Francesco Corigliano è docente di scuola secondaria di primo grado. Nel 2019 ha conseguito un Dottorato di Ricerca con un lavoro di studio sulla letteratura weird. Ha pubblicato articoli di critica letteraria dedicati a fantastico, folk horror e letteratura del soprannaturale in raccolte e riviste accademiche, e il saggio La letteratura weird. Narrare l’impensabile (Mimesis, 2020). Nel 2015 si è classificato al primo posto ex-aequo al Premio Hypnos, concorso in cui negli anni successivi è stato più volte finalista. Nel 2018 è stato vincitore della XIV edizione del concorso NASF, dedicato ai racconti di fantascienza, e finalista nella XXIV edizione del Trofeo RiLL. Nel 2023 ha vinto il la XXIX edizione del Trofeo RiLL.
Ha pubblicato un’antologia personale, Malasacra (Kipple, 2019) e i racconti lunghi Sangue del padre (Delos Digital, 2020), Nostra signora delle scaglie (Delos Digital, 2021), La funzione silvestre (Hypnos, 2021), L’eco dell’acqua (Delos Digital, 2023), Il canto di vetro (Scheletri Ebook, 2023). Nel 2024 viene pubblicata la sua antologia Spettri di pietra (Edizioni Hypnos).
Altri suoi racconti appaiono in antologie edite da Delos Books, Historica edizioni, Edizioni Hypnos, Lethal Books, Edizioni Watson e Horti di Giano, e sulle riviste “Il Buio”, “Dimensione Cosmica”, “Specularia”, “METATRON” e “Narrandom”. Suoi racconti in lingua inglese appaiono in raccolte edite da Chthonic Matter e The Great Void Books.
1."Malasacra" è finora il tuo libro più importante. Si avverte come un senso si Apocalisse imminente. Hai cercato di trovare una via a una sorta di Sacro capovolto in questi racconti?
Malasacra raccoglie alcuni dei racconti che più mi hanno aiutato a formarmi nel campo del fantastico. L’ispirazione principale resta perlopiù quella lovecraftiana, anche se in alcuni testi ho tentato di trovare una prospettiva diversa, più moderna. Certamente il sacro è un tema centrale di alcuni di quei racconti (come in Sancta Sanctorum e Del male), che poi ho approfondito in storie successive.
Per me il sacro, inteso soprattutto nell’accezione cattolica, è un argomento che si presta perfettamente alla narrazione fantastica odierna (oltre che essere un punto fondamentale della tradizione letteraria, a cominciare dal gotico). L’idea che il soprannaturale si incarni nel materiale, e che pur diventando concreto non perda la sua qualità metafisica, è un concetto che porta in sé un senso di inquietudine molto vicino alla sensibilità contemporanea. Soprattutto se si immagina che quel sacro abbia una concezione di “giusto” e “sbagliato” diversa da quella comune. In un’epoca che celebra la ricerca del controllo assoluto, la prospettiva che Dio esista e che ce l’abbia con noi può risultare antiquata ma non per questo meno terrificante.
2.Nel racconto "Il dragone del vuoto", hai descritto il conflitto tra l'antica conoscenza e lo scetticismo moderno. Qual è il messaggio principale che desideravi comunicare attraverso questa allegoria surreale?
Il dragone del vuoto è uno dei racconti di Malascra a cui tengo di più. L’idea di base era quella di giocare con il concetto di “iperoggetto”, descrivendo un’entità che sfidasse I normali approcci conoscitivi. Il Drago è un drago, ma anche una tradizione e una maledizione, una cosa che non si vede ma che pesa sui tetti delle case, che permea un’intera comunità e ne replica i tratti. Per delineare i confini di un ente quasi impercepibile, ho pensato che fosse necessario deformare la prospettiva narrante, e calare il lettore nella mente di qualcuno che sfida l’inconoscibile e che ne è ossessionato. Per affrontare la sua quest lo studioso deve partire dalla conoscenza antica, adattandola in modo nuovo (le pagine che diventano lenti degli occhiali) e confrontandosi direttamente col mostro invisibile. Probabilmente l’intera storia può essere vista come un’allegoria dello studio, della filosofia e anche altro. Direi però che il finale esprime una certa sfiducia epistemologica.
