Al di là del bene e del male

Lovecraft condivide con il filosofo tedesco non solo l’anticristianesimo pagano ma anche  la vuota inclinazione che ha l’uomo  verso l’esistenza umana, priva di una qualsiasi "verità", perché costretta a una incessante e inevitabile lotta per la sopravvivenza, la quale si pone oltre i limiti morali di bene o di male in quanto noi  non  possiamo «discendere o salire ad alcun' altra "realtà", salvo appunto quella  dei nostri istinti…». Il dogma  del cristianesimo viene ridotto a essere visto solo come un ingenuo punto di vista dovuto all’inconsapevolezza degli uomini  o un’impostura religiosa. «L’obiezione generale mossa al cristianesimo è che esso ha soffocato la libera espressione artistica, calpestato benefici istinti e creato falsi e ingiusti modelli. Sulla base di questa convinzione, un mio amico, il signor Samuel Loveman, ha scritto una magnifica Ode a Satana.[…]La nozione di Dio è la logica conseguenza dell’ignoranza, perché la mentalità primitiva non concepisce alcuna azione che non sia il risultato di un atto di volontà di un determinato individuo.» In poche parole, per lo scrittore non esiste e non è mai esistita nessuna “retta via” ma più propriamente siamo e saremo sempre vittima di un profondo e intangibile dissidio cosmico, universalmente imparziale per tutti. «Ma non possiamo far predizione né determinare il futuro, perché non siamo nient’altro che creature condannate a un destino cieco.» È ovvio, quindi, che un siffatto sistema  non può assolutamente coabitare  con  degli “esseri umani” ma più naturalmente con delle “bestie” la cui natura selvaggia e stolta  vi convive  in perfetta  armonia e simbiosi. Ma Lovecraft, forse, sta parlando degli uomini? La sua arte macabra nasconde una drammatica denuncia all'infernale condizione umana resa difficile nella dura e brutale lotta per la sopravvivenza contro i suoi simili?

Lovecraft, come Nietzsche, non commette nella sua narrativa l'"errore metafisico" di dover  dimostrare l'assenza o la presenza di Dio nell'umanità: Dio, semplicemente, non esiste e non c'è bisogno né di incontrarlo e né di  evitarlo. Ed ecco che l'universo lovecraftiano è solo un’eterna furia cosmica dove imperversa un'arena impassibile di creature abominevoli in lotta  tra loro, in una violenza brutale. «Ogni forma di vita è sforzo e lotta – di per sé una confutazione [dell’esistenza] di Dio – e in simile conflitto un organismo combatte sia i propri simili che l’ambiente che lo circonda.» Per tali belve, non esiste alcun disegno  divino, nessun vuoto ontologico,  ma solo attività istintiva e volontà necessaria che si traduce in  una  aggressiva guerra di dominio,  estranea al pur minimo concetto morale di buono o  malvagio perché  agisce per la sola conservazione  e vittoria della specie più forte su quella più debole. Si pensi al romanzo breve Le montagne della follia (At the Mountains of Madness) in cui i "Grandi Antichi" vengono sconfitti dagli spietati "Shoggoth".  In Natura non conta se un’azione è “buona” o “cattiva”, l’importante è salvaguardare l’esistenza e la sovranità delle specie vincitrice. La lotta e la morte rappresentano, per Lovecraft, una condizione del tutto ovvia e naturale.

Tutti i soggetti terreni o cosmici, siano essi cose, piante, uomini o bestie immonde, sono ridotti in oggetti anche se, inspiegabilmente,  il mondo è una terribile illusione onirica. Per tale motivo, Lovecraft non cura sempre in modo approfondito la psicologia dei suoi personaggi: finirebbe per far cadere in contraddizione e di deformare la sua visione  cosmocentrica dove gli uomini non contano nulla di più delle formiche. Allo  scrittore  non interessa molto indagare psicologicamente nella componente umana perché il terrore cosmico, a cui è soggetto l’uomo, non è umano ma supernaturale.

Poe e Lovecraft

Anche se per Poe il terrore proviene dall'anima e, all'opposto, per Lovecraft si origina nel   cosmo, per entrambi la paura viene fomentata dagli stessi elementi che generano l’orrore cosmico: il caos e l’abisso. Solo che Poe s'inabissa nell'anima per abbattere la realtà esterna, mentre Lovecraft, al contrario, s'inabissa nel cosmo per distruggere la realtà interna. Un’altra forte divergenza consiste che in Poe abbiamo una mitologia  di provenienza cristiana o pagana e in Lovecraft una mitologia completamente pagana.

Una tenebrosa atmosfera, simile all’universo impazzito lovecraftiano, lo troviamo in Il cuore rivelatore (Tell-tale Heart) con la presenza di un’abissale e vertiginosa stanza, raccontata, dal carnefice protagonista, talmente occulta e buia che sembra quasi il nascondiglio cupo di una “creatura mostruosa” dall’occhio diabolico. Pure in L’uomo della folla (The man of the Crowd)  viene  evocato il clima inquietante  e onnipresente nel delirante cosmo di Lovecraft: il caotico andamento di una folla anonima e sperduta, in cui Poe riesce ad anticipare con grande genialità l’incomunicabilità, riproduce quasi l’incoerente vagabondare delle ripugnanti bestie lovecraftiane. Nel racconto abbiamo anche una strategica fusione tra l’orrore cosmico e l’incomunicabilità.

