Non si contano i mash-up con protagonista Sherlock Holmes. Il più famoso detective della storia della letteratura ha incontrato un gran numero di personaggi: da Fu Manchu a Dracula, passando per il dottor Jekyll.
Nella maggior parte dei casi, pur essendo letture più che godibili, l’incontro tra due personaggi vede inevitabilmente prevalere il punto di vista di uno rispetto all’altro. Non è il caso del Dossier Cthulhu, capace di rendere giustizia sia alla prodigiosa capacità deduttiva del detective creato da Sir Arthur Conan Doyle sia agli inesplicabili orrori che regolano l’universo ideato da H.P. Lovecraft.
Ma quello in cui Lovegrove riesce con particolare bravura è piegare al suo racconto la storia letteraria di Sherlock Holmes. Profondo conoscitore dell’opera di Conan Doyle, l’autore ha una giustificazione per ogni piccola sbavatura al canone. Riscrive, come in un puzzle, i dettagli che occorrono a rendere credibile la sua storia. Senza la minima forzatura, Sherlock Holmes cede all’occulto senza però perdere il suo ferreo razionalismo. Lo stesso succede agli altri personaggi creati da Conan Doyle che vengono traferiti in un mondo del tutto inedito, senza che per questo smettano di essere riconoscibili.
Il primo capitolo, Sherlock Holmes e le ombre di Shadwell, è senza dubbio quello con il miglior equilibrio: i due mondi godono della stessa rilevanza. Lovegrove si perde tuttavia in lunghe spiegazioni – quasi certamente su richiesta dell’editor – per introdurre l’opera di Lovecraft. Si tratta senza dubbio di un’operazione necessaria che però tende ad annoiare i lettori che ben conoscono gli scritti del Solitario di Providence. Il racconto scorre tuttavia piacevole grazie alla prosa fluida e alla trama lineare.
Nel secondo volume, Sherlock Holmes e gli orrori del Miskatonic, sono le atmosfere lovecraftiane a farla da padrone. Ma il nostro detective e il suo fidato compagno non si lasciano certo scoraggiare. Holmes fa di necessità virtù e si dedica con metodo allo studio delle arti occulte perché una volta eliminato l'impossibile ciò che rimane, per quanto improbabile, deve necessariamente risultare utile ad affrontare l’orrore che si cela dietro il velo della realtà.
Di gradevole lettura è anche Sherlock Holmes e i diavoli marini del Sussex, capitolo conclusivo della trilogia. Questa volta però è il mondo razionale di Conan Doyle a prevalere. Destreggiandosi tra intrighi, inseguimenti e sconcertanti epifanie, Holmes e Watson riescono a mettere la parola fine all’intera vicenda e il pianeta Terra torna ad avere quella rilevanza che Lovecraft gli ha sempre negato. Perché se la prospettiva anti antropocentrica del Mito non permette all’uomo di avere il controllo sull’ordine delle cose, la straordinarietà di un personaggio come Holmes riesce a rovesciare questo assunto.
Pur trattandosi di una trilogia deliziosa in grado di accontentare i fan di entrambi i maestri della letteratura, non è esente da qualche piccolo difetto, primo tra tutti il fatto che i tre racconti sono piuttosto slegati tra loro. È più che probabile che questa scelta editoriale sia stata dettata dalla necessità di avere tre racconti indipendenti tra loro che potessero essere letti in maniera autonoma, ma in questo modo sembra mancare il collante utile perché una trilogia sia definita tale.
Il difetto più rilevante è però senza dubbio il comportamento di Holmes e Watson in un paio di occasioni, comportamento che porta entrambi a fare azioni di cui ritengo che i lettori di Conan Doyle non li crederebbero capaci. Certo è che tali condotte sono necessarie a promuovere l’azione, ma senza dubbio un autore del calibro di Lovegrove sarebbe stato in grado di trovare una soluzione alternativa.
C’è poi un elemento che stona in una trilogia così ben architettata: il professor Moriarty – o quello che ne resta – si lascia manipolare dalla sua nemesi un po’ troppo ingenuamente. Holmes ha certo un’intelligenza straordinaria, ma il Napoleone del crimine può essere considerato un suo pari in quanto a intelletto. Le provocazioni a cui Moriarty cede con faciloneria non possono quindi che strappare un sorriso.
È un peccato infine che Mycroft, il brillante e ingombrante fratello di Sherlock Holmes, sia stato poco sfruttato e anzi utilizzato solo come espediente narrativo.
In generale quello proposto da Lovegrove è un buon mash-up, capace di intrattenere e divertire per qualche ora. Che siate fan di Conan Doyle o di Lovecraft, questa trilogia sarà in grado di assecondare il vostro gusto.
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