3.In 'Funerale', la tua narrazione trasporta il lettore a San Filario, nell'entroterra calabrese, dove una misteriosa confettura sembra determinare non solo la vita e la prosperità degli abitanti, ma anche il loro trapasso. Questo scenario evoca fortemente il folk-horror, con i suoi elementi di oscurità e mistero. Come hai utilizzato l'ambientazione, il tono narrativo e i riferimenti al folk-horror per immergere il lettore negli oscuri riti del Funerale immaginato?
In Funerale ho tentato di rappresentare il punto di vista infantile dinanzi a eventi che sono insieme familiari e minacciosi. La tradizione è rassicurante per gli adulti, ma per arrivare a quel senso di comfort bisogna comunque attraversare un momento di consapevolezza, una soglia che può risultare spaventosa. C’è un primo Natale per tutti, una prima Pasqua e una prima festa del santo patrono. E c’è anche un primo funerale. A San Filario questo cambiamento consiste nel conoscere il mistero che si stende sotto il paese; un mistero il cui orrore viene lenito dal senso della comunità, da volti e sapori conosciuti, e da una fiducia quasi sacrale nella sapienza degli adulti e dei vecchi. Il rito di passaggio della morte coinvolge il defunto, la sua famiglia e l’intero paese, legando tutti in un senso di identità morboso e opprimente, ma che a una bambina può sembrare la cosa più meravigliosa del mondo.
Questa impostazione mi sembrava adatta all’uso della seconda persona singolare, per evocare un tono che fosse insieme di confessione e di comando, un monologo/dialogo interiore infantile.
4. In che modo ritieni che il tuo approccio si distingua dagli altri studiosi e teorici del genere nel tuo saggio "La letteratura weird? Quali sono stati i tuoi punti di riferimento per scriverlo?
Le prime difficoltà che ho incontrato nel trattare la weird fiction sono state il problema del genere e la necessità di evidenziare la specificità del weird rispetto ad altri tipi di letteratura del sovrannaturale. Mi risultava difficile tracciare una linea chiara che distinguesse ciò che era weird da ciò che non lo era, e andando avanti mi è parso che il concetto stesso di genere si adattasse poco a una letteratura così cangiante, tesa continuamente a sfidare il lettore e a porre in dubbio ogni certezza.
Di conseguenza ho preferito fare affidamento sull’approccio modale, e ho proposto l’idea di weird come “momento” letterario, come un atteggiamento presente in certe parti di certi testi, tutto giocato su un soprannaturale minaccioso e sfuggente. Ma non sono l’unico ad aver preferito questo approccio: Mark Fisher parla del weird come di un’estetica o di una modalità narrativa, e anche il più recente studio di Michael Cisco contempla la possibilità del weird come modo. C’è stato e c’è un grande fermento attorno a questo dilemma critico, che probabilmente non avrà mai una soluzione definitiva (e forse è meglio così).
A parte i classici della critica della letteratura del sovrannaturale – su tutti, Cvetan Todorov e Remo Ceserani – nella stesura del mio saggio i riferimenti principali sono stati Mark Fisher e S. T. Joshi. Le mie proposte si scontrano soprattutto con quelle di Joshi, le quali in alcuni casi mi sono sembrate troppo duttili o imprecise, mentre sono piuttosto in accordo con quanto scritto da Fisher. Nonostante il suo The Weird and the Eerie conduca un discorso su diversi media e non esclusivamente legato alla narrativa, resta un testo fondamentale per la comprensione di alcuni meccanismi della letteratura del soprannaturale.
5. Hai scelto di approfondire specificamente l'opera di Lovecraft, Jean Ray e Grabinski nel tuo saggio. Quali elementi distintivi di questi autori li rendono particolarmente significativi nel contesto del "Weird" del secolo scorso secondo la tua interpretazione?
Ho scelto questi tre autori per tentare di dimostrare che il weird sia una derivazione del fantastico trasversale alla letteratura occidentale, e non legata esclusivamente al contesto anglosassone. Per quanto i loro modelli d’ispirazione siano comuni (su tutti, ovviamente, Poe), i tre autori sono giunti in modo autonomo a risultati comparabili tra loro. La mia idea è che ciò sia dovuto alla peculiarità del fantastico e alla sua “reazione” con il modernismo, che ha dato esiti simili anche in scrittori dotati di sensibilità accostabili tra loro ma in parte differenti. Lovecraft, Ray e Grabinski hanno preso i modelli del soprannaturale fantastico e li hanno adattati a un momento storico-culturale dominato da grandi innovazioni e grandi incertezze, spostando il soprannaturale da schemi riconoscibili a strutture più destabilizzanti e inquietanti.
