Decimo album in carriera per i polacchi Behemoth e secondo lavoro per la tedesca Nuclear Blast: The Satanist è uscito lo scorso 7 febbraio e configura un nuovo capitolo nella storia della band. Nergal, Inferno, Orion e Seth hanno saputo dar vita a un mostro musicale, intriso di fascino e bellezza che può contare su risoluzioni sinfoniche, un po' black metal, un po' death metal, e tutta la maturità di chi ha saputo superare i problemi e lottare per la propria vita.
Il nero filo di The Satanist comincia a srotolarsi dalla opener Blow Your Trumpets Gabriel, che suona come un accogliente benvenuto nel cuore dell'inferno. Un tappeto di chitarre melmose si muove con un ritmo incalzante e rituale, accompagnando il ruggito graffiante di Nergal: in un crescendo solenne verso il cuore di un regno sempre più nero, si vanno a unire elegantemente tutti gli altri strumenti. Tra stacchi ed esplosioni di bestialità, il pezzo si evolve, portando la mente in una condizione di cupezza, sublime e sinfonica, che conduce verso Furor Divinus. Con una furia spietata le pelli si incendiano, procurando un'overdose di blast beat e chitarre inacidite, che comandano per tutto il pezzo: un alone ben definito di black metal si fa sentire a gran voce in questa traccia, intensa nelle dinamiche e corposa nella propria spietata freddezza.
Messe Noire si avvia con un passo molto deciso, al grido lacerato di I believe in Satan. Dimezzata inizialmente nei tempi rispetto alla traccia precedente, esplode in un feroce blast beat, intervallandosi a momenti più pacati ma non per questo meno intensi. Un mostro, corrugato da chitarre aspre e tocchi sinfonici, che ruggisce, si dimena e cade a terra, a metà strada tra la brutalità di una sfuriata di batteria e la raffinatezza di un assolo da brividi. Dopo un finale a dir poco stupefacente e coinvolgente, ci troviamo alle soglie di Ora Pro Nobis Lucifer, drammatica e sublime nell'introduzione, brutale e infuriata nella strofa. Un cambio d'abito che si fa sentire e vedere, con una smorfia di arrogante superbia luciferina e un tappeto musicale che non lascia tempo di respirare: un mantra infinito che porta sul bordo della bocca di un inferno famelico e movimentato, interrotto dal suono sommerso di tastiera, a rendere la situazione ancor più epica e trionfale.
Il tempo di dire Amen ed ecco arrivare l'ennesimo ciclone di rabbia e violenza, un blast beat bestiale e frenetico accompagnato da chitarre acide e una sinfonia da far accapponare la pelle, mentre Nergal, impavido, continua a colpire, gridare e smembrare ogni traccia di luce superstite. Con un maestoso avvio arriva in scena la title track, presentata da una cupa armonia che accoglie la voce dilaniante e massacrante. Con un mood più drammatico, il brano si dispiega, rivelando la bellezza di un ritornello ricco e colmo di un oleoso nero che, elegantemente, danza, vomitando emozioni e fiele.
Con passo felpato, Ben Sahar si apre la strada, seminando indizi sulla propria natura nera e intrisa di un'euforica sensazione panica: una componente ritmica eccellente incontra l'atmosfera creata ad hoc dalla sinfonia, in grado di portare la mente in uno stato sempre più nero e impuro, che ha modo di esplodere con In The Absence Ov Light. Blast beat, un Nergal sempre più spietato, ritmi e dinamiche sempre più bestiali: tra stacchi rilassanti e inaspettati, chitarre acustiche che si trasformano in acidi tocchi di veleno, un momento prima si è in pace col mondo, il momento dopo si è di nuovo al centro di un terremoto di violenza, fomentato dalle pelli in euforia e dal grido aggressivo di una voce che ruggisce sempre più decisa. Dulcis in fundo, O Father O Satan O Sun!, che suona come un epilogo nero e trionfale di una bellezza accecante. Fluida, la traccia si muove sinuosa, tra assoli coinvolgenti e cori di voci accordate sulla stessa tonalità di rabbia sinfonica: bella, da ascoltare e riascoltare per affrontare la propria metamorfosi verso il nero assoluto dei Behemoth.
The Satanist è un lavoro maturo, bello e raffinato da ogni punto di vista, che può contare su suoni eccezionali e una composizione ottima. È ricco di sfumature che spaziano tra il rosso sangue della violenza ritmica e il nero più assoluto delle sinfonie, in grado di dare un tocco di epica crudeltà alle sonorità arrabbiate e frenetiche; un lavoro che porta la notte nella mente di chi ascolta, in grado di annerire l'anima e di far provare l'euforico sapore della blasfemia. Un viaggio all'interno di un mondo in cui non ci sono alba e tramonto, ma c'è solo il nero più assoluto di una notte che non ha fine.
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