Protagonista dell'approfondimento cannibale di oggi è Vincenzo Verzeni, il killer che morì due volte!
Il vampiro della bergamasca, detto anche lo strangolatore di donne, l'uomo che tra il 1867 e il 1872 uccise brutalmente due donne e ne aggredì altre sei, nasce a Bottanuco, un tranquillo paesino bergamasco sulla riva dell'Adda, l’11 aprile 1849 e muore sia a Milano il 13 aprile 1874, sia nel suo paese d'origine il 31 dicembre del 1918.
Verzeni ė stato il primo serial killer italiano di cui possiamo ricostruire la storia, a occuparsi del suo caso e delle sue depravazioni fu il famoso antropologo e criminologo Cesare Lombroso. Il nostrano cannibale padano avvicinava sue le vittime in luoghi isolati per poi aggredirle mordendo loro il collo. Nei casi in cui uccise, mutilò il corpo, bevve il sangue e mangiò pezzi di carne.
Come spesso accade dietro la follia c'è un retroscena famigliare oscuro.
E anche questo caso non fa eccezione. Vincenzo nasce in un contesto rurale misero.
Fa parte di una famiglia di contadini, povera e disagiata: il padre è alcolizzato e violento mentre la madre è una donna bigotta che soffre di epilessia. Il risultato è che il giovane, alto 1 metro e 66 per 68 chili, divenne timido, introverso, molto silenzioso e solitario. Ma la sua è solo calma apparente.
I primi segni di qualcosa che non funziona arrivano a soli 18 anni nel 1867.
Mentre la cugina Marianna dorme, Vincenzo le salta addosso e la morde sul collo. Lei strilla e lui fugge spaventato!
Nel 1869 viene aggredita una contadina, Barbara Bravi, e dopo l'arresto si scoprirà che è opera del nostro uomo che, poco tempo dopo torna ad aggredire. Tocca a Margherita Esposito che però riesce a ferirlo al volto e a identificarlo. Non arrivano provvedimenti in seguito alla denuncia.
Nel finale dello stesso anno anche Angela Previtali lo denuncia senza conseguenze, dichiarando di essere stata rapita dal Verzeni che l'avrebbe trattenuta per alcune ore in una zona disabitata e poi liberata mosso da compassione.
L'orrore sta per scoppiare.
Il primo omicidio sarà commesso l' 8 dicembre del 1870.
Una ragazza di 14 anni, Giovanna Motta, scompare nel nulla delle campagne. Il suo cadavere martoriato fu ritrovato quattro giorni dopo. La brutalità e il sadismo della mente di Vincenzo sono evidenti nelle mutilazioni, nei morsi sul collo e sulle cosce della sventurata. Le aveva asportato gli organi genitali e le interiora, che furono rinvenute nel tronco cavo di un gelso. Coi denti le strappò la carne di un polpaccio. La terrificante scena del delitto presentava alcuni spilloni, disposti a raggiera, che fecero pensare che Verzeni fosse dedito al piquerismo, una forma di masochismo in cui si trae piacere dal trafiggersi con oggetti acuminati. (vista già con il caso di Albert Fish).
Il 10 aprile del 1871 Verzeni importuna Maria Galli che lo segnala, nuovamente senza risultati. Il 26 agosto attacca Maria Previtali tentando di morderle il collo.
Nel 1872 Verzeni torna a uccide.
La vittima è Elisabetta Pagnoncelli, il cui cadavere viene ritrovato coi soliti morsi sul collo, nuovamente gli organi asportati e lembi di carne strappati. Come fu per la precedente ragazza, mangiò pezzi di carne.
Nel 1873 è arrestato e finalmente processato.
Cesare Lombroso stende la perizia psichiatrica del Verzeni. Non lo ritiene infermo di mente. Lo definisce un sadico sessuale, vampiro, divoratore di carne umana.
Giudicato colpevole di duplice omicidio, Verzeni scampa alla condanna a morte grazie al voto di un giurato e viene condannato all'ergastolo nel manicomio criminale della Pia Casa della Senavra di Milano e ai lavori forzati a vita.
Qui viene sottoposto a torture di ogni genere. Vive nell’isolamento e nell’oscuramento totali, ricevendo getti d’acqua gelata fatti calare da tre metri d’altezza, seguiti da bagni bollenti e scosse elettriche.
Una versione della sua storia, lo vuole morto suicida qui.
Gli infermieri dichiarano di averlo trovato morto il 13 aprile 1874 impiccato.
Pare invece che riuscì a sopravvive e fu trasferito nel carcere di Civitavecchia.
Un articolo pubblicato sull'Eco di Bergamo il 3 dicembre 1902 lo conferma:
La popolazione di Bottanuco è terrorizzata al pensiero che Vincenzo Verzeni, lo squartatore di donne, ha quasi ormai finito l'espiazione della pena, che dall'ergastolo, fu convertita in 30 anni di reclusione. Il lugubre ricordo delle gesta sanguinose del Verzeni è ancora vivo in Bottanuco e nei paesi circostanti.
L'atto di morte n. 87 del comune di Bottanuco certifica che Verzeni è morto nel suo paese natale il 31 dicembre 1918, per cause naturali.
Durante il processo Verzeni dice:
Io ho veramente ucciso quelle donne e ho tentato di strangolare quelle altre, perché provavo in quell'atto un immenso piacere. Le graffiature che si trovarono sulle cosce non erano prodotte colle unghie ma con i denti, perché io, dopo strozzata la morsi e ne succhiai il sangue che era colato, con cui godei moltissimo.
La riproduzione della sua mummia è conservata nel Museo di Arte Criminologica di Roberto Paparella.
Il prossimo appuntamento con Indovina chi viene a cena? è tra due settimane! E se fino ad ora abbiamo parlato solo di uomini molto cattivi. toccherà indagare anche nella mente di alcune discutibili signore cannibali!
Qui i precedenti articoli con: Albert Fish, Andrej Čikatilo, Armin Meiwes, Edward Gein e Jeffrey Dahmer. Buona lettura.
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