Continua il nostro viaggio fra realtà piccole e grandi dell'underground italiano, nella convinzione che la dimensione amatoriale o comunque "piccola" di alcune di queste produzioni artistiche (indifferentemente al tipo di media usato) nasconda in realtà alcune fra le sorprese più piacevoli, spesso di livello superiore a quanto proposto dalle strombazzate major o dai grandi colossi dell'editoria italiana. Avevo già parlato di Piero Cannata e del suo Se la notte finisse in occasione dell'articolo riguardante il dvd di Tirrenia Trema ed è con curiosità ed entusiasmo che lo rincontro per scambiare quattro chiacchiere sulle sue opere. Obbligatoria una biografia minima prima di passare a esaminare i suoi lavori più recenti.
Piero Cannata nasce a Palermo il 19 dicembre del 1974. Nel 1993 consegue la maturità classica presso il liceo Umberto I e si iscrive alla facoltà di Scienze Politiche della sua città. Nel 1996, frequenta un corso di regia cinematografica e teatrale ottenendo la qualifica di regista.
Nel 1997 scrive e dirige Neuro, parodia del cult hitchcockiano Psycho, a cui tra il 1997 e il 2000 seguono altri tre episodi (Neuro 2, Neuro 3, Neuro– Il segreto di mammina).
Nel 1999, dopo un piccolo corto sperimentale dal titolo Spettri, Piero decide di produrre il suo primo thriller a tutto tondo, una storia breve, senza attori professionisti, infarcita di citazioni dagli horror più famosi e ricca di autoironia. Il titolo del corto è Backstage e da questo momento in poi le cose cominciano a cambiare. Il video viene subito selezionato in diversi festival nazionali e vince due menzioni speciali per la regia e la padronanza delle regole di genere.
Ma è solo l’anno successivo, con la nascita de L’altro Backstage, che Piero Cannata raccoglie la meritata attenzione del pubblico e della critica. Il corto vince infatti il secondo premio al II Tohorror Film Festival di Torino e, insieme a Backstage e al terzo e conclusivo capitolo della trilogia, L’ultimo Backstage, girato nel 2001, si aggiudica il primo premio al II Alienante Film Festival di Milano e le prime recensioni su Internet.
Piero decide di chiudere il cerchio girando nel 2002 un piccolo prequel della serie Backstage, intitolato per l’appunto Prologo, in cui il nostro descrive l’ultimo giorno di vita dei protagonisti del primo capitolo (al quale il corto da questo momento sarà indissolubilmente legato col titolo Prologo/Backstage) con l’intento, da una parte, di raccontarci i sogni e le speranze di un gruppo di videomakers che trovano la morte per mano delle loro stesse illusioni e, dall’altro, di fornire una serie di anticipazioni e di chiavi di lettura per rendere più complessa e intrigante la visione dei capitoli a seguire.
Nel 2002 Piero abbandona le atmosfere solari e ironiche dei precedenti lavori per tuffarsi in una storia gotica e malsana, ambientata in una notte da incubo tra i boschi della Sicilia, in cui un gruppo di ragazzi incappa nella figura spietata di un killer incappucciato tormentato dalla solitudine. Se la notte finisse, questo il titolo del corto riscuote immediatamente attenzione di critica e pubblico vincendo il secondo premio al III Alienante Film Festival di Milano, una menzione speciale al III Tohorror Film Festival di Torino "per essere riuscito a spaventare veramente gli spettatori”, il premio per il miglior lavoro in concorso e per la migliore regia al I Independent Horror Festival di Livorno, una segnalazione speciale della giuria alla prima edizione de La Notte Dei Corti Viventi di Termoli (CB), il premio "Ascia d'Argento" per il miglior cortometraggio horror al XXIV Fantafestival di Roma.
Come già avevo avuto modo di dire in precedenza sono convinto che proprio Se la notte finisse rappresenta il reale punto di svolta nella carriera di Piero: maturità e padronanza della sintassi accoppiate a un gusto e attenzione morbosa per il dato paesaggistico sono i punti di forza di un video che supera i "soliti" problemi delle produzioni indipendenti (limitatezza di mezzi, attori non professionisti, velocità di realizzazione) offrendo ottimi spunti specie nella prima parte. Piero non ha tradito le mie aspettative e i due corti che ho ricevuto pochi giorni fa confermano quanto di buono era già mostrato nei precedenti lavori ma si pongono decisamente su livelli superiori sotto ogni punto di vista.
