via di fuga dalla gabbia. In questi giorni ho proposto a Sergio Altieri di ripubblicare anche quel mitico Ultima pelle, firmandolo Sara Vanti. Sarebbe la prima volta nella storia della letteratura, almeno credo, che esce un romanzo scritto da un personaggio di un altro libro. Ma che casino…
E la proposta è stata accettata? Sarebbe un bel colpo per i tuoi fan, quel libro ormai è introvabile.
Sergio prima vuole giustamente leggere il romanzo. Poi se ne parlerà. Incrociamo le dita tutti quanti…
Concludono la trilogia Prima dell’urlo e Immagini Collaterali. Avevi già in mente tutte e tre le opere prima di cominciare a scrivere l’Urlo della Mosca? In Prima dell’urlo i protagonisti sono gli stessi che popolano L’Urlo della Mosca, in racconti completamente autonomi. In Immagini collaterali il protagonista è anche qui uno scrittore e gli eventi sono contemporanei e successivi a quelli dell’Urlo. Come sono nati questi due libri?
Siccome L’urlo della mosca era sempre prossimo a uscire per qualche editore, quando mi veniva chiesto qualche racconto per antologie o riviste, mi pareva una buona idea usare gli stessi personaggi del libro. Ma non potevo certo raccontare il dopo del romanzo. Così mi divertivo a scrivere dei prequel. Dai una volta, dalle due volte, alla fine mi sono ritrovato fra le mani materiale per un libro. Così è nato Prima dell’urlo. Con un conto alla rovescia alla fine del quale c’è un romanzo che però è venuto prima. A proposito di delirio, già…
Immagini collaterali, invece è un sequel, anche se in realtà si potrebbe definire una storia collegata… collaterale, appunto, proprio come un danno…
Immagini collaterali è quello più dichiaratamente ispirato al cinema thriller di Dario Argento, che citi con alcune scene e situazioni. Cosa pensi dell’uso della citazione narrativa? Ci sono degli autori che ti hanno influenzato maggiormente sia nel cinema che nella letteratura?
La citazione deve essere un omaggio a qualcuno che in qualche modo ti ha fatto scaturire qualcosa che ti ha bruciato un poco. Hai presente quando con l’attizzatoio rovisti nel fuoco? Se qualche scintilla ti colpisce… Certe opere, letterarie, cinematografiche, ma non solo… possiamo metterci dentro tutte le forme di arte comprese quelle marziali, contribuiscono a farti venie su una fiamma nuova, una riflessione. Per quanto mi riguarda uno dei miei focolari preferiti è senz’altro Stephen King. Un poco anche Clive Barker, con certi suoi racconti. Poi ci sono delle opere che mi hanno influenzato moltissimo e che cito sempre: L’esorcista di William Peter Blatty, da cui hanno tratto l’omonimo film. Il canto di Natale di Dickens. Un vecchio film western che s’intitola Soldato blu. E tutta l’opera di Caravaggio. Per quanto riguarda la musica: alla fine di ogni libro metto sempre il soundtrack, la colonna sonora che durante la narrazione ha contribuito a disseminare mollichine di pane da seguire. Così come la vision track, che riguarda i film. Insomma l’arte deve essere un contagio che si espande, l’ho già detto prima.
Sempre per Urania, nel 2003 hai curato l’antologia horror In fondo al nero, che raccoglie molti racconti di prestigiosi autori italiani. In quell’occasione hai dichiarato che ti dispiaceva che il libro avesse avuto una vita editoriale così breve. Anche adesso con la ripubblicazione della Cry Fly Trilogy, la sorte sembra la medesima. Cosa ne pensi?
Con quella raccolta lì, volevo sfondare una porta, cercare di aprire una nuova strada per l’horror di marca italiana. E tutta l’operazione era incentrata su quell’imperativo. Per riuscirci dovevo vendere molto. Da qui la scelta di coinvolgere grossi nomi. Purtroppo questa scelta ha fatto levitare enormemente il costo dell’operazione. Farlo uscire negli Oscar secondo i responsabili editoriali di allora non sarebbe stato conveniente. Il rammarico riguarda soprattutto questo. Per quanto riguarda Cryfly va benissimo così. I lettori di Urania sono comunque molti e quindi la vetrina è ottima. Si raggiungono in pochi mesi i livelli di vendita che in libreria si raggiungono in un anno se non di più.
