Claustrofobia sacra e orrore tellurico nel cuore della Toscana

Nel panorama dell'horror italiano contemporaneo, "La Sperduta" di Flavio Deri si impone come un racconto lungo capace di fondere sapientemente l’immaginario weird e il folklore toscano. Ambientato in un luogo reale, l’Abbazia di San Giusto al Pinone (nel comune di Carmignano, provincia di Prato), La Sperduta trascina il lettore in una discesa angosciante dentro un orrore antico, stratificato nelle pietre stesse dell’edificio.

Il racconto si apre con una scena brutale, intensa, viscerale: mani insanguinate che scavano nel fango, figure deformi, frati inquietanti, e una creatura che sfugge a ogni possibile definizione umana. È chiaro fin da subito che ci troviamo di fronte a un horror che punta dritto al cuore e allo stomaco, senza filtri o edulcorazioni.

Deri attinge alle sue radici culturali — il background nerd, la passione per il folklore e l’horror lovecraftiano — ma plasma il materiale con una voce personale, caratterizzata da un linguaggio diretto, teso, e da una tensione narrativa costante che non concede tregua.

La protagonista Giulia Bonanni, restauratrice e studiosa di beni culturali, è delineata con mano sicura. Con lei ci immergiamo in una routine lavorativa che degenera rapidamente in un incubo. La sua è una caduta dentro l'abisso dell'ignoto, un viaggio senza ritorno nel cuore oscuro della realtà, dove folklore e orrore primordiale si intrecciano.

Un elemento chiave della struttura narrativa è l'uso della prima persona: tutta la storia ci viene raccontata da Giulia durante quello che appare come un interrogatorio psichiatrico. Questa scelta stilistica amplifica la tensione psicologica e costringe il lettore a condividere il suo smarrimento, il suo terrore, la sua crescente consapevolezza di essere entrata in un mondo che non risponde più alle leggi della logica umana.

Il vero protagonista invisibile del racconto, tuttavia, è l’Abbazia stessa. Non è solo un'ambientazione: è un’entità viva, respirante, che osserva, chiama, intrappola. La cripta segreta, i frati senza volto, la campana "Sperduta" che suonava per i viandanti smarriti: ogni elemento contribuisce a costruire un senso di oppressione crescente, una trappola di pietra e sangue da cui è impossibile fuggire.

Il folklore viene riletto in chiave dark: la leggenda della costruzione "in una sola notte", il mito della campana-guida che si trasforma in presagio di morte, l'antica entità affamata che giace sotto l'abbazia. Tutto si amalgama in una narrazione che riesce a essere fedele alle radici culturali italiane senza perdere mordente horror.

Il ritmo narrativo è calibrato: la tensione cresce in modo progressivo, senza cadute, portando a un finale disturbante e potentissimo. La trasformazione di Giulia — da esploratrice a vittima, da testimone a qualcosa di molto più oscuro — chiude il cerchio con coerenza agghiacciante, lasciando il lettore con il fiato corto.

"La sperduta" è un horror cupo, fisico e ancestrale, capace di evocare immagini potenti e di costruire un'atmosfera di soffocante claustrofobia. Flavio Deri dimostra padronanza della materia e grande attenzione sia alla tensione narrativa sia alla resa psicologica.

Se amate il folklore reinterpretato in chiave oscura, i racconti gotici italiani e l'horror capace di insinuarsi sotto la pelle senza bisogno di facili trucchi, "La Sperduta" è una lettura imprescindibile. Ma attenzione: una volta ascoltato il battito che pulsa sotto la terra, potrebbe essere troppo tardi per tornare indietro.