Halloween.

Quale miglior periodo dell’anno per rispolverare grandi classici a tema?

E tra questi non possiamo esimerci dal parlare del più famoso, protagonista di film, rivisitazioni e terrificantemente attuale: il Frankenstein o il Moderno Prometeo.

Tutti voi pensate di conoscerlo vero?

Ma io vi tedierò ancora qualche secondo, portandovi con me non solo nel labirintico intrico di parole, frasi e pathos, creato dalla meravigliosa scritto da Mary Shelley, ma anche svelandovi dei dettagli succulenti che piaceranno ai neofiti cosi come agli abituè del genere.

Prima chicca intrigante: questo è considerato il baluardo non soltanto del romanzo gotico, ma anche del fantascientifico.

Proprio cosi. E sembra, secondo fonti e voci di corridoio, che anticipasse di gran lunga gli esperimenti di creazione della vita, quelli culminati nella modernità con la clonazione.

In questo caso si tratta di qualcosa di più esoterico, ossia la ricerca della scintilla primigenia della vita. Fatto sta che il principio è simile alla moderna genetica: una sorta di manipolazione della materia, nel caso del nostro Frankenstein un assemblamento di materia inerte ( morta) per poter ricreare, appunto il dono dell’esistenza e sentirsi, un po' dio.

Ancora più interessante è la genesi del testo che fu redatto fra il 1816 e il 1817, da una Shelley diciannovenne, nonché pubblicato nel 1818.

E tutto nasce per colpa della noia!

Dopo la morte in culla della figlia, Shelley si ritirò in una casa sulle sponde del lago di Ginevra, cercando di curare la depressione che ormai l’aveva attanagliata. Questa splendida e meravigliosa città farà da sfondo al romanzo stesso. Iniziò così un gioco letterario con un gruppo di scrittori che si trovavano in loco, fra cui troviamo Lord Byron.

Ma di cosa tratta davvero il romanzo?

Ho accennato alla velleità scientifica, o meglio per l'epoca fantascientifica che poneva in rilievo la volontà tipicamente vittoriana, dell’uomo che si ergeva come un moderno demiurgo su un mondo che non voleva più subire ma plasmare a suo piacimento.

E cosi per rendere il lettore davvero avvinto dal rovo ingarbugliato creato dalla nostra adorata Mary esso narra le oscure vicende in prima persona, come ci si trovasse di fronte il resoconto di uno viaggiatore stupito e terrorizzato dagli venti: l’esploratore Robert Walton.

E lui che tramite diverse lettere scritte alla sorella Margaret, racconta dell’incontro avvenuto fortuitamente tra i ghiacci del polo, con il dottor Victor Frankenstein.

Che rappresenta la figura classica dello scienziato, ambizioso e forse folle, in quell’avventura al limite del al blasfemia.

Creare la vita dalla materia inerte!

Capite che se per noi oggi è un fatto scontato e abitudinario, per l’epoca rappresentava il sommo peccato, quello della cupidigia, dell'ambizione sfrenata e della noncuranza delle sacre leggi del cosmo e quindi di dio.

Però, il nostro Victor quella blasfemia la rende reale.

Assemblando svariate parti di cadaveri, riesce a dare origine a un essere vivente.

Che però è ovviamente mostruoso.

In ogni senso etimologico del termine. Ossia straordinario poiché frutto di una creazione “in vitro” ma anche aberrante, in quanto sorpassa e infrange i limiti del ciclo biologico. Non nasce ragazzi miei, ma viene creato.

La cosa interessante nell’opera della Shelley è la duplicità di questo strano essere vivente e al tempo stesso artificiale. All'inizio è privo di ogni malizia.

È una tela bianca su cui pare possibile addirittura dirigere la coscienza.

Educarla e programmarla. Ingenua priva di cattiveria.

È in fondo la potenzialità che lascia ogni strada aperta, che non è predestinata e che quindi in un certo senso si scaglia con l'idea della borghesia della elezione divina. È semplicemente un embrione.

Ecco la rivoluzione sociale e politica della Shelley: è il contatto con il mondo esterno che lo forma, che lo plasma insinuando in lui quel senso di inferiorità che lo porta a modificare radicalmente il suo atteggiamento, fino ad arrivare a commettere efferati delitti.

E proprio di questi si farà carico il suo creatore, tormentandolo e portandolo alla rovina.

Frankenstein o il Moderno Prometeo racchiude in sé temi più attuali che mai.

In un’epoca in cui la tecnologia ha fatto passi il dilemma resta però privo di una risposta concreta: chi è il creatore della coscienza umana?

Siamo predestinati o è l’ambiente a formare donarci il male?

Perché mai come oggi comprendiamo come il “mostro” abbia una duplice faccia. 

È l’orrore ma anche lo straordinario.

È colui che cerca di stringere la mano tesa ma anche colui pronto a morderla.

È colui dal cuore puro ma anche capace di farsi guidare verso l’abisso.

Dall’indifferenza e dal pregiudizio.

È la natura soave ma anche quella oscura e profonda che alberga in ciascuno di noi.

E forse va amata, compresa e accolta perché se ignorata, nascosta dal velo del silenzio porta a tragedie oltre ogni immaginazione e profondi dolori, i quali difficilmente saranno dimenticati.

Frankenstein in fondo è e resta un mito letterario proprio perché affonda le sue radici nelle paure umane. Queste rappresentano nell’immaginario collettivo, racchiuse sotto la forma di quella figura distorta, empia e perturbante.

La paura dell’eccesso della presunzione tecnologica.

La paura stessa del limite sacro infranto.

La paura del diverso, quella che mai come oggi ci fissa serafica nell’angolo.