Parliamo del processo creativo e delle tecniche narrative. Come nasce un’idea e come la sviluppi? Qual è il tuo metodo di lavoro? Cosa cerchi di fare emergere maggiormente in una storia?
Arriva la scintilla, inizio a bruciare. Lo sviluppo è il magma che ribolle. E io che mescolo tutto, tutto sudato, nel pentolone dello stregone. Il mio metodo di lavoro, in fondo, è un non metodo. Butto giù a ruota libera, faccio uscire i frammenti dal mio profondo (nero!). Poi scopro come s’intrecciano fra loro. E faccio il montaggio. A meno che non mi venga richiesto per questioni contrattuali, non faccio mai prima un plot. Al massino qualche schema in fase di working progress, per raccapezzarmi un poco quando me la vedo brutta. Magari se devo capire bene se la cronologia funziona, oppure se ci sono scene complicate da descrivere sul piano dell’azione. Per l’ambientazione, se posso, mi reco nei posti che servono, oppure scarico da internet, mappe, stradari, riprese satellitari con Google earth. Dalle mie storie devono emergere… le mie storie. Che sembra un gioco di parole. Ma non mi metto a scrivere qualcosa pensando a cosa voglio significare, quali messaggi voglio dare, di cosa voglio parlare veramente. Lo faccio e basta. E dopo che ho finito, solo allora riesco a rendermi conto del grido che ho voluto tirare fuori per condividerlo con i lettori. Nella fase ultima dell’editing, tolgo l’ennesimo guscio di crisalide e la farfalla inizia a battere le ali.
Hai scritto numerosi racconti. Recentemente hai pubblicato in due prestigiose antologie: Incubi, Baldini Castoldi, e Anime Nere, Mondadori. Come ti approcci a questa forma narrativa rispetto al romanzo? Secondo te il racconto è un genere letterario ancora vivo e di successo?
L’approccio è lo stesso. Cambia solo la misura del tempo. Il racconto deve essere, l’ho ribadito tante volte e mi piace ripeterlo, come una sveltina, di quelle selvagge: presto dentro e presto fuori, ma con una grande intensità.
Il racconto, soprattutto grazie alla possibilità di pubblicare in rete, mi pare che abbia avuto un bel ritorno. Le antologie però vanno meno dei romanzi. Non è cambiato questo. Si vede che i lettori preferiscono le lunghine…
A proposito di Incubi, nel tuo racconto Farfalle Rosse, in esso contenuto, citi Nostra Signora delle Tenebre, un’opera di Fritz Leiber. Nel racconto riprendi anche alcune tematiche dello scrittore, come la magia architettonica. Com’è nato questo racconto e questa interessante citazione?
È partito dall’idea di una dimensione parallela, il rifugio delle anime perdute. Mi sembrava affascinante. Parlare di persone scomparse misteriosamente e di Limbo. Avevo scritto il soggetto per un corto che doveva parlare in qualche modo della dimensione metropolitana, dove era racchiusa la parte centrale della storia di Farfalle rosse. Quando Raul Montanari mi ha commissionato il racconto, gliene ho parlato e a lui è piaciuto molto l’idea. Così sono partito a scrivere. Poi mi è venuto in mente quel libro di Lieber, dove si parlava di dimensioni paramentali, bellissimo. Fra l’altro: lo stesso racconto Nostra signora delle tenebre, che ha ispirato Dario Argento per la sua trilogia delle madri. Lo vedi come il contagio si espande sempre?
Tu scrivi da circa sedici anni. Oltre all’horror hai spaziato tra molti generi il noir, lo spionaggio, il giallo la narrativa per ragazzi. C’è un genere piuttosto che una storia, una forma di scrittura con la quale vorresti cimentarti e che non hai ancora affrontato?
