Paolo Sista è uno scrittore parte veneziano, parte imperiese, dedito tanto alla letteratura sperimentale quanto a quella pulp. Membro del Gruppo Telegram Lovecraft Italia, è uno dei curatori della relativa antologia aperiodica "Strani Aeoni”. Ha pubblicato i libri di ispirazione surreale e psichedelica Cursori e Scacchiera a Tre (con F. Basso e M. Vallarino); i gemelli lovecraftiani Cthulhu Dreams By Smartphone e Taumatropio (con un saggio di Pietro Guarriello); i noir e gialli sui generis Sfortuna e Pasticceria al Veleno, tutti presso i tipi della Colomò Editore. Ha curato le raccolte weird Gli Obitori in Via del Delitto e L'Amaro in Bocca e ha collaborato alla rivista WEIRD edita da Dagon Press. Attualmente Sista sta lavorando a nuovi libri personali e antologie collettive, che spazieranno dalla fantascienza al realismo magico, sempre contaminate da scorie weird.
1. Il tuo coinvolgimento nel Gruppo Telegram "Lovecraft Italia" è un elemento importante della tua attività letteraria. Potresti condividere con noi l'importanza di questa comunità (da cui sono uscite le antologie "lovecraftiane" di Strani Aeoni) e in che modo ha influenzato il tuo lavoro e la tua percezione dei generi letterari che frequenti?
Premetto che sono un Amministratore del gruppo ma non uno dei fondatori e tantomeno il portavoce. Mi iscrissi qualche anno fa, stupito dalla pacatezza e serietà di tutti i suoi membri, un'atmosfera di rispetto ben lontana dalle polemiche narcisiste che mi avevano sempre tenuto lontano dai social in generale, e col tempo fui chiamato nell'Amministrazione. Ai tempi sforavamo i duecento iscritti, oggi tra Telegram e Instagram superiamo i mille: nel corso degli anni abbiamo stretto amicizie che perdurano tutt'oggi, nel passaggio dal virtuale al carne e ossa; ragazzi e ragazze hanno vinto la timidezza e sono divenuti colonne portanti tanto del gruppo quanto delle nostre pubblicazioni; nomi importanti come Pietro Guarriello, Miranda Gurzo, Daniele Corradi, Claudio Foti (per citarne alcuni) si sono uniti a noi e il processo è in continua crescita.
Riguardo l'importanza del Gruppo nel processo creativo, io personalmente non credo che senza di esso sarei mai diventato autore di sei libri e co-curatore di altrettante antologie: forse sarebbe rimasto tutto allo stato embrionale. La magia che si è creata nel Gruppo e continua a propagarsi è difficile da spiegare, te la riassumo in una parola: Comune. Nel Gruppo mettiamo letteralmente in Comune idee, trame, racconti, riflessioni, illustrazioni, brani musicali originali e ogni Cultista si influenza reciprocamente come nel cosiddetto “feedback”; senza le musiche di Marco Zanelli, i racconti di Thomas Andrigo, i dialoghi con Mauro Palazzi (non posso nominarli tutti) buona parte dei miei libri non sarebbe mai stata nemmeno pensata, figurati scritta. Questo humus fertile ci ha portato a voler raccogliere le opere inedite proposte nei contest periodici, gare solo di nome perché davvero l'importante è condividere, e ciò ha generato spontaneamente diversi gruppi di scrittura dedicati a temi specifici, come ad esempio rileggere “weirdianamente” autori o racconti fuori dai canoni abituali. È un viaggio che non sappiamo dove ci porterà, un'esplosione di creatività cui invitiamo tutti i nostri sodali a partecipare.
2. Potresti raccontarci di più sulla tua ispirazione massimalista e patafsica e su come le applichi ai diversi generi letterari che frequenti, come l'orrore cosmico lovecraftiano, la fantascienza e il noir?