Domani parte ricordando l'ennesima storia di serial killer e drammatici fatti di cronaca (una ragazza uccisa da un individuo mascherato penetrato in casa) ma viene riscattato da un finale a sorpresa che pesca in drammi molto più importanti e reali. Se la voce off che viene usata lungo tutto il film può risultare un po' retorica (ma ammetto che sarebbe stato difficile inventare qualche altro escamotage narrativo) la solita ottima attenzione per gli elementi paesaggistici e la tecnica ormai professionale di Cannata pongono questo prodotto chiaramente fuori dagli ambiti della semplice amatorialità.
E con Ellissi si passa al decisivo cambio di marcia nel modo di filmare di Piero che approfitta di una storia ridotta all'osso (una coppia di amanti decide di uccidere la precedente compagna di lui) per decomporne la struttura e rimontarla giocando sia su un piano narrativo onirico che su una buona riflessione metacinematografica: montaggio, sonoro, tecnica di ripresa diventano protagonisti "attivi" del corto tanto quanto gli attori (migliorati rispetto alle precedenti prove, e anche questo è un dato confortante, i due protagonisti sono anche loro un gradino sopra rispetto alle solite interpretazioni amatoriali).
Abbiamo avuto modo di rivolgere a Cannata alcune domande.
HM: Abbiamo già parlato dei tuoi esordi. Mi interessa ora capire cosa ha motivato il tuo cambio di toni e atmosfere, dall'ironia iniziale alle scelte tipiche della tua produzione a partire da Se la notte finisse in poi. Spesso ho la sensazione che molti esordienti si rifugino nella parodia o addirittura nel demenziale per scarsa confidenza con i meccanismi propri dell'horror e della suspense...
PC: Dipende da come ti poni nei confronti del genere (qualsiasi esso sia). Se il tuo obiettivo è quello di far ridere, piangere o urlare dal terrore lo spettatore, senza grandi innovazioni o sperimentazioni formali, allora ti basterà semplicemente riproporre meccanismi e situazioni già sperimentati, ma di sicura efficacia, riducendo al minimo lo sforzo. Se, al contrario, ciò che ti muove non è soltanto il desiderio di emozionare il pubblico, ma anche quello di percorrere strade nuove, innovando e reinventando i generi, allora il lavoro sulla trama, sui personaggi, sui sottotesti si farà enormemente più complesso. Horror e commedia sono entrambi generi difficili se li si affronta in quest’ottica. A me, per esempio, realizzare i quattro episodi di “Neuro” è servito non solo ad omaggiare i generi cinematografici che più amo, ma anche a sperimentare un’ idea nuova di comicità, proponendo allo spettatore una galleria di personaggi bislacchi e surreali che si muovono in un mondo paradossale, intriso di elementi tanto horror quanto comici. Per quanto riguarda, invece, la produzione più “seria”, non so dirti esattamente cosa mi abbia spinto ad abbandonare (almeno per il momento) le atmosfere thriller e slasher della trilogia di Backstage e di Se la notte finisse. Forse ha influito l’avvicinarsi dei trent’anni o, molto più probabilmente, la maturazione di una profonda disillusione nei confronti della realtà che mi circonda. So soltanto che mai come in questo momento ho sentito il desiderio di esplorare le zone d’ombra dell’animo umano e le paure più profonde che tormentano l’uomo.
HM: Generalmente come procedi quando inizi a lavorare a un cortometraggio? Parti da una sceneggiatura tua, scrivi dialoghi dettagliati, storyboard con disegni, programmi i giorni di ripresa? Oppure il tutto avviene in maniera meno precisa, più istintiva?
PC: Di solito, dopo aver scritto la sceneggiatura, disegno uno storyboard piuttosto dettagliato del lavoro e poi inizio a provare battute e movimenti con gli attori per farli entrare nella parte. Essendo quasi tutti non professionisti, questa è una delle fasi più stimolanti. Il resto viene da sè. E’ qui che subentra l’istinto. Devi stare attento a non strafare, tenere tutto e tutti sotto controllo, ripetere una scena finché non ti soddisfa pienamente, essere capace di eliminare qualcosa se non funziona.
HM: Quanto tempo ti serve di solito per ultimare le riprese?
PC: Dipende dalla lunghezza del cortometraggio e dal tempo che possiamo dedicargli. Si va da una settimana a un mese di lavoro. E’ tutto molto relativo.
HM: Noto nei tuoi lavori una particolare attenzione per il sonoro, cosa che di solito non accade nei filmati underground. Da cosa nasce questo dato? Che strumentazione usi?
