Ji-won è una giornalista fiera del suo mestiere. Scavando a fondo in una storia di molestie sessuali nei confronti di alcune ragazzine si crea un nemico nell’uomo che lei accusa dei crimini. In seguito a ripetute minacce telefoniche da parte del criminale, Ji-won è costretta a cambiare numero. Da quel momento la donna comincerà a ricevere messaggi incomprensibili e disturbanti che giungeranno a destabilizzare in modo allarmante la personalità di Yeong-ju, la giovanissima nipote che ascolta per caso una telefonata.
Mentre la bambina continua a mostrare segni di squilibrio in una preoccupante escalation schizofrenica la giornalista indagherà, disturbata da fantasmi e apparizioni, sui precedenti proprietari di quel numero risalendo al primo proprietario e alla sua triste e drammatica fine...
L’arrivo di Phone nelle sale italiane, a distanza di due anni dalla sua realizzazione, è da salutare con un misto di felicità e perplessità. Al piacere del notare una sempre più cospicua presenza di pellicole orientali nella programmazione nazionale fa da contraltare il disappunto nell’accorgersi che vengono scelti accuratamente i film meno rappresentativi della variegata scena asiatica. Phone ha raccolto enormi successi in patria sulla base di una sceneggiatura furbetta che non fa altro che riciclare le solite, vecchie storie di fantasmi dietro una patina hi-tech in un meccanismo che, appena nato, mostra già la corda.
Eppure, per chiunque non conosca autori come Tsui Hark, Hideo Nakata, Takashi Miike, Park-chan Wook e altri ancora un prodotto del genere può costituire una valida spinta per esplorare una vasta serie di ottime pellicole spesso, ahimè, reperibili solo sotto forma di dvd import. Il regista miscela abilmente temi e idee di lavori precedenti (scontati i riferimenti a Ringu) finendo con mettere in scena vicende risapute con uno stile, va detto, ineccepibile. Lenti, morbidi carrelli si alternano a montaggi frenetici, il sonoro (peraltro, per fortuna, il commento musicale è ridotto a minimi termini) irrompe con forza per segnare i momenti più forti e la fotografia alterna toni caldi a luci fredde congelando orrore e tensione.
Il grande “fallimento” di Phone è quello di segnare una sconfitta per la cinematografia orientale che sta progressivamente americanizzandosi sempre più non tanto e non solo per la scelta dei temi quanto proprio in certa sintassi di regia e scelte stilistiche: sostituendo alle attrici un qualsiasi gruppo di stelline hollywoodiane e mutando la città in una metropoli statunitense non si avvertirebbe il minimo imbarazzo, segno di una identità ormai smarrita.
Rimangono, per fortuna, alcuni aspetti molto validi: Byeong-ki Ahn è in possesso di una tecnica sicura e la pellicola veicola alcuni ottimi momenti di paura (sebbene risolti quasi sempre con il rumore o l’apparizione improvvisa) e certe immagini, per esempio il fantasma dai capelli lunghissimi, sono ancora sufficientemente distanti dal nostro immaginario occidentale per creare qualche senso di disturbo. Ottima anche la scelta di un cast quasi completamente femminile, si tratta di una tendenza in atto da tempo e sembra dipingere una società nella quale il maschio perde progressivamente importanza e potere nei confronti di donne che lo sostituiscono in alcuni ruoli chiave. Stessa cosa avviene poi per quanto concerne l’età, con i bambini a guidare e comandare gli adulti: significativa, a tale riguardo, la scena nella quale la bambina legge la fiaba alla donna che lentamente si addormenta, in un importante ribaltamento di ruoli socio-affettivi.
Purtroppo gli spunti interessanti si perdono in una trama scontata e a tratti farraginosa che si risolve tutta nel continuo e ripetitivo meccanismo del crescendo di tensione/spavento liberatorio. Siamo lontani dal disastro di pellicole superficiali (nel senso più profondo del termine) quali The Eye ma parimenti distanti dall’efficacia di un Ringu o dalla violenza ipercinetica di un Ichi the killer. In sostanza, quindi, un film da vedere se non conoscete un certo modo di fare horror ma da evitare se siete appena più smaliziati.
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