Nevicava senza tregua da due giorni. Un altro Natale era appena passato senza fare male, era il Natale del 1993. Francesco prese il violino e cominciò a suonare un’aria non troppo allegra. Adorava l’inverno, la neve, la pioggia, il freddo. Se ne stava in piedi davanti al camino con gli occhi chiusi. E suonava.
Sandro davanti alla finestra gli dava le spalle e rifletteva su alcuni punti secondari del senso della vita. Era un tipo molto riflessivo, “quasi uno specchio” avrebbe detto Francesco.
La casa l’aveva costruita il nonno di Francesco con l’aiuto del vecchio Paolino. L’avevano tirata su dalle macerie di una grande stalla, sul finire della Seconda Guerra Mondiale. Quella casa era della sua famiglia da allora, situata in un piccolo paese in provincia di Monterenzio, nell’Appennino bolognese. Un paese che contava circa una trentina di anime. Qualora avesse smesso di contarle sarebbe crollato su se stesso, implodendo in una sorta di dolce eutanasia. Francesco mise un disco sul piatto impolverato. Le parole di “Idiot Wind” riempirono la stanza. Bob Dylan volle rientrare in sala di registrazione per inciderla di nuovo, pochi giorni prima dell’uscita del disco, quando era ormai tutto pronto. Capita a volte di prendere decisioni come queste, quando capisci che é l’unica cosa giusta che puoi fare. Fuori soffiava un vento idiota e Francesco disse:
- Mi sposo.
Erano le cinque del mattino. Era passata un’ora, ormai, da quell’affermazione. E Sandro non gli aveva ancora risposto. Continuava a guardare fuori dalla finestra, la neve scendeva senza sosta, ogni tanto cambiava ritmo e velocità, ma non si fermava. Non si fermavano mai quei cristalli bianchi, cascavano come pensieri, gravi, da prognosi riservata. Un intenso odore di pane veniva dal forno dietro casa. Francesco tossì un po’ e buttò lì un paio di strofe, tanto per tenersi in allenamento.
Venne febbraio mese di carnevale
di mostri e bestie e altri tipi strani
Venne senza sapere dove andare
con brandelli di carne nei molari
Per anni ci siamo illusi di aver represso la Bestia che è in noi, ricoprendoci di una parvenza di civiltà. Francesco era un lupo che una volta sognò di essere uomo. Il sogno fu lungo e piacevole, ma un giorno Francesco si svegliò. Da tempo non cercava più di soffocare la Bestia, ma viveva in simbiosi con essa.
La parola latina per lupo mannaro è versipellis, cambia-pelle. Si ritiene infatti che all’interno del corpo dell’uomo-lupo cresca il folto pelo della Bestia, e che perciò gli basti rivoltarsi come un guanto per ottenere la metamorfosi. Tale convinzione fu, nel Medioevo, all’origine dello scuoiamento dei condannati per licantropia, al fine di trovare dentro di loro la pelliccia del lupo, segno indiscutibile di colpevolezza.
All’apparenza Francesco non aveva nulla che ricordasse la Bestia, ma un acuto osservatore avrebbe potuto scovarla nei suoi occhi.
Gli occhi di Francesco. Gridavano.
Il giorno dopo, verso le undici, Sandro guardò Francesco che stava sorseggiando il tè e gli chiese:
- Con chi?
- Con Sophia.
- L’ungherese?
- E’ francese. E’ nata in Francia.
- Da genitori ungheresi. Ma questo non ha nessuna importanza. Mi preoccupa invece il fatto che scriva poesie.
- Sai una cosa? A volte io e te sembriamo personaggi di una commedia di Oscar Wilde. Ci avevi mai pensato?
- No, senti... dimmi una cosa... lei lo sa che vi sposate?
- Oscar Wilde!
- Lo sa?
- No.
La tosse lo assalì di nuovo. Aveva già confidato a Sophia il suo problema e lei per nulla meravigliata e, anzi, sentendosi più libera di parlare gli aveva detto di avere anche lei un segreto. E lui per un istante, un puntino nell’eternità, aveva sperato che gli dicesse “Guardami: sono anch’io come te! Guarda che bel pelo rosso mi cresce dentro...”.
- A proposito - disse Francesco - Vuoi sapere una cosa buffa? Sai come chiamavano Sophia da bambina per via dei suoi capelli rossi?... La chiamavano Cappuccetto Rosso!
- Vomitevole.
Quale fosse il segreto di Sophia, Francesco ancora non lo sapeva. Ma nulla più era in grado di meravigliarlo, nessuno. Il nonno di Francesco, già citato all’inizio di questa storia, covava la Bestia. E così il nonno di suo nonno. Una maledizione che ricadeva sulla famiglia una generazione sì e una no. Il nonno di Francesco, stanco e malato, sparì così, un giorno, solo perché non aveva più voglia di vivere. L’inverno di undici anni prima andò a Fiumetto e si infilò in una tempesta di neve, risalendo la vecchia collina delle trincee tedesche, trascinando la sua gamba di legno. I funerali si fecero senza il corpo.
5 commenti
Aggiungi un commentoBel racconto, poetico e di atmosfera, su un tema classico dell' horror affrontato qui in modo non stereotipato, ma con melanconia e un certo richiamo forse agli eroi del Romanticismo.
troppo incasinato: che cosa voleva essere? weird? Comico? Non ci ho capito niente
Non male l idea di base, la licantropia è un tema piuttosto difficile da trattare senza cadere nel banale. Certe parti del racconto sono molto suggestive e ben descritte, penso però che si sarebbe potuto sviluppare meglio l' incipit : l ho trovato un po' sussultante.
il racconto non è male, però da qui a dire che è un talento ne corre.
l'ho trovato ben scritto, lo stile è asciutto e lineare ma nel complesso il racconto mi è parso poco emozionante.
voto 6,5
Veramente un bel racconto
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