Da secoli, l’uomo ha una sola domanda a cui non riesce a rispondere.
E ci prova, miei adorati lettori.
Ci prova in modo quasi ossessivo, a rispondere.
Eppure, la Domanda aleggia nell’aria e lo guarda in modo beffardo.
Sa di essere impenetrabile, sa anche che ogni tentativo di valicare i suoi confini sarà fermato dai meccanismi di difesa, quelli che le sono stati regalati dall'assoluto.
Ma l’uomo non ci sta.
Da secoli tenta di attraversare il regno dell’oltre, di rendere quel limbo opalescente dotato di un sole caldo e radioso, di una luce capace di illuminare ogni antro buio.
Qual è la domanda, direte voi?
È semplice e inquietante.
L’uomo da dove viene?
Qual è la sua origine?
Perché è capitato in questa dimensione, cosi bella e accattivante, creata ad hoc per lui, con ogni possibilità che si apre davanti ai suoi occhi in tutta la sua magnificenza?
Eppure si sente cosi estraneo, a volte.
Nella notte, in particolari momenti dell’anno che scorre, si sente davvero immensamente piccolo.
E a nulla servono i pallidi tentativi di nascondere questa sua sensazione di inferiorità.
Davanti all’immenso, persino davanti a ogni scoperta, si sveglia tremante, come negli incubi di bambino.
E possiamo definirci in tanti modi, lacrime scese dagli occhi di Dio, frammenti del suo sorriso, figli e ologrammi della sua immagine.
Ma ogni volta che ci proviamo, a elevarci da quella strana sensazione di miseria, qualcosa ci respinge e ci relega a terra.
Tra la polvere, tra le domande che ci deridono, tra le risposte rintanate in qualche oscuro cassetto della memoria.
E siamo tutti in fondo cloni di questo disperato tentativo di conoscere, di scavalcare ogni limite, ogni confine.
E a volte la nostra mente si rifugia in qualche costellazione, un luogo inaccessibile dell’io dove prova e riprova ad andare a ritroso, a dipanare quel filo ingarbugliato, come un sedicente Teseo intento a sfuggire al labirinto oscuro in cui, forse la verità assume le sembianze del Minotauro.
Non a caso, questo luogo di follia e ossessione nell’immaginario di Hicks viene chiamato Black Site.
Luogo oscuro.
E non è che immagine di quell’uomo, di quell’umanità che si perde tra i tentativi, insulsi, forse, di arrivare all’origine della creazione.
Siamo davvero sicuri che in quella memoria chiamata DNA le risposte profumerebbero di cannella e magia?
O piuttosto il loro afrore avrebbe la tonalità del fango, della decomposizione di un idea, e della delusione?
L’essere umano è da sempre considerato il padrone della terra.
Lui, messo di fronte al cosmo, per chissà quale strano merito è stato dotato del potere di nominare le cose e di farle, pertanto esistere.
Cosi ci tramandano le antiche scritture.
Ma è davvero così?
O quella nudità ha un altro oscuro significato?
Nel luogo oscuro, il black site, la scienza sta per svelare il segreto.
L’origine di tutto verrà posta davanti ai vostri occhi.
E non è un insegnamento che ci mette in guardia dai pericoli della scienza.
È qualcosa di più sottile, profondo e inquietante.
Forse noi non siamo affatto cosi umani come vorremmo credere.
Forse non siamo frammenti del sorriso di un dio, ma parti di qualcosa di estraneo, alieno, capitato per sbaglio sulla terra.
Per sbaglio, capite?
Tutto il racconto di Hicks ci disturba proprio perché osa pronunciare tale parola: errore.
Errore non solo il cercare, ma il fulcro della verità.
Un errore che ci rimette al nostro posto, che ci fa quasi vergognare del nostro tronfio tentativo di sentirci migliori, più rari e perfetti.
Fatti di luna e coronati di gloria e stelle.
E se hai il coraggio di andare nel Black site la tua vita cambierà.
Cambierà la percezione non soltanto del mondo, ma di te stesso.
E sarai portato a fraintendere il messaggio di un perfetto Hicks, troppo complicato forse, o troppo sconvolgente per poter permettere ai tuoi occhi di mantenere un grammo di orgoglio.
Ecco il volto del male: l’orgoglio che ci spinge a distruggere, non oltrepassare i confini, senza esserne degnamente preparati.
È l'antro della follia che distrugge.
E in fondo ce la meritiamo questo caos.
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