Dopo l’invasione di film horror giapponesi, rivisitati in tutte le salse o, comunque, tratti dalla matrice originale nipponica, nel panorama del cinema d’orrore orientale si stanno affacciando due pellicole che non mancheranno di suscitare interesse.
Il primo è Rinne, che si inserisce d’ufficio nel circuito degli horror giapponesi e che porta la firma prestigiosa di Takashi Shimizu, famoso per The Grudge; il film dovrebbe uscire nel 2006 ma al di là di qualche fotogramma, reperibile nel sito ufficiale, non se ne sa molto di più.
Il secondo è il film tailandese, intitolato semplicemente P, che ha debuttato in anteprima mondiale al New York Asian Film Festival; un film la cui realizzazione ha del rocambolesco e che è, insieme, denuncia spietata e sincera dell’orrore quotidiano, in cui si barcamenano decine e decine di adolescenti e bambini tailandesi, e sapiente miscela degli elementi del più classico horror-fantasy.
Ma cosa c’è di straordinario dietro la realizzazione di questo film, inserito tra i 31 scelti per rappresentare la cinematografia asiatica più originale e sorprendente?
Nonostante la Tailandia produca annualmente, per il mercato interno, dozzine di film horror a basso costo - dei quali ben pochi oltrepassano i confini del Paese - il fatto più inusuale è che P è il primo film in lingua tailandese a essere stato diretto da un occidentale, Paul Spurrier il cui film precedente, Underground, è stato proiettato al Brooklyn Museum of Art, suscitando la collera dell’ex-sindaco di New York Rudolph Giuliani, per la sua sincera denuncia dell’abuso di droga tra la gioventù londinese.
Quest'ultimo film non è soltanto insolito ma ugualmente controverso.
Spurrier ha trascorso ben tre anni in Tailandia per realizzarlo, e naturalmente ha passato parecchio tempo a imparare la lingua per essere in grado di dirigere un film a soggetto; ha poi vissuto per svariati mesi in un piccolo villaggio sul confine cambogiano in stretto contatto con i locali “uomini di medicina” per far ricerche sul ricco e complesso mondo spirituale tailandese.
Non è solo per la descrizione della magia nera, del voodoo e della possessione spiritica che P ha suscitato tante controversie.
La storia racconta il cammino di una giovane donna che abbandona il suo villaggio natale, al confine con la Cambogia, per cercare lavoro a Bangkok; con un inganno viene reclutata in uno dei tanti famigerati go-go bar e da qui comincia il suo viaggio infernale.
La descrizione della prostituzione minorile e del turismo sessuale, vivida e accurata, ha incontrato numerosi ostacoli in Tailandia proprio per la politica adottata dal Governo che, da tempo, tenta di minimizzare i problemi legati al turismo sessuale cercando di “ripulire” l’immagine del Paese all’estero.
Il film è stato quindi girato in segreto, come se si trattasse di una produzione locale, evitando così di dover sottoporre il copione all’accettazione della rigida censura tailandese, tant’è vero che la copia è stata “contrabbandata” nel bagaglio a mano del regista per evitare una licenza di importazione che non sarebbe mai stata ottenuta percorrendo le vie ufficiali.
Al di fuori della Tailandia la miscela di fantastico e di crudo realismo ha suscitato notevole interesse. Il film ha vinto due premi incluso l’Audience Prize al German Weekend of Fear ed è stato scelto per partecipare a numerosi festival internazionali tra cui quello di Edimburgo ricevendo lodi per il suo approccio sensibile che rifugge al mero sfruttamento commerciale del filone cinematografico di genere.
Pur non sapendo ancora se e quando questo film approderà sugli schermi italiani, quello che se ne conosce lo rende estremamente interessante e innovativo in un panorama cinematografico che da troppo tempo sta riciclando se stesso con risultati spesso discutibili.
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