La cura per il sonoro nasce proprio dal desiderio di dare ai miei lavori un aspetto quanto più professionale possibile. Amo molto l’idea del cinema indipendente “fai da te”, dove bisogna scervellarsi ed industriarsi per tirare fuori qualcosa di veramente valido con i pochissimi mezzi a tua disposizione. E’ questa la parte più esaltante. Per quanto riguarda le attrezzature, di solito uso un microfono esterno per la telecamera, ma il grosso del lavoro lo faccio poi in fase di montaggio, mixando musiche ed effetti sonori.
HM: Visto che abbiamo parlato di strumentazioni, entriamo nel dettaglio anche per quel che riguarda riprese e montaggio: quali telecamere usi, che tipo di riflettori e che software di post produzione?
PC: In passato ho girato in video8 (Neuro 1 e 2), in Hi-8 (Neuro 3 e 4, Spettri, Backstage e L’altro Backstage) e in mini dv (L’ultimo Backstage, Se la notte finisse e Domani), montando spesso con il sistema di editing digitale “Adobe Premiere”. “Ellissi” invece è stato girato con una telecamera sony pd-170 da 3 ccd e poi montato in “Avid”. Per quanto riguarda invece l’illuminazione, vale lo stesso principio che muove tutto il mio lavoro: sfruttare al meglio i pochi mezzi a disposizione (faretti, lampade alogene, torce elettriche e tutto quello che può servire allo scopo). E in questo il mio direttore della fotografia, Leandro Armilli, è un autentico genio.
HM: Questione spinosa: i soldi. Quanto costa in media un tuo video? L'esperienza con i vari festival cui hai partecipato ti ha portato poi a dei contatti fruttuosi nel campo dei produttori?
I produttori, per il momento, latitano, ma non importa! Il bello del cinema indipendente è proprio il fatto che puoi realizzare i tuoi lavori in totale autonomia, raccontando e filmando le tue sensazioni ed emozioni più profonde, senza dover subire pressioni e condizionamenti dall’alto. I festival, i premi e il passaparola del pubblico fanno poi il resto. Per quanto riguarda invece le spese, di solito non sono altissime. Ultimamente, poi, sono riuscito ad ammortizzarle parecchio, affidando il montaggio a Maria Luce Bondì che, oltre ad essere una sensibile interprete, è anche un’ottima montatrice. Non credo, comunque, che, per realizzare un buon lavoro, si debba necessariamente spendere una fortuna. Basta fare di necessità virtù!
HM: Cosa vuol dire per te orrore? E come lo distingui dal concetto di terrore/paura?
Per me l’orrore è qualcosa di enorme, di devastante, di mostruoso. Un concetto più visivo che mentale. Al contrario, il terrore e la paura li vedo come sensazioni più sottili, sottocutanee e insinuanti.
HM: Riguardo ai tuoi cortometraggi, attraverso quale metodo ed espedienti cerchi di provocare paura/orrore negli spettatori?
PC: Attraverso la meticolosa creazione dell’atmosfera giusta, scegliendo suoni, luci, musiche e inquadrature che possano far montare la tensione e mettere lo spettatore di fronte a tutte le sue paure più profonde. Di solito, poi, preferisco sempre suggerire l’orrore più che mostrarlo.
HM: Quali sono stati i registi che più ti hanno influenzato nello stile? Non intendo i tuoi preferiti bensì le influenze tecnico/estetiche.
PC: Sicuramente De Palma, Hitchcock e Craven, tre autentici maestri.
HM: Cosa ti piace della scena horror mondiale contemporanea? Quali ti sembrano i nomi nuovi capaci di proporre un discorso originale e valido?
PC: Purtroppo temo che, dopo un breve periodo di intenso splendore, l’horror stia di nuovo precipitando nel già visto e nel già detto. L’unico regista che riesce ancora a sorprendermi e a scuotermi nel profondo è forse Shyamalan, autore da molti incredibilmente sottovalutato.
HM: Cosa invece non ti piace?
PC: Tutto il cinema che cerca di stupire lo spettatore con effettacci e scorciatoie. Se vuoi trasmettere emozioni devi lavorare di cesello.
HM: Di solito a un regista che ha già realizzato qualche video si chiedono alcuni consigli da dare agli esordienti. Io vorrei che accanto alle cose "da fare" tu riuscissi anche a elencarmi qualche errore "da evitare", magari sulla base di tue esperienze personali.
PC: Ti sembrerò retorico, ma l’unico consiglio che mi sento di dare ad un esordiente è quello di non mollare mai, qualsiasi cosa succeda, e di mettere entusiasmo e passione in tutto quello che si fa. Ma proprio tutto!
HM: Ultima domanda, quella obbligatoria che chiude spesso le interviste: progetti per questo 2005 appena iniziato?
Restaurare tutti i lavori che precedono Se la notte finisse. Poi, forse, in primavera, un progetto nuovo di zecca!
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