Il nonno di Francesco non amava parlare di sé, non si sapeva molto della sua vita. Parlava volentieri solo di una cosa: l’agosto del 1941. Aveva ventun anni, allora, e la Seconda Guerra Mondiale infuriava da due. Era caduta la Francia, si stava combattendo la battaglia d’Inghilterra e l’Unione Sovietica era stata appena invasa dalla Germania nazista. Il bombardamento di Pearl Harbour sarebbe avvenuto quattro mesi dopo. Ma in quei giorni, con l’Europa in fiamme e l’ombra maligna di Adolf Hitler che sembrava stendersi su tutto il mondo, la mente del nonno di Francesco era occupata da ben altri pensieri. Bruciava d’amore per una giovane danzatrice ungherese che si ispirava a Isadora Duncan. Una ragazza dai capelli biondo-cenere e il corpo interamente coperto da piccole cicatrici. Non c’era parte della sua pelle che non brulicasse di piccole incisioni. Da una certa distanza poteva sembrare addirittura che i segni fossero lettere e che le lettere formassero parole facendo di lei una stele umana. Un libro vivente.
- Ti lascerai uccidere dal Cacciatore?
Francesco non rispose. Ci sono emblemi sul sentiero di ogni uomo che indicano come la nostra vita non avrebbe potuto essere diversa. Non esiste il Bene o il Male, ma solo la carne. Il Lupo fa quello che deve fare e lo fa senza rimorsi, non sta a noi giudicarlo. Francesco aveva ucciso un assassino, due spacciatori di droga e cinque uomini che avevano massacrato una ragazza indifesa in un rito satanico. Nessuno che, da un certo punto di vista, non lo meritasse, insomma.
Padre Orlandini non la pensava così, lui era il Cacciatore. Con la sua croce d’argento affilata e scintillante.
Il Cacciatore stava arrivando e il Lupo era la sua preda.
Alle tredici Sandro entrò in sala da pranzo e disse:
- La sua Carne alla Tartara, signore.
Francesco guardò il piatto colmo di carne cruda e sanguinante e rispose:
- Carne alla Tartara... è divertente chiamarla così.
Sandro era l’unico che avesse visto il pelo del suo amico e fosse poi riuscito a reggere quella visione di storie e di sogni interrotti, rimanendo allo stesso tempo vivo. Dopo pranzo Francesco si buttò sul divano e scrisse di getto due o tre poesie d’amore dedicate a Sophia.
Prima di lei c’era stata Laura. C’era stata Monica. E Samanta, Manu, Simona, Micaela. Francesco voleva di più, voleva il massimo, la favola. Voleva Humphrey Bogart che bacia Lauren Bacall.
Quante volte aveva perso l’amore, Francesco, era un lupo molto distratto.
E Sandro sempre lì, al suo fianco, ogni volta, a ricordargli che “lei non vale la tua vita”.
In realtà gli uomini partecipanti al rito satanico erano sei, ma uno non lo aveva mai trovato. Uno degli altri cinque, poi, si era ucciso da solo. Da vivo era stato soprannominato Mosaico perché da bambino aveva attraversato con la faccia una finestra chiusa. Francesco non sapeva per quale motivo avesse fatto sua quella vendetta. Forse perché non ne aveva una personale o forse perché la ragazza non aveva nessuno che la vendicasse. Forse per nessun motivo. Forse solo per giustificare la Bestia.
Francesco tossì, lui e il mondo stavano morendo. L’inquinamento aveva raggiunto livelli di guardia, almeno per chi aveva la Bestia dentro, per questo si era ritirato a Fiumetto già da qualche anno. Non c’era stata, durante il periodo vissuto in città, una sola notte in cui non avesse sognato quella casa. E sempre una musica nella sua mente. Quella musica. Una canzone per l’infanzia della Bestia.
Tornò presto la sera e nel momento clou di una partita a briscola, tra caldarroste e vino rosso, i due sentirono bussare al portone. Sandro afferrò un vecchio fucile ad avancarica che era stato del nonno di Francesco e andò a controllare da una feritoia nel muro.
- Al Diavolo! - disse.
- Ho già dato, grazie. - rispose Francesco.
- E’ la poetessa, cazzo! Non é un gioco, questo! Non glielo hai spiegato?
Poi la lasciò entrare, Sophia, i capelli neri bagnati, luccicanti, che sembravano in qualche modo posseduti da una vita propria. Sotto il pesante cappotto indossava un miniabito nero e calze rosse di lana. Gli stivali neri, molto Vampirella old style, le arrivavano appena sotto il ginocchio. Sophia lanciò un’occhiata malandrina a Francesco che non disse niente, rimase seduto, ma era felice.
5 commenti
Aggiungi un commentoBel racconto, poetico e di atmosfera, su un tema classico dell' horror affrontato qui in modo non stereotipato, ma con melanconia e un certo richiamo forse agli eroi del Romanticismo.
troppo incasinato: che cosa voleva essere? weird? Comico? Non ci ho capito niente
Non male l idea di base, la licantropia è un tema piuttosto difficile da trattare senza cadere nel banale. Certe parti del racconto sono molto suggestive e ben descritte, penso però che si sarebbe potuto sviluppare meglio l' incipit : l ho trovato un po' sussultante.
il racconto non è male, però da qui a dire che è un talento ne corre.
l'ho trovato ben scritto, lo stile è asciutto e lineare ma nel complesso il racconto mi è parso poco emozionante.
voto 6,5
Veramente un bel racconto
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