“Nel 1967 alcuni minatori americani scoprirono i resti di un'antica civiltà estinta, gli Abkani Questo popolo credeva nell'esistenza di due mondi sul nostro pianeta uno di luce e uno di tenebra. 10.000 anni fa gli Abkani aprirono un varco tra queste due realtà, prima di richiuderlo un abitante del mondo delle tenebre superò il varco e si insediò in quello della luce.

La civiltà degli Abkani misteriosamente svanì nel nulla, lasciando tracce di alcuni manufatti nascosti in luoghi remoti del continente. Le iscrizioni di questi reperti narrano la storia di terribili creature che si nascondono nelle tenebre, aspettando il giorno in cui potranno ritornare nel loro mondo.

Bureau 713, l'agenzia governativa che si interessa di fenomeni paranormali, per lungo tempo si è occupata di portare allo scoperto i misteri di questa civiltà estinta. Sotto la direzione dell’archeologo Lionel Hudgens, Bureau 713 ha iniziato il recupero dei manufatti degli Abkani.

Quando il governo ha deciso di chiudere definitivamente queste controverse ricerche, Hudgens costruì un laboratorio segreto in una miniera abbandonata, dove condusse crudeli esperimenti sui bambini di un orfanotrofio allo scopo di unire gli esseri umani con questi mostri. Le creature nate da questa fusione vissero in uno stato di apparente normalità, mentre le loro anime aspettavano la chiamata per tornare nel mondo delle tenebre.”

Nel primo minuto e mezzo di proiezione, il regista e produttore Uwe Boll fornisce sufficienti informazioni sulla trama da consentire una narrazione lineare, senza aver bisogno di spezzettarla con lunghi flashback. Gli elementi fondamentali sono già stati esplicitati chiaramente, non resta altro che arricchirli e servirsene a dovere per dipanare davanti agli occhi degli spettatori la storia di Alone in the Dark.

Christian Slater
Christian Slater

Ma questo non avviene.

Boll ribadisce più volte le tutte le informazioni che ha già fornito. Nasconde una buona parte dei segmenti narrativi che dovrebbero presentare al pubblico i diversi personaggi, comprensibili solo dopo aver letto la synopsis sul sito web. Compie diversi riferimenti a vicende o situazioni antecedenti al “ciak” della cinepresa, senza approfondirle minimamente e facendole risultare del tutto inutili. Fa scivolare più volte numerosi personaggi dal ruolo di protagonisti a quello di comparse. Gioca con il tecno bla bla, il che è lecito se aiuta il pubblico a comprendere le meccaniche del film, ma lo fa in maniera confusa e impedisce allo spettatore di capire se esiste una qualsiasi motivazione per gli avvenimenti a cui assiste.

Boll, infine, da vita a determinati accadimenti, come l’agguato di una creatura di tenebra in un museo di notte, poi ne prende le distanze, si dimentica di incasellarle nel resto della storia e finisce per duplicarle senza motivo apparente. Si passa dalla ricerca di una serie distinta di manufatti Abkani alla scomparsa di un non meglio identificato Erebus, dal "risveglio" delle cavie di Hudgens a una missione militare dentro una miniera che contiene un… "hey-ma-come-abbiamo-fatto-a-non-trovarlo-decenni-fa?"… che attira di colpo l’attenzione di tutte le creature delle tenebre e desta lo spettatore per una buona decina di secondi, salvo poi lasciarlo basito nell'incomprensibile finale.

Tara Reid
Tara Reid

Tutto questo causa una discreta confusione nell’intera fruizione della storia, e temo anche di questa recensione, che a distanza di poche ore dalla sua visione risulta ancora priva di un vero senso compiuto.

Al di là di ogni valutazione tecnica, Alone in the Dark lascia un’immediata sensazione di incompletezza. Qualcosa manca, il film non è finito. Nulla di ciò che gli spettatori hanno visto è stato spiegato. Ogni situazione che si è andata a creare è rimasta sospesa.

