Aziono lo spinterometro e la bobina genera i suoi fulmini. I lampi frustano l’aria tra bagliori di plasma e scrosci elettrici. Li vedo allungarsi come dita di entità senzienti che la cercano e infine la trovano. Il corpo di June è scosso da spasmi violenti. Se non fosse trattenuto dalle cinghie, si alzerebbe dal lettino e ricadrebbe sul pavimento.
Il potenziale elettrostatico è tale che mi pizzica la pelle e i capelli si rizzano sul cuoio capelluto. Attendo ancora un fulmine, il più pauroso, e spengo la bobina.
Un odore acre impregna la stanza.
Il corpo di June giace sul lettino. Non mi occorre vedere che il petto è immobile per sapere che il suo cuore è fermo.
Mi inginocchio, e attendo.
Prego Dio che accada, che il fenomeno si manifesti.
Nell’aria aleggia un leggero pulviscolo, che danza nella luce e che pare dissolversi quando entra nell’ombra. Scandisco il tempo con i miei respiri e fisso quel punto, la linea di confine: dove la luce taglia l’ombra risiede l’avamposto dell’Aldilà sulla terra dei vivi.
All’improvviso la luminosità si fa più intensa e l’oscurità più nera. Sta accadendo e tutto il mio essere si riempie di meraviglia.
L’aria tremula dove luce e oscurità si incontrano, come se una corrente calda scorresse dal basso verso l’alto. Un soffio leggero scompiglia i riccioli sulla fronte di June, e so che non è uno spiffero.
Tun.
È un rumore sordo, un unico tocco che giunge da molto lontano.
Tun.
Il secondo colpo vibra con più veemenza nell’aria e scuote i miei sensi.
Tun. Tu-Tun.
Il battito si ricompone in questo mondo e si fa più intenso con il passare dei secondi.
È potente, ora, e riempie la stanza. Arriva da tutte le direzioni e nessuna al tempo stesso.
È un canto di vita oltre la morte.
È un cuore che batte senza petto.
Desiderio senza carne.
Pensiero senza mente.
È anima.
È lui, che è tornato solo per lei.
Abbasso lo sguardo per pudore, anche se comunque non mi sarebbe concesso di veder nulla: questo momento è solo loro, di June e Tristan.
Svegliati, June, svegliati, prego. Guardo le mie lacrime cadere sul pavimento: gocce di sentimento tra i calcinacci. Dio, fa che non sia morta invano.
E quando mi sembra di impazzire per la troppa attesa, l’anima di June finalmente si desta: il secondo battito si spiega nell’aria come colpi d’ali possenti, e mi fa pensare a un uccello che prende il volo, staccandosi dalla terra che fino a quel momento lo ha accolto. Si affretta, riecheggia, fino a unirsi in un canto che palpita all’unisono con il primo.
È felice, June, e io piango come un bimbo. Di commozione, di tristezza, di gioia, di stupore.
Il puro incanto dura un attimo e i battiti svaniscono in lontananza, fino a tacere.
Mi concedo del tempo prima di alzarmi, perché so che le gambe non mi reggerebbero.
Quello che è nato come l’esperimento di un giovane medico ambizioso, è diventato nel tempo un’esperienza che mi scuote con emozioni profonde.
Apro la gabbia e mi accingo a compiere l’ultimo passo, quello che più detesto.
Lo temo, perché se dovessi scorgere l’orrore che cerco, mi odierei per tutta la vita, perché non potrei rimediare.
Mi avvicino a ciò che è stata June. Ha ancora gli occhi sbarrati. Sciolgo le cinghie. Dove la trattenevano, la pelle presenta delle ustioni che intaccano l’osso, ma il resto è salvo. I fulmini sono entrati dagli elettrodi, hanno attraversato il suo corpo e ne sono usciti senza straziarlo. Le tolgo il pezzo di legno dalla bocca. Le labbra sono arcuate in un sorriso che non si smorza.
Afferro la lente di ingrandimento e mi costringo a guardare nei suoi occhi morti. Il profumo della sua pelle stempera l’odore di carne bruciata e mi parla per un’ultima volta di lei.
Lo cerco negli angoli bui delle sue pupille. Scandaglio febbrilmente quelle macchie, le osservo, le scarto e passo alle altre.
Infine, lo riconosco, impresso nel suo sguardo fintanto che la morte non corromperà i tessuti.
Solo i morti vedono i morti, mi ripeto.
È Tristan. Ha risposto alla chiamata. Vedo la sua ombra, china su June. Non ho bisogno di confrontarne le fattezze con il dagherrotipo. Lo conosco bene, il mio rivale.
È Tristan, ed è solo. Solo.
Il sollievo spegne in me ogni altra emozione e mi accascio sul pavimento.
Capita che altre cose rispondano alla chiamata. Cose malvagie che si gettano sulle anime come belve affamate.
Capita, ma non questa volta.
Il sole continua il suo cammino oltre la tenda e riconquista la stanza.
Si narra che accadano strane cose dove la luce incontra l’ombra. Cose che si celano silenziose ai nostri occhi, ma che al verificarsi di precise circostanze rivelano la loro presenza. Tutto conta: umidità, temperatura, rifrazione, elettromagnetismo. Dove essi subiscono un brusco cambiamento – un raggio di sole che taglia l’oscurità, un fulmine improvviso che squarcia l’aria – i fenomeni si manifestano e l’Aldilà ci socchiude le sue porte.
In quell’attimo l’anima è sospesa in bilico tra oscurità e luce e basta un nulla per farla precipitare nel buio.
Si narra che accadano strane cose dove la luce incontra l’ombra e io ne sono testimone.
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