Il massimalismo non è questione di numero di pagine, è descrivere i gusti assortiti delle caramelle in un portagioie di cristallo di Boemia; è riflettere sull’etimo di ogni singolo vocabolo; è sconfinare nei luoghi in cui non si dovrebbe andare: è rendere dense le righe e le pagine . Questo mi ha portato, soprattutto nei primi scritti, a torcere la prosa oltre il limite della rottura e passare successivamente a una forma più regolare solo una volta sicuro di potere mantenere lo stesso ritmo disorientante, allucinogeno.
La patafisica, la scienza delle soluzioni immaginarie inventata da Alfred Jarry, per me indica quel tocco di assurdo, di beffardo, di bislacco che non deve mai mancare fra gli ingredienti delle proprie ricette. Le mie storie sono emotivamente drenanti, incentrate su tematiche pesanti, ma come dicevano i Discordiani: «Se una tua convinzione diventa qualcosa di così serio da non poterci ridere su, allora hai imboccato la strada sbagliata». Per questo in ogni libro dissemino sempre qualche trabocchetto fantozziano su cui far inciampare i lettori, una sosta di ossigenazione prima di riprendere il cammino.
Mi è venuto naturale ibridare il Weird con queste due correnti artistiche, per impastare e sfornare i miei racconti; indubbiamente poco digeribili al primo assaggio, spero prelibati al palato dei lettori, dopo una lenta masticazione.
3. Il tuo libro Cthulhu Dreams By Smartphone sembra un incrocio folle fra William S. Burroughs e H.P. Lovecraft. Burroughs ha influenzato la composizione di questo libro?
Burroughs è per me uno scrittore fondamentale, ma più a livello filosofico che stilistico, come il suo collega Brion Gysin. In realtà la mia prima inlfuenza letteraria furono le opere pittoriche di Karel Thole e Ferenc Pinter: furono loro a determinare la mia svolta verso “una realtà separata”, dopo un'iniziale crisi di rigetto, e forse è per questo che continuo a considerare giallo, hard boiled e noir una costola del Weird, non una cosa a parte. Come già detto, a livello di tecnica di scrittura il mio debito più grande è nei confronti dei cosiddetti “massimalisti”, categoria nella quale includo impropriamente gli autori più disparati come Manganelli, Savinio, Arbasino, Landolf, Santacroce, Céline, Junger, Tournier, Bernhardt, oltre i legittimi Pynchon, DeLillo, Fostern, Wallace. Tornando al Weird, ho sempre visto un rosso flo d'Arianna che da Lovecraft, per tramite di R.H. Barlow, giunge alla avanguardia sperimentale di W. Burroughs e da lui ai nostri giorni, in mille flati differenti: dalla psichedelia alla fantascienza fino al postmoderno e chissà fin dove si spingerà. Negli aspetti più deleteri, abbiamo libri senza nerbo, ma nei migliori ci troviamo di fronte a una forza archetipica degna dell'epica primordiale.
4. Il Culto dell'Orsa, con la sua prospettiva animista, sembra essere un elemento significativo nel tuo lavoro. Puoi spiegarci come questo concetto si riflette nei tuoi scritti e come influisce sulle tematiche che affronti?
