– Potrebbe essere un potere.
– Che dici? Mia madre sta in politica.
– Quindi?
– Fa la politica e dice che per il momento la gente non deve sapere di me.
– Lo vedi che può essere un potere?
– Ma che dici! È per il miracolo delle lacrime.
Pietro scosse la testa, impreparato.
– Vabbè, allora tu non sai niente! – La voce prese un singhiozzo.
Chiara si puntellò sul piumone, saltò giù dal letto e andò alla finestra. Fuori era nero e la luce della lampada sdoppiava il riflesso della stanza sul vetro. Sua cugina si mise a piangere sangue.
– Chiara, tutto a posto? – disse il papà, lontano, dal soggiorno. – Pietro, lasciala stare.
– Ma papà...
– Pietro.
– Mia madre mi ha lasciata qui – singhiozzò Chiara a voce bassa. Nel riflesso le lacrime erano due righe scure.
– Anche la mia.
Chiara tirò su: – Che dici?
– La mamma se n'è andata di notte, quattro giorni fa, e non è più tornata. Ho visto il mostro che l'ha presa. – Pietro si avvicinò a Chiara e indicò la finestra col coltellino, ma c'erano solo i loro riflessi. Vide quello di Chiara osservare la lama. Lei si asciugò le lacrime coi palmi e le mani le divennero rosse.
– E io sto di guardia. Sono il guardiamostro. Vedi? – Pietro si voltò di scatto, saltò sul letto e spense la lampada sul comodino. I loro riflessi sparirono.
Nella stanza buia si allungò il chiarore del porticato. Fin dove arrivava, il ghiaietto brillava umido. Oltre la mezzaluna della lampadina il bosco s'intuiva solo per le punte grigiastre delle fronde.
– Io l'ho visto, quella notte.
– Non è vero.
– Sì, invece. Aveva una gobba di rami tutti curvati in avanti e si muoveva laggiù. Mia madre è andata via e non è tornata. Nemmeno ha chiamato.
– Ti ha lasciato? – chiese Chiara.
– Mamma e papà hanno litigato. Lei è andata. E dopo il mostro non l'ho vista più. L'ha rapita, io lo so, altrimenti mamma non andava via così. Ma tu ora sei qui. Hai un potere, lo so. Le lacrime di sangue. Papà e mamma litigavano perché lei perdeva sangue, mi pare. Dev'essere importante.
– Tua madre aveva le lacrime come le mie?
– Ma no. Papà dice che tutte le donne perdono sangue.
– Che dici! Non è mica vero.
– E tu, allora?
– Che c'entra. A me è una malattia.
– Forse ogni donna ha un posto tutto suo da dove lo perde.
– Mmm... E se il mostro è tuo papà?
– No.
– Se quella notte hanno litigato e lui l'ha uccisa perché perdeva sangue? E se lo zio ammazza pure me?
– Il mio papà non è un assassino.
– Non lo sai, forse ammazza solo le donne che perdono sangue.
Alla loro destra il brillio degli occhi del papà. Sulla soglia la figura buia circondata dal bagliore del camino in soggiorno. Le spalle andavano su e giù a ogni respiro. La matita nella mano destra era il sesto dito.
– Pietro devi smetterla. – Espirò forte dal naso. – Metti paura a Chiara.
– Papà... – Pietro provò ad andargli incontro. Si fermò a metà strada. Il sesto dito aveva avuto uno scatto.
– La mamma se n'è andata. Quando sarai grande capirai le cose che fanno gli adulti. Tua madre non voleva più essere toccata. Sempre una scusa. Sempre. Ora i dolori, ora le sue cose... E ha lasciato pure te. Se c'è un mostro, ha fatto bene a prendersela. Se c'è un mostro, là fuori, è la mia rabbia. – Poggiò il mento sul petto, stette lì a pensare, ondeggiò, poi fece un passo indietro borbottando qualcosa e chiuse la porta.
Il buio divenne più denso. L'oscurità si raggrumò dentro la stanza e la luce del porticato era un ansimare luminoso che moriva poco dopo il vetro. Quando Pietro si girò, Chiara era una sagoma nella finestra. I capelli corti un po' dritti, sparati sulle tempie. Le lacrime gocciolavano viscose sul parquet. Pietro le sentiva battere. Non era il mostro della rabbia, era quello del sangue. Il potere di sua cugina avrebbe attirato il mostro e Pietro avrebbe salvato sua madre. La mamma non se ne sarebbe mai andata così. Era colpa del mostro che aveva annusato il suo sangue.
– Piangi... dài, piangi – le disse Pietro strizzando il coltellino nel pugno. – Io sono pronto.
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