Stanchi dell’orgia di (spesso) sterili mutazioni che il metal ha avuto nel corso degli ultimi anni?
Non ne potete più di stoner rock, nu-metal e dei mille epigoni grunge che infestano la scena musicale?
Allora è tempo di farsi una doccia bollente sotto dei suoni hard and heavy. Pura e semplice, la macchina messa in moto dai bostoniani Isis somiglia tanto a un caterpillar cosmico: pesante ma in grado di volare, distruttivo e inarrestabile.
Immaginate una sorta di ideale quadrilatero. Ai quattro angoli ponete Neurosis, Voivod, Pink Floyd e Melvins. Poi immergete il tutto nel furore dell’hardcore e comincerete a farvi un’idea dei territori attraversati da questa band che, a mio modo di vedere e sentire, si candida con prepotenza come the next big thing in campo metal, un gruppo che detterà legge e traccerà ideali percorsi di evoluzione nel corso dei prossimi anni.
Detto del cantato gutturale e scarnificato, menzionato l’andamento ciclotimico fra intensi wall of guitars e istanti più cosmici ed espansi, sottolineato come al batterista non manchi certo energia nelle braccia e nei piedi, non rimane altro che sottolineare le mire “intellettuali” dell’opera.
Lontani da satanismi o epicismi d’accatto, gli Isis realizzano un concept album (per il poco che siamo riusciti a distinguere e capire nel cantato di Aaron Turner e per quanto si può leggere nelle scarne note del cd) imperniato sul concetto della prigione totale, quel Panopticon già teorizzato da Jeremy Bentham nel diciottesimo secolo e in seguito riportato all’attenzione da Michael Focault duecento anni dopo. Muri di vetro, guardie poste in posizione centrale, sorveglianza continua, disintegrazione della vita privata e, ne consegue, della propria personalità.
In tempi di Grandi e Piccoli Fratelli un cd del genere giunge opportuno e doveroso, quasi un urlo di rottura nei confronti di una accettazione fin troppo rassegnata.
I puristi e i fan potranno lamentarsi di una produzione forse troppo pulita, levigata e infine piatta rispetto ai precedenti lavori di questa band (segnatamente Celestial del 2001 e Oceanic del 2002), ma Panopticon cala sulla scena metal con la potenza di un maglio e la freschezza di una rondine, pronto a distruggere e livellare prima di cominciare a ricostruire.
Se con gli Slint si era parlato di post-rock qui diventa inevitabile rifarsi a certa critica musicale e cominciare a diffondere il termine, quantomai appropriato, di post-metal.
Il cd esce sotto la “confortante” label di Mike Patton, la Ipecac.
Tracklist:
1 So Did We 7:30
2 Backlit 7:43
3 In Fiction 8:58
4 Wills Dissolve 6:47
5 Syndic Calls 9:39
6 Altered Course 9:57
7 Grinning Mouths 8:27
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