Il paganesimo europeo è sempre stato una delle aree del pensiero che più mi hanno interessato e coinvolto. Il Culto dell'Orsa a tutt'oggi non ha, forse fortunatamente, una interpretazione unanimemente accettata a livello accademico. Basilarmente posso riassumerla come la fonte della weltanschauung dei nostri antenati Neanderthal, dalla quale derivò il comune paganesimo europeo; tale era durò circa 250.000 anni e diede vita a una concezione comune a tutto il paganesimo europeo, che iniziò a dividersi e quindi a essere soppiantato con l'avvento dell'agricoltura, della civilizzazione urbana, della divisione in classi e i rispettivi interessi configgenti. I concetti fondamentali di quella forma mentis erano la reincarnazione di chi si era comportato onorevolmente (coltivazione delle virtù, dominio delle passioni); gli Dèi e Dèe quali aspetto positivo di una idea e i Titani/Giganti (gli affamati) quali appetiti sfuggiti alla temperanza; una sorta di animismo laico diffuso (“preghi” la Natura non spogliando un intero albero o cespuglio); sempre le divinità come descrizione poetica di processi medico-scientifci (Thor insegue Loki, il tuono che segue il fulmine; gli ormoni coinvolti nella nascita; il simbolismo di animali e insetti come l'opera delle api e dei corvi); lo stesso Socrate indicò sempre il ruolo essenziale della maieutica, l'arte ostetrica, retaggio di una saggezza più antica. Io utilizzo questa metafisica quale via di uscita dal disorientamento esistenziale (in Cursori) o dall’assalto dei Grandi Antichi (alcuni racconti in Cthulhu e Taumatropio), le rare volte che un mio personaggio entra in contatto con tale sapienza e ne riesce a decifrare gli enigmi. In un certo senso rappresenta il lato “arcaico” delle mie storie, un mitologica età dell'oro che ancora può essere una guida ma non deve essere fonte di passività e rinuncia nei confronti dello stato di cose presente.
Il mio lato rivolto al futuro è ispirato a una annotazione di Raniero Panzieri, secondo cui un pensiero libero dalle contraddizioni del reale è tale se dette contraddizioni sono state risolte: non siamo in una realtà di tal fatta ed è per questo che altre volte, in libri come Sfortuna o alcuni racconti in Scacchiera a Tre e L'Amaro in Bocca si precipita dall'età dell'oro allo squallore attuale, perché è dovere della letteratura non solo immaginare passati e futuri archetipici ma affondare la faccia nel presente pessimo. In generale cerco di inserire ambo gli elementi, in proporzioni sempre variabili e mai sintetizzati, in dialettica perenne con me stesso e con i lettori; a tutto ciò aggiungo rifessioni sul rifuto dell'individuo tanto a essere sacrifcato in nome di supposti interessi superiori, quanto ad isolarsi in un monade egotista.
5. Nella postfazione di Pietro Guarriello inerente la tua raccolta di racconti Taumatropio vengono usati termini come incomunicabilità, sperimentalismo e alterità in relazione alla tua opera. Guarriello suggerisce che, a differenza di Lovecraft, la tua produzione non si spinge verso l'ignoto cosmico, ma si concentra sull'indagine dell'animo umano. Condividi questa interpretazione? Come percepisci la tua narrativa rispetto alla rifessione di Guarriello?
Mi trova d'accordo. Pietro specifica che vi è una specularità fra lo spazio cosmico di Lovecraft e quello interiore mio proprio, sono una sorta di vasi comunicanti: alla fine la differenza si annulla e l'uno si riversa nell'altro. Lovecraft era avanti sui tempi, conservava gli elementi più interessanti della letteratura di genere ma introdusse un vero e proprio terremoto concettuale, le cui scosse avvertiamo ancora oggi: sono stato davvero felice quando Pietro ha scritto lo stesso riguardo la mia operazione sul canone lovecraftiano. Bisogna avanzare col massimo rispetto e amore per i Miti di Cthulhu, senza imitazione pedissequa né stravolgimenti fini a sé stessi: è compito di ogni appassionato, prima ancora che scrittore, individuare l'elemento lovecraftiano che più risuona con la propria cifra stilistica e svilupparlo. Non voglio scadere nel “va tutto bene, vogliamoci tutti bene”, certe interpretazioni sono oggettivamente scorrette (vedi quella del per altro pregevole A. Derleth) ma non esiste un elemento lovecraftiano più giusto di un altro: alcuni saranno colpiti dall'orrore locale (folk), altri dalla dimensione (fanta)archeologica; chi dalle atmosfere più tetre, chi da quelle più oniriche. Nel mio caso, è l'elemento visionario della narrativa di HPL a essere il mio prediletto.
