Film del 1971 diretto da Robert Fuest, regista dalla carriera breve e discontinua che non mancò di prestare i propri servigi anche alle televisione. Dalla pellicola venne poi tratto il seguito Dr. Phibes Rises Again del 1972, tradotto in italiano con il titolo Frustrazione.
Trama: Anton Phibes decide di uccidere tutti i membri dell’equipe medica che anni prima aveva invano tentato di salvare la vita della sua amatissima moglie Victoria (Caroline Munro che non appare però accreditata). Per architettare i delitti, Phibes si ispira alle dieci piaghe d’Egitto raccontate nella Bibbia.
Perché vederlo: Il dottor Phibes avvolto in un mantello di raso si esibisce all’organo, lo strumento fluttua tra i piani della sua enorme abitazione. Questa immagine chiarisce subito che ci troviamo di fronte a un horror atipico, ironico e barocco in cui il kitsch la fa da padrone senza però scivolare nel ridicolo. Il dottore stesso è un curioso ibrido tra un uomo e una macchina, un proto cyborg, che combina cavi, grammofoni e ferraglia varia perché possa essere in grado di nutrirsi, di comunicare e di far risuonare melodie accompagnato da un’orchestra di concertisti meccanici. Un uomo che ha perso i contatti con il mondo che lo circonda e si rifugia nella sua casa carica di ricordi e disperazione meditando vendetta o sospirando ispirate odi d’amore alla moglie defunta. La pena di Phibes, la sua necrofilia, potrebbero far sprofondare lo spettatore in un vortice di cupa angoscia se queste non fossero ammorbidite e quasi celate da uno spiritoso scambio di battute e dalla tragicomica messa in scena.
È Fuest stesso a rimaneggiare la sceneggiatura, scegliendo appunto di concentrarsi sull’umorismo, seppur nerissimo, piuttosto che sul morboso struggimento del protagonista: esaspera ogni gesto di Phibes e lo trasforma così in farsa. Il film si basa sull’eccesso, a partire dalle scenografie art déco, coloratissime e sontuose, continuando poi nella ricchezza dei ridicoli costumi del dottore e della sua assistente Vulnavia, arrivando al climax con la fotografia psichedelica di Norman Warwick.
Eccessivi sono anche i sentimenti, l’amore di Phibes per la sua defunta moglie è così totalizzante da raggiungere i toni propri del melodramma. Eccessiva è la violenza, vengono mostrati personaggi divorati da cavallette o impalati da un’unicorni d’ottone o ancora dissanguati dopo essere stati sorpresi a guardare un porno, rigorosamente d’epoca.
La trama è ben articolata dunque, nonostante una certa prevedibilità, mantiene un buon ritmo e Fuest si diverte a inquadrare le scene dalle angolazioni più inimmaginabili, giocando con i riflessi degli specchi, tagliando la nebbia e infilandosi in cunicoli segreti.
Magnifico come sempre Vincent Price, già da tempo abituato a mescolare l’ironia all’orrore, capace interprete di tutte le sfaccettature che compongono il suo complesso personaggio. Non potendo parlare e avendo i muscoli facciali paralizzati, compensa questa parziale immobilità con sguardi eloquenti e con una gestualità estremizzata, la sua recitazione quindi non può che essere teatrale e sopra le righe. La comicità del personaggio interpretato da Price nasconde però un atteggiamento ben più tragico che riemerge nel finale, il dramma prende il sopravvento e Fuest se ne serve per confezionare una scena struggente e indimenticabile.
Curiosità: Per il ruolo di Vesalius era stato scelto Peter Cushing che a causa dei problemi di salute della moglie fu costretto a declinare.
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