Quelle che mi piacevano molto le ho già tutte visitate. E spaziate. Ma c’è ancora tanto lavoro da fare e cose da dire… Io sono comunque un tipo di scrittore che ama spaziare a prescindere. Non ho problemi a spostare le mie corde, mai. Se qualcuno mi commissionasse un romanzo rosa, sicuramente, firmandolo con uno pseudonimo, ci proverei senz’altro. Solo ci metterei dentro qualche fantasma, magari innamorato sempre più…
Parliamo della narrativa horror italiana. Oggi, rispetto a quando hai iniziato tu scrivendo L’urlo della Mosca, vedi maggiore spazio per questo genere e per gli esordienti?
Qualcosa di più sì. Ma c’è ancora tanta strada. Ostacoli da aggirare. Il trucco è fare degli horror camuffati da giallo, come ho fatto io con Cuori perduti… A parte gli scherzi: il fatto che Urania esca con una collana dedicata all’horror e che il primo numero di quest’anno sia inaugurato da un italiano, vorrà pur dire qualcosa…
Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Ci puoi dare qualche anticipazione?
Che bella domanda. Mi piacciono i progetti per il futuro. Il prossimo romanzo (nuovo) mio uscirà a settembre ma voglio lasciare il tutto velato dal mistero per quanto riguarda la casa editrice, il titolo e la trama. Sarà comunque un fuori saga, cioè non un seguito di Genia (per quello i miei fan dovranno ancora attendere un po’, sic sic…) Poi ci sarà il nuovo Hydra Crisis, che penso che si intitolerà Ultimo sangue, una sfida terribile di Marc Ange contro una bellissima killer con una misteriosa allergia per l’acqua: il seguito de Lo Spettro corre nell’acqua uscito l’anno passato.
C’è qualcosa che vorresti aggiungere e non ti ho chiesto?
Non mi hai chiesto da che parrucchiere vado…
Hai ragione Gianfranco: da che parrucchiere vai?
Si chiama Hannibal Lecter...
Gianfranco Nerozzi vive a Sasso Marconi, in provincia di Bologna. Ha pubblicato numerosi racconti su riviste e antologie (Stampa Alternativa, Giallo Mondadori, Diesel, Achab) ed è autore dei romanzi "Ultima pelle", come F.J. Crawford (Edizioni Eden 1991), "Le bocche del buio" (Edizioni Polistampa 1993), "L'urlo della mosca" (Addictions 1999), "Ogni respiro che fai" (AdnKronos 2000), "Immagini collaterali" (Addictions 2003). Per la serie spionaggio di Hydra Crisis ha pubblicato "L'occhio della tenebra" (Mondadori 2003), "La coda dello scorpione2 (Mondadori 2004), "Lo spettro corre nell'acqua" (Mondadori 2007). Ha scritto l'antologia personale di racconti "Prima dell'urlo" (Addictions 2000, storie basate sul proprio romanzo "L'urlo della mosca"), il romanzo per bambini "Una notte troppo nera" (Disney Libri 2000, attualmente alla quinta edizione con più di 25000 copie vendute) e il thriller "Cuori perduti" (Mondadori 2001), vincitore del prestigioso Premio Tedeschi per il miglior romanzo "giallo" dell'anno. Nel 2003 ha curato l'antologia di racconti horror italiani "In fondo al nero" (Urania Mondadori. Tra gli scrittori presenti, l'inventore di Dylan Dog Tiziano Sclavi, Carlo Lucarelli, Luca Masali, Pupi Avati). Nel 2004 ha pubblicato il romanzo "Genia" (Dario Flaccovio, vincitore del premio Le Ali della Fantasia 2006), prima parte della saga "horror-religiosa" che continua, nel 2005, con "Resurrectum". Nell'estate del 2006 ha pubblicato il romanzo breve "Alla fine della notte", contenuto nel libro L'ora blu, scritto in collaborazione con Andrea Cotti (Aliberti Editore, collana Due thriller per due autori). Due storie che si basano sulla trama del romanzo del 1993 "Le bocche del buio", di Gianfranco Nerozzi. Suoi racconti sono presenti in due antologie horror made in Italy pubblicate nel 2007: "Incubi" (Baldini e Castoldi), raccolta a cura di Raul Montanari, e "Anime nere" (Mondadori, a cura di Alan D. Altieri). Sempre nel 2007, è uscito per Mondadori (collana Super Brividi) il romanzo horror per ragazzi "La creta oscura".
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