A livello di attitudine invece mi sento più vicino a R.E. Howard, col suo vitalismo fondamentalmente ottimista, il suo rifiuto di accettare la resa e la voglia di continuare a lottare sempre e comunque. Questo non mi impedisce di scrivere prevalentemente sugli aspetti più alienanti della condizione umana, mostrarne (come una telecamera fissa che registra senza giudicare) i vicoli ciechi e le conseguenze spesso fatali di tali percorsi; tuttavia non mi fermo a quel punto e ove è narrativamente coerente indico le eventuali linee di fuga, come ad esempio ne Il Coviddi in Taumatropio o Venexia Carcosa in Cthulhu Dreams By Smartphone.
6. Ci puoi parlare del tuo ultimo libro Pasticceria al Veleno?
È stato un approdo inevitabile. In Scacchiera a Tre avevo gettato le coordinate del mio immaginario, sviluppato in senso lovecraftiano nei libri gemelli “Cthulhu” e Taumatropio più i racconti nei vari Strani Aeoni; in Cursori ho espresso la mia voce più personale, surreale e psichedelica, che segnerà il grosso della mia produzione futura. Arrivato a questo punto avevo bisogno di staccare, onde evitare di ripetermi involontariamente; mi sono perciò avventurato in progetti sul realismo magico come l'antologia buzzatiana L'Amaro in Bocca e altri di prossima pubblicazione, nonché in generi più "realistici" quali il noir Sfortuna e ora l'esperimento sui canovacci del giallo e dell'hard boiled, Pasticceria al Veleno.
È stata un'esperienza davvero soddisfacente perché mi ha costretto a mettermi in gioco, a scrivere di generi che adoro ma sono fuori dai miei canoni abituali. Come detto, PaV del giallo conserva solo l’impalcatura, i racconti del libro sono una sorta di dialogo platonico con il lettore sui temi della giustizia, della vendetta, di tutte quelle emozioni e persino riflessioni che la società occidentale attuale censura e reprime in nome di una supposta razionalità calcolatrice, che in realtà ha più in comune con la superstizione che con il ragionamento lucido e libero. Non è un caso che su questi topici la gran parte delle opere interessanti giungano ad esempio dall'estremo oriente, Giappone e Corea del Sud in primis, basti pensare a registi come Takashi Miike o Park Chan-Wook. Giusto nel neonoir incentrato sulla feccia bianca di scrittori come Daniel Woodrell si percepisce qualcosa di veramente sostanzioso (Winter Bone – Un gelido inverno; sia il libro che il flm) o la prima derivata mccarthyiana di rilievo, quel Ruvide Bestie di Rae Delbianco.
I racconti di PaV sono dunque in egual misura una serie di indagini condotte da investigatori improvvisati quanto una critica alla filosofia del diritto hegeliana; sono un mosaico che si compone piano piano, spesso tornando su argomenti già esaminati ma specificando dettagli, interrogando il lettore stesso e precipitandolo in una polifonia di voci contradditorie. Il mio obbiettivo è spronare a pensare, non tenere una lezione o “dire la mia”. Ciononostante, alcuni elementi weird mi sono sfuggiti qua e là, perché l’insolito è uno stato della mente.
Insomma, questi pasticcini sono intossicanti perché porteranno chi li assaggerà in luoghi disagevoli; sono letali, perché mirano ad abbattere certezze che si credevano assodate e suscitare nuovi dubbi, perfino un cambio di idee.
7. So che sei un cultore di vari generi musicali e ami un disco come Phallus Dei degli Amon Duul II. Nel tuo processo di scrittura sei anche influenzato dalla musica?
