Il vampiro di Polidori nasce in un clima intellettualmente stimolante. Siamo nel 1819, in pieno clima romantico – il movimento, approssimativamente, nasce nel 1770 e attinge a piene mani dallo Sturm und Drang, la corrente tedesca, caratterizzato dalla rivalutazione del sentimento e dell’irrazionale, contrapposto alle correnti positiviste, che esaltavano la mente e la critica, e il classicismo.
Ma questo romanzo non è solo “tipicamente romantico”, ma nasce da un evento singolare: una scommessa dell’eroe romantico George Gordon Byron.
Dopo il vampiro di Polidori ci sarà Carmilla, nel 1872 di Sheridan Le Fanu, modernissimo e politically incorrect. Non solo perché dedicato a una donna vampiro…
E venticinque anni dopo? Dracula di Bram Stoker.
È un periodo culturale in cui vengono rispolverate le leggende – da Horace Walpole, in realtà, ma questa è un’altra storia.
Siamo nel 1816 e Claire Clarimont, sorellastra di Mary Shelley, è diventata l’amante di Lord Byron. Si stabiliscono a Villa Diodati e al suo seguito arrivano John Hobbhouse, un politico, il pittore Scrope Davies, lo statista italiano Pellegrino Rossi e il suo medico personale, John William Polidori ed è proprio dal diario di quest’ultimo che apprendiamo come il tempo piovoso e le giornate plumbee costringessero il gruppo in casa.
Polidori, nel suo diario, fa riferimento a letture a voce alta di storie di fantasy e dell’idea di Lord Byron di scrivere una storia gotica.
Il protagonista di questo romanzo è Aubrey, un gentiluomo ingenuo e intriso di ideali onorevoli e puri. La vita del protagonista si intreccia a quella del misterioso aristocratico Lord Ruthveln, che appare improvvisamente, durante un inverno, nei salotti più eleganti di Londra.
Il suo volto era mortalmente pallido e non si tingeva mai di colore più vivo, né per rossore di modestia, né per vampa di passione; aveva, tuttavia, lineamenti bellissimi cosicché le donne smaniose di mettersi in mostra facevano di tutto per conquistarlo o per strappargli, almeno, un cenno di attenzione.
Lord Ruthveln è affascinante, seduttore, un conservatore, è brillante ed è fortunato al gioco in modo stravagante: dona ciò che vince ai viziosi che poi tendono a sperperare tutto a crollare nell’infamia.
Si diverte a soggiogare con il suo fascino e il suo sguardo – ma soprattutto con i suoi occhi grigi – le donne che lo incrociano sul loro cammino.
Durante un inverno, proprio nel pieno della stagione mondana londinese, frenetica e dissipata, cominciò a fare le sue prime apparizioni nei salotti più eleganti un aristocratico che attirava l’attenzione più per la sua stravaganza dei modi che per la nobiltà dei natali.
Il protagonista e Lord Ruthveln diventeranno amici e il giovane chiede all’amico di accompagnarlo nel suo viaggio, il Grand Tour: la meta è la Grecia, si tratta di Atene, uno dei paesi in cui la credenza dei vampiri ha maggior diffusione.
Atene non è una scelta casuale nel racconto di Polidori. Atene è una meta per gli intellettuali e gli artisti del romanticismo ed è simbolo della civiltà, della bellezza, della cultura classica. È un mito per autori neoclassici e romantici e per artisti di tutti i tempi, ma in particolare nel 1800.
I propositi del viaggio naufragano, il giovane protagonista preferisce rimanere a Roma e divertirsi, ma non sono questi i piani di Lord Ruthveln che ha bisogno ormai di approdare sulle coste greche.
È Ianthe, a stravolgere il suo mondo. Bella come una ninfa, ammaliante, gli racconta storie di vampiri. Purtroppo Ianthe muore e i concittadini danno la colpa a un vampiro.
Sul collo e sul petto la fanciulla aveva gocce di sangue e portava sulla gola i segni dei denti che le avevano squarciato la vena.
Nel frattempo, Lord Ruthveln e Aubrey si ricongiungono, ma sulla via del ritorno, dei banditi uccidono l’amico.
Ma è tornato a Londra che scoprirà l’amara verità: Lord Ruthveln è ancora in circolazione, sta per sposare sua sorella.
Il vampiro di Polidori non va confuso affatto con il prototipo di Stoker. Il vampiro di Polidori è vampiro-dandy, un uomo di cultura, di sentimenti, di passioni irruente, non interessato alla mortalità o alla bellezza.
Il vampiro di Polidori sembra un’autobiografia fantastica di Lord Byron, un’ edonista amorale, caratteristica che si ritrova, spinta alle estreme conseguenze, nel protagonista della storia, Lord Reuthven, anch’egli un nobile inglese giramondo. Proprio come Byron.
Il romanzo ha vere e proprie caratteristiche gotiche: dai paesaggi con rovine – quasi tendenti al sublime –, a luoghi tenebrosi, alla presenza di giovani che sono vittime sacrificali, ma anche il conflitto interiore, la morte stessa. Il protagonista si lascia affliggere da un tormento interiore, da un’angoscia da cui non sarà mai in grado di riprendersi.
Non è che il nostro famoso Nosferatu non lo sia, ma è più legato a un rimpianto. Non c’è una vera redenzione, non c’è un vero pentimento perché il rimpianto, la consapevolezza della perdita, è più forte di qualsiasi cosa. Anche dell’amore eterno.
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