È chiaro che a lungo termine l’impatto di Lovecraft sulla letteratura weird – e non solo – è molto più profondo rispetto a Ray e Grabinski, ma ciò non toglie nulla alla qualità delle invenzioni di questi ultimi, che anzi sono stati fortunatamente riscoperti e apprezzati.
6.Come vedi il panorama attuale della scena weird italiana? Ti sembra che ci sia molto fermento?
Da qualche anno a questa parte il weird in Italia è esploso, e ha raggiunto contesti editoriali ampi o addirittura mainstream. Questo riconoscimento vale certamente per l’etichetta “weird”, che viene appiccicata un po’ dove si vuole, mentre è più difficile stabilire la situazione per il weird vero e proprio; principalmente perché si dovrebbe chiarire con certezza che cosa sia, e secondariamente perché, in base alla classificazione, ci si troverebbe comunque davanti a una quantità di testi spropositata. C’è moltissima produzione, e questo può generare molta confusione tanto tra i lettori quanto tra gli scrittori.
Direi quindi che la considerazione per il weird sia migliorata, che si tenda ad accettarlo come un oggetto letterario interessante. Naturalmente in libreria sarà difficile trovare qualcuno che cerchi “un romanzo weird” con la stessa frequenza con la quale si vede chiedere “un romanzo familiare”, ma nel complesso c’è maggiore considerazione.
Tuttavia, pensando ai testi contemporanei definiti “weird” che mi è capitato di leggere, mi lasciano spesso perplesso. Perlopiù si tratta di testi dalle ambientazioni immaginifiche, ma con poca coerenza interna e con una enorme attenzione per gli sviluppi emotivi dei personaggi. Si tende a ridurre al minimo le trame, a proporre caratteri profondi ma con poche azioni. Il weird a mio avviso fiorisce quando c’è una frizione tra i personaggi e un mondo incomprensibile, situazione che può verificarsi solo con azioni importanti, quando succede qualcosa. A me pare che, soprattutto nel campo della scrittura fatta “per altri scrittori”, la narrativa di genere venga spesso presentata come weird (o come fantascienza) ma che in questa narrativa succeda molto poco.
Ad ogni modo credo che questo fermento attorno al weird – anche quando col weird ha poco a che fare – sia positivo. Oltretutto la scena italiana ha ormai dimostrato le sue potenzialità con nomi fondamentali quali Valerio Evangelisti, Michele Mari e Paolo di Orazio, e continua a dimostrarla con scrittori come Lucio Besana e Luigi Musolino. La prospettiva è, insomma, positiva.
7.Quali sono stati gli scrittori (non necessariamente weird) che ti hanno influenzato maggiormente?
Ovviamente sono maledetto da Lovecraft, un maestro fondamentale dal quale è però difficile liberarsi, e col quale credo che ogni scrittore che si cimenti col weird debba prima o poi scontrarsi. Insieme a lui, dovendo nominare gli autori a cui penso più frequentemente quando scrivo, citerei sicuramente M. R. James, Robert Aickman e Ramsey Campbell. A parte questi mostri sacri del fantastico, quando scrivo ho spesso in testa Cormac McCarthy, ma sfido chiunque abbia letto anche una sua sola pagina e non restare ossessionato da quella scrittura.
8.Ci puoi parlare dei tuoi progetti futuri?
Al Salone di Torino sarà presente in anteprima la mia nuova antologia, Spettri di pietra, edita da Edizioni Hypnos e curata da Giacomo Ortolani, con una splendida copertina di Ivo Torello. È un libro a cui tengo tantissimo, con storie scritte nell’ultimo anno, tutte accomunate dal tema della spettralità e da un approccio narrativo specifico.
Nel frattempo ho in cantiere due romanzi brevi, sempre nell’ambito del fantastico, uno dei quali dovrebbe vedere la luce entro l’anno.
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