Per forza. Considero Musica e Letteratura un unicum inscindibile: in entrambi apprezzo gli artisti che osano entrare in territori inesplorati, coloro che mirano al cuore della Zona, per dirla con la fantascienza esteuropea, e non fermarsi a un semplice cambio di facciata. Il Krautrock, come mille altri generi musicali davvero creativi, bizzarri, inusuali, psichedelici, surreali, ti trasportano davvero in Aree sconosciute, aprono davvero le porte della percezione verso un Ignoto Altrove. Non è un processo diretto, non ho mai cercato di scrivere un racconto che fosse la versione cartacea di una canzone dei Tangerine Dream o dei Tuxedomoon, ma indubbiamente i miei racconti risuonano di quelle vibrazioni, perché sono anche le mie, sono quelle che per me costituiscono il mio habitat naturale.
Troppe volte banalità disarmanti vengono spacciate per alternative, ma se gratti la superficie trovi sempre la solita minestrina. Brani di ambient mediocre che diventano “lovecraftiani” perché intitolati a un Grande Antico, pezzi metal più che prevedibili diventano “weird” perché dedicati al Necronomicon, illustrazioni tecnicamente pregevoli ma assolutamente piatte diventano “inquietanti” se ritraggono un mostro tentacolato nel solito stile figurativo, ordinario: al contrario le creazioni del Sognatore di Providence e dei più bravi fra i suoi sodali sono disturbanti, di difficile fruizione nell'immediato perché richiedono uno sforzo, un impegno, al lettore/ascoltatore/spettatore.
Vale tanto per Il richiamo di Cthulhu quanto per Neuromante, per Dune e Infinite Jest, per gli Einsturzende Neubauten e gli Anti Pop Consortium, i Grateful Dead e John Coltrane. Ho specifcato “anche” perché è legittimo leggere, ascoltare, guardare produzioni lineari, ma se vai a ben vedere pure gli Abba e i Duran Duran, serie come Romanzo Criminale o i film di Totò, manga famosi come Death Note o anime come Pollon in realtà hanno mille finezze che li elevano al rango di “pop intelligente”, quel punto ove popolare e migliore coincidono, come ebbe a scrivere Franco Bolelli. Non bisogna essere necessariamente dei lealisti di Piero Scaruffi (come il sottoscritto), tantomeno essere elitari o pedanti, però il trito e ritrito, il consolatorio abituale, quello proprio no.
8.Come vedi la scena italiana weird attuale? C'è qualche scrittore che ti piace in particolare?
Non so bene cosa sia la “scena weird attuale”: se ti riferisci a una comunità informale di appassionati del genere ti rispondo che non credo ne facciamo parte. Continuiamo a partecipare con entusiasmo alle fiere nazionali e locali, ma dopo anni di attività e diciotto libri pubblicati abbiamo avuto riscontri assai positivi dalle realtà più disparate eccetto proprio i blog, i siti internet, i social e i personaggi di riferimento dedicati, nei cui confronti eravamo e rimaniamo come invisibili. Salvo Guarriello e la sua Dagon Press, sono pochissime le eccezioni che ringraziamo sentitamente: Laura Lag e il Coven Riunito; Tiziana The Mad Otter; Paco, Skinner e i Bokononisti; Raffaele il Demiurgo di HP Lovecraft Italia; Anna Silvia Armenise; il Diario della Notte; forse ne dimentico uno o due e me ne scuso, ma come vedi li conti sulle dita senza arrivare a dieci.
Venendo agli scrittori, tolti quelli della nostra scuderia che per galateo lascio da parte, mi sento di consigliare A.B. Lundra. Ha una scrittura immediatamente riconoscibile, da esteta, ricca e forbita come un Oscar Wilde e la applica a tematiche weird e lovecraftiane ambientate tanto nel passato quanto nel futuro. Una voce al tempo stesso classica e originale, lontana dalle banalità e dagli stereotipi che iniziano a diffondersi proprio nel genere letterario che dovrebbe essere caratterizzato dal perturbante e dall’imprevisto.
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