Ad ora non sono state rilasciate dichiarazioni su di un sequel di Alone in the Dark, ma senza la prospettiva di un secondo film, che chiarisca e dia un senso al precedente, non è possibile azzardare alcun parere positivo che risulti in qualche modo difendibile.

Ma non tutto è perduto.

Uwe Boll è noto ai più per la sua regia di The House of Dead, trasposizione cinematografica dell’omonimo videogame realizzata sulla scia di Resident Evil. Aggirandosi attorno alla Casa del Morto, Boll dava segni di una confusione narrativa terrificante, incompatibile persino con la perizia di orgogliosi registi di dignitosi B-movie. Il film non fu semplicemente criticato, ma stroncato direttamente e destinato ai cassettoni della grande distribuzione contenenti DVD a basso prezzo, accanto a film come Superargo contro Diabolikus e I Predatori dell’anno Omega.

A paragone della sua precedente “opera”, in Alone in the Dark Boll mostra un’insospettabile maturazione artistica. Non ha ancora raggiunto lo standard minimo richiesto: la produzione di un film comprensibile e anche solo in minima parte apprezzato, ma tornando con la mente alle lancinanti e reiterate riprese balistiche di the House of Dead il miglioramento è innegabile.

JL

IL film si apre con una lunga didascalia che svela dettagliatamente il complicato antefatto e che sarebbe stato forse più opportuno rendere visivamente.

Già dall’arido prologo appare chiaro che il film non è giocato sul chiaroscuro e l’atmosfera, e che il regista preferisce non puntare sui toni evocativi dell’horror-mistery di cui Il seme della follia di John Carpenter, rappresenta un buon esempio. Questa scelta stilistica è decisamente infelice perché proprio l’atmosfera giocava un ruolo chiave nei bei videogiochi omonimi della Infogrames, cui la pellicola è ispirata, nonché nei racconti di H.P. Lovecraft, cui i videogiochi stessi attingevano a piene mani.

Dopo il testo introduttivo, si passa ad un breve prologo nel quale apprendiamo che nefandi esperimenti sono stati condotti su alcuni bambini orfani. L’azione si sposta quindi ai giorni nostri. Ci accoglie la voce fuoricampo del garrulo detective Edward Carnby (un imbolsito Christian Slater) che con cipiglio bogartiano ci avverte che è meglio aver paura del buio. Carnby è un detective globettrotter interessato al paranormale e in particolare alla civiltà akbana.

In seguito apprendiamo che Carnby ha fatto parte di una organizzazione segreta del governo denominata Bureau 713 volta a contrastare i fenomeni paranormali. A capo dell’organizzazione il comandante Burke (un poco convincente Stephen Dorff), il quale cova un antico rancore nei confronti di Carnby.

Privo di umorismo e con una sceneggiatura che appare quantomeno confusa, il film non può che virare in direzione dell’action movie alla Resident Evil, cui mostra chiaramente di ispirarsi. Ma a differenza di quest’ultimo titolo ha un ritmo più lento, oltre a essere quasi del tutto privo delle scene splatter che rendevano Resident Evil un prodotto più succoso.

Inoltre, l’ultimo quarto d’ora del film si risolve in una ininterrotta sparatoria a colpi di mitra che è piuttosto fastidiosa sia per gli occhi che per le orecchie, oltre a mancare di focus, così che l’azione ne risulta confusa e fracassona.

Christian Slater, pur avvezzo a ruoli d’azione, appare visibilmente a disagio nella parte del muscoloso detective in cappotto di pelle e canottiera, Tara Reid, per niente credibile nella parte dell’antropologa, sfodera una espressività facciale che supera quanto a immobilità quella di Clint Eastwood dei tempi d’oro. In quanto a Stephen Dorff, si limita a spiattellare qualche involontariamente ridicola battuta.

Anche la fotografia e il montaggio non fanno nulla per risollevare il tono del film che appare poco più dignitoso di una modesta produzione televisiva. L’unica nota positiva viene dall’animazione dei mostri che risulta convincente, anche se il design delle creature stesse non è affatto originale, risentendo pesantemente del modello di Alien di Giger.

Marco Giampetruzzi