Un momento sublime di terrore cosmico, talmente in bilico tra il reale e il soprannaturale da  esprimere  quasi un’allucinazione degenerativa della mente umana , viene narrato alla fine di La rovina della casa degli Usher (The Fall of the House of Usher) con un dinamismo cromatico di un universo che è  talmente impetuoso e irruente da evocare lo stile suggestivo di Lovecraft.

L’uragano sfogava ancora tutta la sua ira, quando mi trovai sul terrapieno. All’improvviso un luce livida riempì la strada, e mi voltai per vedere da che luogo potesse provenire, col suo splendore così strano: giacché soltanto la vasta ombra del castello stava dietro di me. Ma la luna piena, color di sangue, splendeva ora attraverso la fessura (una volta visibile appena) che ho detto come percorresse la facciata a zig-zag dal tetto alle fondamenta. Mentre guardavo, la spaccatura s’ingrandì rapidamente; sopravvenne un furioso turbine di vento; subito l’intero disco della luna si presentò ai miei occhi e il cervello mi venne meno al vedere che le possenti muraglie crollavano; si produsse un fracasso immenso e tumultuoso come la voce di mille cateratte, poi la palude buia ai miei piedi si richiuse in tetro silenzio sulle macerie della casa degli Usher.

Lo stesso dicasi anche per il finale di  Metzengerstein

D’improvviso cadde allora la furia della tempesta , e sopravvenne una tetra calma di morte. Una fiamma bianca salì ad avviluppare come in un sudario tutto il palazzo, e divampando nell’aria ferma riverberò in lontananza una luce sovrannaturale, mentre una nuvola di fumo si addensava pesante sopra gli edifizi  prendendo la forma di un colossale cavallo.

Dalla costola del terrore dell'anima di Poe, prende ispirazione Lovecraft e ne amplifica ampiamente la portata fino a diventare, come sostiene Jacques Bergier, il "Poe cosmico". Dietro quest'ottica, il terrore cosmico lovecraftiano può essere considerato, in parte, come un'evoluzione materialistica e mitologica  di quello poesco fino alla creazione di un’affascinante e tendenziale fantascienza orrorifica.

Nonostante le enormi diversità culturali  di Poe e Lovecraft, un racconto  dove il terrore  cosmico dei due scrittori  tende incredibilmente  a somigliarsi è Una discesa nel Maelstrom (A Descent into Maelstrom) dove la metafisica degli eventi si lega caoticamente alla paura degli avvenimenti improvvisi e sconosciuti  per via di una nave  che rimane sospesa in un terribile gorgo perché viene sopraffatta da eventi supernaturali di cui non se ne conoscono le reali cause. L'inabissamento della nave indica l'instabilità dell'universo e le sue rovine testimoniano il baratro che il caos ha lasciato dietro di sé. Nel racconto, Poe si accosta a   Lovecraft perché in questo caso il terrore cosmico è legato a quella sfera dello sconosciuto e dell'imprevedibile che non sconfina  nell'universo soprannaturale ma rimane appunto inerente al "cosmo" e ai suoi misteri inspiegabili . Come può, quest’opera, non contraddire l’idealismo di Poe? La risposta ci viene data proprio dallo stesso autore quando riporta una frase di Joseph Glanvill all’epigrafe del racconto: «Le vie di Dio, nella Natura come nella Provvidenza, non sono le nostre vie, né i modelli che noi concepiamo si possono in alcun modo commisurare con la vastità, la profondità, e l’incomprensibilità delle Sue opere…». Pertanto, dal mio punto di vista, in base alla cosmogonia teocentrica  presente in Eureka, possiamo avanzare l’idea che, nonostante il frequente richiamo all’abisso psicologico senza un’ esplicita apertura all’ultraterreno, il mondo metaforico di Poe tende, a volte, in senso teologico. Basta pensare all’improvvisa comparsa di una “luce livida” in La rovina della casa degli Usher o alla  “luce sovrannaturale” in Metzengerstein per supporre che si tratta  di una rivelazione simbolica della partecipazione di Dio  alle vicende umane. Nel cristianesimo, Dio è la “Luce Eterna” che illumina il cammino dell’uomo verso la salvezza da un mondo dominato dalle tenebre del caos.

L'espressivo sentimentalismo del romantico Poe, squisitamente armonioso e malinconico, che sembra rivendicare, a volte, la Provvidenza sulla malvagità degli uomini, viene letteralmente abbandonato da Lovecraft  per lasciare posto al buio eterno di un universo freddo, irruente e senz'anima dove non v'è alcuna consolazione  teologica per una rosa che appassisce, per un animale in fin di vita, per un uomo che giace a terra morto  sull'ombra di una creatura mostruosa dalle ali nere, comparsa all'improvviso dall'ignoto.

Bibliografia             

Nietzsche, Al di là del bene o del male, af. 36, Edizioni Adelphi

H.P.Lovecraft, Teoria dell’orrore. Tutti gli scritti critici., a cura di G. de Turris, Castelvecchi, Roma, 2001, pp.74-76

La Rovina della casa degli Usher in Poe. Racconti del terrore, Oscar classici Mondadori, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, VII rist. 1999, pag. 137

Metzengerstein, op. cit., pag. 45