I sentimenti che mi hanno dominato durante la lettura di gran parte dell’opera lovecraftiana sono lo sgomento, un’angoscia e un’inquietudine che nascono da quell’orrore cosmico che ridimensiona il ruolo e le prospettive dell’umanità nell’ordine naturale di un multiverso ostile e minaccioso.
L’autore parla di forze più antiche dello stesso pianeta, perennemente votate alla nostra (e non solo) consunzione, attualmente sopite ma destinate prima o poi a scrivere la parola fine sulla storia conosciuta.
La lettura de I sogni nella casa stregata (The Dreams in the Witch House) mi ha trasmesso una sensazione diversa: pura e semplice paura.
Anche se in questo racconto non sono presenti visioni di colossali mostruosità capaci di portare alla follia la debole mente umana (è presente il Dio Esterno Nyarlatothep, ma non in una veste particolarmente mostruosa), l’orrore cosmico è presente e calato in un contesto di vita quotidiana.
È questo che trasmette un terrore molto più epidermico rispetto a quello vago raccontato in altri scritti dello stesso autore.
Come per gli altri racconti di Lovecraft, questa è una lettura che chiede al lettore di accettare una certa lentezza nell’incipit. Ci viene presentato con calma Walter Gilman, studente di matematica e folklore presso la Miskatonic University (la storia si svolge proprio nella leggendaria città lovecraftiana di Arkham). Se la combinazione degli interessi di Gilman vi sembra strana, probabilmente non avete mai letto Lovecraft.
Sono proprio questi studi a portare il giovane a interessarsi alla casa su cui circola la voce di essere stata il rifugio di una strega misteriosamente sopravvissuta alle famose purghe di Salem.
Classico horror: se l’è andata a cercare.
È nel raccontarci della misteriosa strega Keziah Mason che la storia ci presenta il vero e indiscusso protagonista di questa vicenda, un orrore non cosmico, ma piccolo e raccapricciante, puro distillato di zona di disturbo: l’indimenticabile Brown Jenkin. L’osceno famiglio è senza ombra di dubbio la figura più memorabile della vicenda e non nel senso buono del termine.
L’intera storia si sviluppa in un crescendo molto graduale di eventi, i “sogni” cui si riferisce il titolo, che passano dall’essere semplicemente strani, a inquietanti, poi spaventosi, terrificanti e così via. Il confine tra il mondo reale e quello del sogno è costantemente varcato in entrambe le direzioni. È sempre più difficile comprendere quanto le vicende di Walter siano effettivamente oniriche, quanto reali o se siano entrambe le cose allo stesso tempo.
Nella migliore tradizione lovecraftiana, questo racconto spinge all’estremo il connubio tra l’horror cosmico fantascientifico extra-dimensionale e quello generato dalle più classiche superstizioni del folklore europeo (vi ricordate che Walter studia matematica e folklore? Ecco, appunto).
Una figura mistica e distante come Nyarlatothep improvvisamente viene a coincidere con l’Uomo Nero venerato dalle streghe, un’entità molto più vicina al nostro comune immaginario e alle paure che ci vengono inculcate fin dalla più tenera età.
Dietro il classico aspetto da vecchia ricurva, la strega nasconde poteri cosmici, capaci di far varcare lo spaziotempo al povero Walter.
La megera arriva a presentarsi sotto forma di una massa globulare accompagnata da un piccolo insieme di poliedri in cui il lettore può riconoscere la malevola presenza del suo odioso famiglio.
È proprio questo che colpisce de I sogni (per brevità): è una storia in cui l’horror è
completo. Già nell’appartamento polveroso e affollato da fogli dove vive Walter si percepisce il disagio dovuto alla mansarda inaccessibile, che forma strani angoli col soffitto.
Il pensiero vola così alle atmosfere aliene di R’lyeh ne Il richiamo di Cthulhu.
Da lì il viaggio nell’orrore ci porta verso pianeti alieni tra costellazioni situate ad anni luce di distanza e abitati dagli Antichi (gli alieni non gli dei…maledetta traduzione italiana).
Ora ci immaginiamo le distese antartiche de Le montagne della follia.
Segue il ritorno tra i vicoli dei quartieri più vecchi e misteriosi di Arkham, per concludere la vicenda in quello spazio chiuso, angusto e misterioso, presente fin dall’inizio della storia, vicinissimo e apparentemente inaccessibile, centro di tutta la narrazione.
Un vero Cuore dell’Oscurità di conradiana memoria.
In questo viaggio circolare Walter commetterà moltissimi errori, ma troverà il modo di farsi perdonare l’ingenuità agendo con fermezza nel momento più importante. Paga sia gli errori che il coraggio a un prezzo più alto rispetto a quello di molti altri protagonisti lovecraftiani (che non è che se la ridano).
Non è una storia per deboli di stomaco e a rendere ancora più raccapricciante il racconto è fino alla fine lui, l’abominevole Brown Jenkin.
Con più forza che in altri testi, almeno per me, la sensazione che viene trasmessa è che gli sforzi compiuti non abbiano fatto altro che rallentare un ineluttabile fato cui l’umanità non può sottrarsi, un abisso cui Lovecraft attribuisce fattezze aliene e suoni impronunciabili, ma che nelle storie raccontate dalle nonne è sempre stato presente, anche se con parole e nomi più semplici.
Forse I sogni non è il classico più famoso tra i racconti di Lovecraft, ma personalmente credo sia uno di quelli meglio scritti e dopo anni di riletture continuo a ritenerlo il più terrificante in assoluto, una lettura imperdibile per gli appassionati di horror in ogni sua espressione, non solo l’horror cosmico.
Un ultimo consiglio, basato sull’esperienza personale: leggete questo racconto soli in casa in un sottotetto a spiovente e quando chiuderete il libro non potrete fare a meno di notare quanto la stanza in cui vi trovate abbia un aspetto molto meno euclideo.
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